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Zelensky ora vuole la Nato, Mosca lancia i droni anfibi

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Forte del tour europeo appena concluso, Volodomyr Zelensky preme l’acceleratore sull’ingresso dell’Ucraina nell’Unione europea e anche nella Nato, aprendo ancora di più il solco ormai incolmabile con Mosca. Secondo il leader ucraino, per sedere tra i membri dell’Ue basteranno due anni, e non dieci come credono “alcuni pessimisti tra i leader mondiali”.

Mentre nell’Alleanza atlantica “entreremo dopo la vittoria” sull’invasore russo, che intanto non dà alcun segno di tregua. I raid russi hanno raggiunto nella notte anche l’Isola dei Serpenti, abbandonata dagli occupanti a luglio scorso, e Mosca ha lanciato un inedito drone anfibio contro un ponte vicino a Odessa, strategico per i rifornimenti delle truppe di Kiev. Azioni che giungono all’indomani dell’ennesima pioggia di bombe sul Paese, che secondo il ministero della Difesa russo “ha raggiunto i suoi obiettivi”, ovvero bloccare il rifornimento su ferrovia di armi e munizioni straniere all’Ucraina nelle zone di combattimento. Con il conflitto che si trascina verso il secondo anno e le posizioni sempre più distanti, di dialogo non se ne parla.

Perché se la Russia si dice pronta a tenere colloqui con l’Ucraina, questi devono essere basati sulla realtà esistente e senza precondizioni, ha ribadito il viceministro degli Esteri russo Sergey Vershinin. Con questi presupposti, da Kiev la porta resta chiusa: “Nella sua retorica su pace e negoziati, il Cremlino afferma che non lascerà i territori ucraini e non sarà responsabile di crimini… È un’altra prova che i negoziati sono fuori discussione”, ha risposto il consigliere presidenziale ucraino Mykhailo Podolyak, ricordando che l’obiettivo è “la vittoria dell’Ucraina, altrimenti la guerra in Europa non finirà, e la Russia dominerà criminalmente il mondo”.

La linea rossa di Kiev per una soluzione mediata del conflitto resta infatti sempre la stessa: il ritiro delle truppe di Putin e il ripristino totale dell’integrità territoriale dell’Ucraina. Un punto che è anche contenuto nella bozza di risoluzione che verrà presentata all’Assemblea generale delle Nazioni Unite alla vigilia del primo anniversario dell’invasione del 24 febbraio. La proposta, ottenuta dall’Associated Press, sottolinea infatti la necessità di una pace che garantisca “la sovranità, l’indipendenza, l’unità e l’integrità territoriale dell’Ucraina”, anche se resta più ampia e meno dettagliata del piano di pace in 10 punti annunciato a novembre dal presidente Zelensky.

Secondo fonti diplomatiche, i negoziati sul testo sono già iniziati. Con la pace lontana, entrambi i fronti cercano di rafforzare le loro alleanze. In Occidente continua il dibattito sulle forniture di caccia e missili a lungo raggio a Kiev, sulle quali i leader invocano cautela e persino la Polonia, tra i più stretti alleati dell’Ucraina e tra i principali fornitori di armi pesanti, ha messo in dubbio la possibilità di inviare gli aerei da combattimento, almeno nel breve termine. Dall’altra parte del fronte, è ormai chiara la triangolazione di Mosca e i suoi alleati, con il presidente bielorusso Lukashenko che ha annunciato di voler visitare presto Teheran.

Il falco Dmitri Medvedev è invece tornato ad attaccare l’Europa, che a suo dire “si sta già dissolvendo” e “presto scomparirà del tutto” a causa dei suoi leader “dilettanti e russofobi” al servizio degli americani. Sul terreno, l’Ucraina continua a subire attacchi alle infrastrutture energetiche, con i droni che hanno causato danni nel Dnipropetrovsk e missili caduti su Kharkiv. Media hanno riferito di un attacco russo con un drone anfibio al ponte di Zatoka, che collega Odessa alla Moldavia e alla Romania ed è utilizzato dall’esercito ucraino per inviare rifornimenti in prima linea. Diversi canali Telegram filo-russi hanno pubblicato il video dell’assalto, mentre Kiev conferma l’uso di droni navali da parte di Mosca.

Intanto, bombe sono tornate a sconfinare in territorio russo, colpendo una struttura industriale della città di Shebekino, nella regione di Belgorod. Le battaglie continuano anche nel Donetsk, e secondo il fondatore dei mercenari Wagner, Yevgeny Prigozhin, Mosca deve stabilire con fermezza la propria presenza nell’est o spingersi avanti per catturare una parte maggiore dell’Ucraina. Per farlo, deve prima però catturare la roccaforte di Bakhmut. Ma mentre si lancia in analisi e auspici sull’andamento della guerra, sembra che il sanguinario leader dei mercenari sia ancora ai ferri corti con il Cremlino: secondo l’intelligence britannica, sarebbe infatti la crescente rivalità tra i Wagner e il ministero della Difesa russo il “fattore chiave” che ha portato alla fine del reclutamento dei detenuti da mandare al fronte da parte del gruppo russo.

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La trumpiana Greene lavorerà con Musk e Ramaswamy a taglio costi

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La trumpiana di ferro Marjorie Taylor Greene collaborerà con Elon Musk e Vivek Ramaswamy come presidente di una commissione della Camera incaricata di lavorare con il Dipartimento dell’efficienza. “Sono contenta di presiedere questa nuova commissione che lavorerà mano nella mano con il presidente Trump, Musk, Ramaswamy e l’intera squadra del Doge”, acronimo del Department of Government Efficiency, ha detto Greene, spiegando che la commissione si occuperà dei licenziamenti dei “burocrati” del governo e sarà trasparente con le sue audizioni. “Nessun tema sarà fuori dalla discussione”, ha messo in evidenza Greene.

