Collegati con noi

In Evidenza

Wimbledon: derby è di Sinner, ma che show con Berrettini

Pubblicato

del

Al termine di un match intenso e vibrante, una battaglia di nervi e non solo di colpi, come si addice ad ogni derby, è Jannik Sinner ad aggiudicarsi la sfida tutta italiana contro Matteo Berrettini, che gioca alla pari ma cede in quattro set: prosegue, dunque, la marcia del n.1 al mondo sui prati dell’All England Club, dove nel terzo turno lo attende il serbo Miomir Kecmanovic. Show azzurro nella terza giornata dei Championships: davanti ad un Centre Court gremito come solo per le finali, Sinner gioca con autorevolezza i primi due set, soffre e subisce il ritorno del romano nella terza frazione, prima di imporsi in tarda serata, dopo quasi quattro ore di gioco (7-6(3), 7-6(4), 2-6, 7-6(4)).

Regna l’equilibrio nel primo set, che si risolve solo al tie-break, dopo che Berrettini, nel decimo game, aveva annullato con coraggio e bravura un set point a Sinner. Una resa solo rimandata di qualche minuto, perché al tie-break è il n.1 al mondo ad aggiudicarsi la prima frazione. L’equilibrio sembra confermarsi anche nel secondo set, fino a quando il romano mette a segno il primo break della partita, portandosi avanti 4-2. Non si fa attendere la reazione di Sinner, che trascina nuovamente la partita al tie-break, ancora una volta favorevole all’altoatesino.

La terza partita si apre con il nuovo break di Berrettini, che approfitta del passaggio a vuoto di Sinner per strappargli nuovamente il servizio e allungare il match. La quarta frazione si tramuta in un prolungato duello psicologico: Berrettini salva un match-point, ma il tie-break successivo premia ancora Sinner, apparso stremato ancor più che felice dopo la vittoria. La risposta migliore a Carlos Alcaraz che qualche ora prima aveva impiegato meno di due ore per liquidare l’australiano Alexander Vukic. Una prova di forza per legittimare le quote degli allibratori, che continuano ad indicarlo come l’uomo da battere sui prati di Church Road. Nel terzo pomeriggio di Wimbledon spicca l’impresa di Fabio Fognini, che – a 37 anni compiuti – batte, per la prima volta in carriera, il n.8 al mondo, Casper Ruud.

Nonostante due ore di ritardo per la pioggia, il ligure entra in campo con il piglio dei giorni migliori, aggiudicandosi con merito i primi due set. Smarrito il terzo al tie-break, Fognini si riprende in tempo per chiudere il match in poco meno di tre ore e mezza (6-4 7-5 6-7 (1) 6-3), regalandosi il terzo turno ai Championships per la settima volta in carriera. E diventando il secondo italiano, dopo Nicola Pietrangeli, a vincere due match consecutivi sui prati londinesi dopo i 37 anni.

“È un gran bel regalo, è per queste partite che amo e odio il tennis così tanto”, il commento a caldo di Fognini. Per accedere – per la prima volta in carriera – agli ottavi dei Championships, l’italiano dovrà vedersela con lo spagnolo Roberto Bautista Agut, vincitore in quattro set su Lorenzo Sonego (63 36 63 64). In campo femminile prosegue la sua corsa Jasmine Paolini che in due set, e un’ora e mezza di gioco, supera la belga Greet Minnen.

Advertisement

Economia

Saldi al via, ma vendite promozionali sgonfiano il rito

Pubblicato

del

Saldi estivi al via. Gli sconti di stagione sono scattati in tutta Italia con gli italiani pronti a fare affari nei negozi del centro, nei grandi centri commerciali ma anche nelle località di mare o montagna, dove molti si sono spostati per il week end. La partenza di sabato, anziché di giovedì come lo scorso anno, favorisce infatti lo shopping ‘turistico’ nelle mete più gettonate. Il giro d’affari complessivo, secondo le previsioni della Confesercenti sarà di 3,5 miliardi di euro. Gli italiani pronti ad approfittare dei ribassi saranno circa 9 milioni, per una spesa media stimata in circa 100 euro a persona. I prodotti più ricercati saranno le calzature, seguite dall’abbigliamento.

Ad attendere i saldi sono soprattutto gli abitanti delle regioni del Sud e delle Isole (63% di interessati, nelle regioni del Nord è il 49%) ed i giovani sotto i 34 anni (59% di interessati). Il retail fisico resta in cima alle preferenze: il 69% degli intervistati dichiara che acquisterà anche in un classico negozio multimarca, mentre il 38% si rivolgerà a un’attività commerciale fisica mono-brand. Solo il 36% acquisterà anche su una piattaforma di ecommerce multimarca, mentre il 18% acquisterà direttamente dal sito del produttore. Confesercenti segnala che la rete dei negozi si sta però riducendo: rispetto al 2019, le imprese che vendono abbigliamento, calzature e accessori sono diminuite di 4.591 unità, al ritmo di due negozi spariti al giorno.

