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Zelensky a Israele: basta rimanere neutrali, Iran potenza nucleare grazie ad alleati russi

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E’ ora che Israele abbandoni la sua politica di neutralità: se lo avesse fatto prima, l’Iran non avrebbe dato alla Russia i droni kamikaze. Il presidente Volodomyr Zelensky è entrato a gamba tesa sullo Stato ebraico avvertendolo che la contropartita a Teheran per i suoi micidiali droni Shaeb-136 è l’appoggio di Mosca al programma nucleare del regime degli ayatollah. Parole pronunciate in un messaggio inviato ad un’iniziativa del quotidiano liberal Haaretz e che non hanno fatto altro che alimentare i timori di Israele. “Ho una domanda da rivolgervi – ha premesso Zelensky -. Secondo voi in che modo la Russia paga l’Iran? Probabilmente non soldi, ma assistenza per il programma nucleare. Probabilmente è questo il significato della loro alleanza”. Poi, rincarando la dose, ha ammonito: “Questa alleanza semplicemente non ci sarebbe stata se i vostri politici avessero optato per l’unica decisione possibile in quel momento: la scelta che avevamo chiesto”, ovvero rinunciare alla neutralità. In quel caso, ha spiegato il leader ucraino a chiare lettere, Israele avrebbe potuto impedire l’alleanza tra i due Paesi. Una suggestione che lo Stato ebraico sembra cominciare a prendere molto sul serio. Il premier Yair Lapid – in un’intervista al Jerusalem Post – ha sottolineato che “parte del lavoro” fatto finora “ha a che fare con la pericolosissima vicinanza creatasi tra la Russia e l’Iran. Non è una cosa che ignoreremo o per cui non faremo nulla… quindi quello che dobbiamo fare – ha spiegato – è rivalutare ogni giorno e reagire”. La capacità di reazione dello Stato ebraico è tuttavia condizionata da due fattori importanti: il primo – determinante – riguarda il coordinamento di sicurezza con la Russia sulla Siria e la possibilità di Israele di agire contro il passaggio di armi che da Teheran va verso i suoi alleati, Hezbollah in Libano, Hamas a Gaza e altrove. Una situazione sul campo che il ministro della Difesa Benny Gantz – parlando con il suo omologo a Kiev, Oleksii Reznikov – ha riassunto in due parole: “Restrizioni operative”. Il secondo fattore è legato all’agone politico interno segnato dalle elezioni generali del primo novembre: dovrà essere il nuovo governo a confermare o cambiare l’attuale linea di condotta verso l’Ucraina. Fatto sta che le notizie che giungono dal fronte europeo mettono ancora maggiore fretta a Israele, finora non andata al di là dell’aiuto umanitario e della promessa di assistenza a Kiev di sistemi di allerta antiaerei. Almeno in apparenza, visto che una fonte ucraina, citata dal New York Times, ha parlato di un coinvolgimento dell’intelligence israeliana nel fornire informazioni “utili per colpire i droni iraniani”. Gli Shaed-136, ha ricordato il portavoce del ministero della Difesa ucraino Yuriy Sak, “sono stati sviluppati per colpire Israele”, non l’Ucraina. Gli iraniani “stanno usando l’Ucraina come terreno di prova, per scoprire i punti deboli, perfezionarli e prima o poi usarli contro Israele”. Un monito da non sottovalutare.

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Attacco di Hezbollah in Libano, feriti quattro militari italiani della missione UNIFIL

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Quattro militari italiani impegnati nella missione di pace UNIFIL in Libano sono rimasti feriti a seguito di un attacco alla base situata nel sud del Paese. Fonti governative assicurano che i soldati, che si trovavano all’interno di uno dei bunker della base italiana a Shama, non sono in pericolo di vita. Le autorità italiane e internazionali hanno espresso forte indignazione per l’accaduto, mentre proseguono le indagini per ricostruire la dinamica dell’attacco.

UNIFIL UNITED NATIONS INTERIM FORCE IN LIBANO. SOLDATI DELLE NAZIONI UNITE  (FOTO IMAGOECONOMICA)

La dinamica dell’attacco

Secondo le prime ricostruzioni, due razzi sarebbero stati lanciati dal gruppo Hezbollah durante un’escalation di tensioni con Israele. Al momento dell’attacco, la base italiana aveva attivato il livello di allerta 3, che impone ai militari l’utilizzo di elmetti e giubbotti antiproiettile. La decisione si era resa necessaria a causa della pericolosità crescente nell’area, teatro di scontri tra Israele e Hezbollah.

Un team di UNIFIL è stato inviato a Shama per verificare i dettagli dell’accaduto, mentre il governo italiano monitora attentamente la situazione.