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Pam Bondi, fedelissima di Trump a ministero Giustizia

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Donald Trump nomina la fedelissima Pam Bondi a ministra della Giustizia. L’ex procuratrice della Florida ha collaborato con il presidente eletto durante il suo primo impeachment. “Come prima procuratrice della Florida si è battuta per fermare il traffico di droga e ridurre il numero delle vittime causate dalle overdosi di fentanyl. Ha fatto un lavoro incredibile”, afferma Trump sul suo social Truth annunciando la nomina, avvenuta dopo il ritito di Matt Gaetz travolto da scandali a sfondo sessuale. “Per troppo tempo il Dipartimento di Giustizia è stato usato contro di me e altri repubblicani. Ma non più. Pam lo riporterà al suo principio di combattere il crimine e rendere l’America sicura.

E’ intelligente e tosta, è una combattente per l’America First e farà un lavoro fantastico”, ha aggiunto il presidente-eletto. Bondi è stata procuratrice della Florida fra il 2011 e il 2019, quando era governatore Rick Scott. Al momento presiede il Center for Litigation all’America First Policy Institute, un think tank di destra che sta lavorando con il transition team di Trump sull’agenda amministrativa. Come procuratrice della Florida si è attirata l’attenzione nazionale per i suoi tentativi di capovolgere l’Obamacare, ma anche per la decisione di condurre un programma su Fox mentre era ancora in carica e quella di chiedere al governatore Scott di posticipare un’esecuzione per un conflitto con un evento di raccolta fondi.

La nomina di Bondi arriva a sei ore di distanza dal ritiro di Gaetz dalla corsa a ministro della Giustizia dopo le nuove rivelazioni sullo scandalo sessuale che lo ha travolto. Prima dell’annuncio, l’ex deputato della Florida era stato contattato da Trump che gli aveva riferito che la sua candidatura non aveva i voti necessari per essere confermata in Seanto. Almeno quattro senatori repubblicani, infatti, si era espressi contro e si erano mostrati irremovibili a cambiare posizione. Il nome di Bondi, riporta Cnn, era già nell’iniziale lista dei papabili ministro alla giustizia stilata prima di scegliere Gaetz. Quando l’ex deputato ha annunciato il suo passo indietro, il nome di Bondi è iniziato a circolare con insistenza fino all’annuncio.

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Da Putin a Gheddafi, i leader nel mirino dell’Aja

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Con il mandato d’arresto spiccato contro il premier israeliano Benyamin Netanyahu, insieme all’ex ministro della Difesa Yoav Gallant, si allunga la lista dei capi di Stato e di governo perseguiti dalla Corte penale internazionale con le accuse di crimini di guerra e crimini contro l’umanità. Da Muammar Gheddafi a Omar al Bashir, e più recentemente Vladimir Putin. Ultimo in ordine di tempo era stato appunto il presidente russo, accusato nel marzo del 2023 di “deportazione illegale” di bambini dalle zone occupate dell’Ucraina alla Russia, insieme a Maria Alekseyevna Lvova-Belova, commissaria per i diritti dei bambini del Cremlino.

Sempre a causa dell’invasione dell’Ucraina nel mirino della Corte sono finiti in otto alti gradi russi, tra cui l’ex ministro della Difesa Sergei Shoigu e l’attuale capo di stato maggiore Valery Gerasimov: considerati entrambi possibili responsabili dei ripetuti attacchi alle infrastrutture energetiche ucraine. Prima di Putin, nel 2011 l’Aja accusò di crimini contro l’umanità Muammar Gheddafi, ma il caso decadde con la morte del rais libico nel novembre dello stesso anno.

Un simile provvedimento fu emesso per il figlio Seif al Islam e per il capo dei servizi segreti Abdellah Senussi. Tra gli altri leader di spicco perseguiti, l’ex presidente sudanese Omar al Bashir: nel 2008 il procuratore capo della Corte Luis Moreno Ocampo lo accusò di essere responsabile di genocidio e crimini contro l’umanità e della guerra in Darfur cominciata nel 2003. Anche Laurent Gbagbo, ex presidente della Costa d’Avorio, è finito all’Aja, ma dopo un processo per crimini contro l’umanità è stato assolto nel 2021 in appello.

Nel 2016 la Corte penale internazionale ha condannato l’ex vicepresidente del Congo, Jean-Pierre Bemba, per assassinio, stupro e saccheggio in quanto comandante delle truppe che commisero atrocità continue e generalizzate nella Repubblica Centrafricana nel 2002 e 2003. Il signore della guerra ugandese Joseph Kony, che dovrebbe rispondere di ben 36 capi d’imputazione tra cui omicidio, stupro, utilizzo di bambini soldato, schiavitù sessuale e matrimoni forzati, è la figura ricercata dalla Cpi da più tempo: il suo mandato d’arresto venne spiccato nel 2005. Tra gli altri dossier aperti e su cui indaga l’Aja c’è l’inchiesta sui crimini contro la minoranza musulmana dei Rohingya in Birmania. Un’altra indagine è quella su presunti crimini contro l’umanità commessi dal governo del presidente venezuelano Nicolas Maduro. E non è solo l’Aja ad aver processato capi di Stato e di governo: nel 2001, l’ex presidente Slobodan Milosevic fu accusato di crimini di guerra, genocidio e crimini contro l’umanità dal Tribunale penale internazionale per l’ex Jugoslavia. Arrestato, morì d’infarto in cella all’Aja nel 2006, prima che il processo potesse concludersi.

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