I negozianti si attendono vendite più o meno in linea con lo scorso anno. Ma il Codacons segnala che il commercio online, le vendite promozionali e gli sconti riservati che i negozi mettono in atto durante l’anno stanno svuotando il rito collettivo. Secondo l’associazione, oggi poco più di un cittadino su due (il 55% circa del totale) si dice pronto a fare almeno un acquisto nel settore abbigliamento o calzature, un numero “in caduta libera” rispetto a 10 anni fa, quando gli italiani che hanno approfittato dei saldi furono 7 su 10.

Come ogni anno, arrivano quindi i consigli per evitare possibili “fregature”: conservare sempre lo scontrino perchè non è vero che i capi in svendita non si possono cambiare; controllare che le vendite siano effettivamente della stagione che sta finendo e non fondi di magazzino; diffidare degli sconti superiori al 50%, spesso nascondono merce non proprio nuova; non acquistate nei negozi che non espongono il cartellino che indica il vecchio prezzo, quello nuovo ed il valore percentuale dello sconto applicato. Attenzione infine ai pagamenti, il commerciante è obbligato ad accettare forme di pagamento elettroniche.

Continua a leggere

Esteri

In Iran un presidente riformista,’tendo la mano a tutti’

Pubblicato

del

“Tenderemo la mano dell’amicizia a tutti”. È all’insegna dell’apertura e della conciliazione la promessa di Masoud Pezeshkian, il politico riformista diventato il nuovo presidente dell’Iran dopo la netta vittoria, con quasi il 54% dei consensi, al ballottaggio con l’ultraconservatore Saeed Jalili. “Il cammino che ci attende è difficile e non può essere percorso senza la vostra fiducia, cooperazione ed empatia”, ha detto dopo il trionfo, segnando uno stacco netto con la chiusura e la rigidità che avevano contraddistinto la retorica di Ebrahim Raisi, il presidente ultraconservatore eletto nel 2021 e morto il 19 maggio in un incidente aereo.

La mano di Pezeshkian si presenta tesa verso tutte le diverse anime della società iraniana. Non solo i conservatori fedeli alla Guida Suprema Ali Khamenei o i riformisti, di cui fa parte, ma apparentemente anche verso la maggior parte della popolazione, che non ha votato in queste elezioni, dove ha partecipato solo il 49% degli aventi diritto e la campagna elettorale è stata segnata da moltissimi appelli per boicottare il voto da parte di prigionieri politici, dissidenti o famiglie di persone morte sotto il regime degli ayatollah. Pezeshkian, un cardiochirurgo di 69 anni che ha guidato il dicastero della Sanità durante l’amministrazione del riformista Mohammad Khatami dal 2001 al 2005, ha dato segnali in campagna elettorale su una possibile rimozione delle restrizioni a internet o sul fatto che non vede di buon occhio la repressione delle proteste, come successe nel 2022 con le manifestazioni dopo la morte di Mahsa Amini, la ventenne curda che ha perso la vita dopo essere stata messa in custodia dalla polizia morale perché non avrebbe portato correttamente il velo, obbligatorio in pubblico nella Repubblica islamica. L’apertura promessa da Pezeshkian sembra essere rivolta anche all’esterno del Paese, dopo che negli ultimi anni Raisi aveva rafforzato le relazioni con Paesi storicamente vicini all’Iran, come Russia e Cina, alzando invece un muro verso l’Occidente, con cui il nuovo presidente pare volere tenere un atteggiamento diverso, con l’obiettivo di rimuovere le sanzioni che affossano l’economia iraniana.

Durante la campagna elettorale, il politico riformista aveva affermato che non è possibile raggiungere una crescita economica per l’Iran senza “aprire i confini con altri governi”, mentre è stato sostenuto apertamente da Javad Zarif, l’ex ministro degli Esteri che contribuì alla firma dell’accordo sul nucleare del 2015, fallito però solo tre anni dopo. Gli analisti ritengono comunque che, per cambiare davvero qualcosa, Pezeshkian abbia davanti a sé un percorso difficile, come ammesso da lui stesso, soprattutto per la forte influenza sulle decisioni che vengono prese in Iran della Guida Suprema, a cui il nuovo presidente ha giurato fedeltà subito dopo la vittoria, affermando che “se non fosse stato per lui, non penso che il mio nome sarebbe uscito facilmente da queste urne”. Khamenei da parte sua ha espresso soddisfazione per l’aumento dell’affluenza rispetto al primo turno, che aveva segnato il record negativo dalla fondazione della Repubblica islamica con meno del 40%. “Questa grande e brillante mossa è indimenticabile, poiché ha sventato i complotti dei nemici, che miravano a iniettare delusione nel popolo iraniano”, ha detto la Guida suprema, sebbene abbia votato soltanto il 49% degli aventi diritto. Pezeshkian ha ricevuto subito le congratulazioni da parte della Russia di Vladimir Putin e la Cina di Xi Jinping e poi da parte dei Paesi dell’area del Golfo: Bahrain, Kuwait, Oman, Qatar, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti.