UNIFIL UNITED NATIONS INTERIM FORCE IN LEBANON. FOTO IMAGOECONOMICA ANCHE IN EVIDENZA

Le dichiarazioni del ministro Crosetto

Il ministro della Difesa Guido Crosetto ha commentato con durezza l’attacco, definendolo “intollerabile”:

“Cercherò di parlare con il nuovo ministro della Difesa israeliano per chiedergli di evitare l’utilizzo delle basi UNIFIL come scudo. Ancor più intollerabile è la presenza di terroristi nel Sud del Libano che mettono a repentaglio la sicurezza dei caschi blu e della popolazione civile”.

Crosetto ha inoltre sottolineato la necessità di proteggere i militari italiani, impegnati in una missione delicata per garantire la stabilità nella regione.


La solidarietà del Presidente Meloni

Anche la Presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha espresso solidarietà ai militari feriti e alle loro famiglie, dichiarando:

“Apprendo con profonda indignazione e preoccupazione la notizia dei nuovi attacchi subiti dal quartier generale italiano di UNIFIL. Desidero esprimere la solidarietà e la vicinanza mia e del Governo ai feriti, alle loro famiglie e sincera gratitudine per l’attività svolta quotidianamente da tutto il contingente italiano in Libano. Ribadisco che tali attacchi sono inaccettabili e rinnovo il mio appello affinché le parti sul terreno garantiscano, in ogni momento, la sicurezza dei soldati di UNIFIL”.


Unifil: una missione per la pace

La missione UNIFIL, operativa dal 1978, ha il compito di monitorare il cessate il fuoco tra Israele e il Libano, supportare le forze armate libanesi e garantire la sicurezza nella regione. L’attacco alla base italiana evidenzia la crescente instabilità nell’area e i rischi a cui sono esposti i caschi blu impegnati nella missione di pace.

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La trumpiana Greene lavorerà con Musk e Ramaswamy a taglio costi

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La trumpiana di ferro Marjorie Taylor Greene collaborerà con Elon Musk e Vivek Ramaswamy come presidente di una commissione della Camera incaricata di lavorare con il Dipartimento dell’efficienza. “Sono contenta di presiedere questa nuova commissione che lavorerà mano nella mano con il presidente Trump, Musk, Ramaswamy e l’intera squadra del Doge”, acronimo del Department of Government Efficiency, ha detto Greene, spiegando che la commissione si occuperà dei licenziamenti dei “burocrati” del governo e sarà trasparente con le sue audizioni. “Nessun tema sarà fuori dalla discussione”, ha messo in evidenza Greene.

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Pam Bondi, fedelissima di Trump a ministero Giustizia

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Donald Trump nomina la fedelissima Pam Bondi a ministra della Giustizia. L’ex procuratrice della Florida ha collaborato con il presidente eletto durante il suo primo impeachment. “Come prima procuratrice della Florida si è battuta per fermare il traffico di droga e ridurre il numero delle vittime causate dalle overdosi di fentanyl. Ha fatto un lavoro incredibile”, afferma Trump sul suo social Truth annunciando la nomina, avvenuta dopo il ritito di Matt Gaetz travolto da scandali a sfondo sessuale. “Per troppo tempo il Dipartimento di Giustizia è stato usato contro di me e altri repubblicani. Ma non più. Pam lo riporterà al suo principio di combattere il crimine e rendere l’America sicura.

E’ intelligente e tosta, è una combattente per l’America First e farà un lavoro fantastico”, ha aggiunto il presidente-eletto. Bondi è stata procuratrice della Florida fra il 2011 e il 2019, quando era governatore Rick Scott. Al momento presiede il Center for Litigation all’America First Policy Institute, un think tank di destra che sta lavorando con il transition team di Trump sull’agenda amministrativa. Come procuratrice della Florida si è attirata l’attenzione nazionale per i suoi tentativi di capovolgere l’Obamacare, ma anche per la decisione di condurre un programma su Fox mentre era ancora in carica e quella di chiedere al governatore Scott di posticipare un’esecuzione per un conflitto con un evento di raccolta fondi.

La nomina di Bondi arriva a sei ore di distanza dal ritiro di Gaetz dalla corsa a ministro della Giustizia dopo le nuove rivelazioni sullo scandalo sessuale che lo ha travolto. Prima dell’annuncio, l’ex deputato della Florida era stato contattato da Trump che gli aveva riferito che la sua candidatura non aveva i voti necessari per essere confermata in Seanto. Almeno quattro senatori repubblicani, infatti, si era espressi contro e si erano mostrati irremovibili a cambiare posizione. Il nome di Bondi, riporta Cnn, era già nell’iniziale lista dei papabili ministro alla giustizia stilata prima di scegliere Gaetz. Quando l’ex deputato ha annunciato il suo passo indietro, il nome di Bondi è iniziato a circolare con insistenza fino all’annuncio.

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