Le forze armate ucraine hanno urgente bisogno di altre armi americane, inclusi i missili a lungo raggio, per contenere l’avanzata russa e fermare gli attacchi dalla Crimea, altrimenti saranno costrette a “ritirarsi, passo dopo passo”. E’ Volodymyr Zelensky, in un’intervista al Washington Post, a lanciare l’ennesimo appello al suo principale sponsor. Il messaggio è rivolto a Joe Biden, ma soprattutto ai deputati repubblicani del Congresso, che continuano a tenere bloccati i 60 miliardi di nuovi aiuti militari: “Abbiamo perso sei mesi”, è la denuncia del leader ucraino, che in una situazione di oggettiva difficoltà sul fronte del conflitto continua a rivoluzionare i vertici della sicurezza.
L’ultima testa a cadere è stata quella del suo primo consigliere. Le richieste di Zelensky a Washington, come sempre, sono dettagliate, ma assumono giorno dopo giorno toni sempre più accorati, nella misura in cui le forze russe continuano a sfruttare al meglio la propria superiorità di uomini e mezzi. “Se hai bisogno di 8.000 colpi al giorno per difendere la linea del fronte ma ne hai solo 2.000, devi fare di meno”, ha spiegato il presidente ucraino, aggiungendo che “se non c’è il sostegno degli Stati Uniti, significa che non abbiamo difesa aerea, missili Patriot, disturbatori per la guerra elettronica, proiettili di artiglieria da 155 millimetri”. E poi c’è l’annosa questione degli Atacms, che gli americani sono restii a fornire nel timore che Kiev li utilizzi per attaccare in territorio russo, alimentando un’escalation. Zelensky, su questo tema, ha assicurato che i missili a lungo raggio servirebbero per colpire aeroporti in Crimea e prevenire i raid del nemico lanciati dalla penisola occupata.
Con nuovi armamenti, è la valutazione, si può puntare a “mantenere il fronte stabile” e permettere all’Ucraina di “armare e addestrare nuove brigate nelle retrovie per condurre una nuova controffensiva entro la fine dell’anno”. Ed il tema delle forniture militari che è stato affrontato anche dai ministri della Difesa dei due Paesi, Rustem Umerov e Lloyd Austin, in un colloquio telefonico. Kiev nelle ultime settimane guarda con preoccupazione alla ripresa dell’iniziativa da parte dei russi, che dopo aver conquistato Avdivka (una delle cittadine del Donbass più ferocemente contese) ha ripreso in grande stile l’offensiva nel sud-est e nel nord, tornando a prendere di mira anche Kharkiv. Ed effettuando massicci bombardamenti sull’infrastruttura energetica in tutto il Paese, come nell’inverno dello scorso anno. Gli ucraini, per allentare la pressione, hanno bersagliato le regioni di confine come Belgorod, dove migliaia di russi sono stati costretti ad evacuare.
Ma si è trattato sostanzialmente di “operazioni limitate”, ha rilevato Zelensky. “Per respingere i russi, abbiamo bisogno di più armi, altrimenti ci ritireremo, a piccoli passi”, è l’avvertimento. Il leader ucraino è ormai costantemente sotto pressione per un conflitto sfibrante e interminabile, ed il continuo repulisti all’interno del suo entourage è un segnale chiaro in questa direzione. Stavolta a perdere il posto sono stati il primo consigliere del presidente, Serhii Shefir, e due vice del capo di gabinetto Andriy Yermak. Appena pochi giorni fa era stato silurato uno degli uomini più potenti a Kiev, il capo del Consiglio di sicurezza e difesa nazionale Oleksiy Danilov. Prima ancora, e con molto più rumore, il capo delle forze armate Valery Zaluzhny. Il generale, non più allineato con la narrativa di Zelensky su una vittoria totale alla portata, aveva pagato il fallimento della controffensiva contro i russi lanciata nella primavera scorsa, che avrebbe dovuto invertire il corso del conflitto.