I complimenti sono arrivati anche dal leader siriano Bashar Al Assad e poi da India, Pakistan, Serbia, Armenia e Giappone. Si è congratulato con Pezeshkian anche Ilham Aliyev, il presidente dell’Azerbaigian, e Recep Tayyip Erdogan, il capo di Stato turco che ha definito l’Iran una “nazione amica e fraterna”. Non arrivano molte congratulazioni invece dal mondo occidentale, dopo che negli ultimi anni le relazioni con Teheran sono precipitate, anche nel contesto del coinvolgimento iraniano nella guerra a Gaza e della repressione delle proteste. In Italia a congratularsi “con il popolo e il governo iraniano” è stato il vice ministro degli Esteri Edmondo Cirielli, “nella speranza che si possa lavorare per il perseguimento della pace e stabilità soprattutto nel Golfo di Aden ed in generale in Medio Oriente”.

Continua a leggere

Esteri

L’ora della verità in Francia, Le Pen si smarca su Kiev

Pubblicato

del

Vigilia con il fiato sospeso per la Francia, con gli echi degli ultimi scontri divampati prima del silenzio elettorale. Marine Le Pen, che per gli ultimi sondaggi resterà lontana dall’agognata maggioranza assoluta, sarà comunque la prima forza del Paese, seguita dagli altri due blocchi, la gauche e i macroniani. Dal suo campo arrivano gli ultimi echi dalla campagna elettorale conclusa ieri, prima del tradizionale silenzio alla vigilia del voto. E’ tornata all’attacco sull’Ucraina, ricordando che con Jordan Bardella i rapporti con Kiev muteranno e in particolare sarà impedito a Kiev di usare le armi fornite dalla Francia per attaccare il territorio russo.

Duro scambio anche tra l’estrema destra e la maggioranza uscente, che ha accusato uno dei giornali editi da Vincent Bolloré di aver diffuso una fake news immediatamente prima del silenzio nel tentativo di evitare smentite. Per uscire dall’impasse che deriverà dai risultati delle urne e dai tre blocchi contrapposti, si pensa già a una larga coalizione, magari guidata da una personalità al di sopra della mischia ed estesa dai Républicains ai comunisti. E di un “controblocco” con le estreme di Le Pen e di Jean-Luc Mélenchon a rappresentare le opposizioni. Emmanuel Macron, all’origine di questa inedita situazione in Francia con la sua decisione di sciogliere il Parlamento dopo la sconfitta alle europee, è già al lavoro.

Il suo piano, la cui riuscita è tutta da dimostrare, è trasformarsi da capo della maggioranza in ago della bilancia di una grande coalizione di moderati di tutte le tendenze che terrebbe in piedi un “governo di unione nazionale”. Dopo qualche giorno di sfumature più o meno evidenti, la posizione di Bardella è tornata quella del rifiuto di ricoprire il ruolo di premier se non avrà la maggioranza assoluta. Quando i sondaggi erano più benevoli, il candidato primo ministro del Rn aveva azzardato – con l’appoggio di Le Pen – di potersi accontentare di 20-30 deputati in meno.

Avrebbe pescato i voti fra esponenti “compatibili” dei Républicains, dei centristi. Con l’approfondirsi del fossato fra i seggi assegnati dai sondaggi al Rn (175-205 seggi sui 289 necessari per la maggioranza assoluta), Le Pen e Bardella sono tornati sul “no” al ruolo di premier che diventerebbe “un assistente del presidente”. La ricerca di una soluzione all’impasse sembra quindi dover essere da lunedì l’occupazione principale di tutti i partiti francesi, ad eccezione del Rn e de La France Insoumise. Anche perché le altre due eventualità – un nuovo scioglimento e le dimissioni di Macron – sono escluse: la prima dall’articolo 12 della Costituzione, secondo il quale non si può procedere a un nuovo scioglimento dell’Assemblée Nationale prima di un anno; la seconda dal presidente in carica, che ha promesso ai francesi che resterà al suo posto all’Eliseo fino alla fine del mandato, nel maggio 2027. Gli ultimi fuochi come si diceva sono stati accesi da Le Pen, che ha rievocato la polemica sul titolo di ‘capo delle forze armate’ del presidente della Repubblica, un titolo che – secondo quanto da lei stessa affermato il 26 giugno scorso alla vigilia del primo turno – diventerebbe “onorifico” nel caso di coabitazione.

Con “l’ultima parola” che spetterebbe al primo ministro. Quindi, aveva detto allora, “se Macron volesse inviare truppe in Ucraina non potrebbe farlo se Bardella fosse premier”. In un’intervista alla Cnn di cui venerdì erano stati diffusi soltanto stralci, ha aggiunto che il Rn al potere “vieterà a Kiev di usare armi a lungo raggio fornite dalla Francia per colpire la Russia”. I veleni invece riguardano il fatto che Le Journal du Dimanche ha diffuso la notizia secondo cui il governo “starebbe pensando” ad un ritiro della legge sull’immigrazione. Informazione rilanciata subito da Bardella, in quello che il premier Attal ha definito “un bel coordinamento” e che è stata subito seccamente smentita. Non soltanto da Attal, ma dal ministro dell’Interno, Gérald Darmanin, e dal ministro degli Esteri, Stéphane Séjourné.

Continua a leggere

In rilievo

error: Contenuto Protetto