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Economia

Vino, il ‘low alcol’ tricolore in Usa vale 651 milioni

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Rappresentano il 28% degli acquisti totali di prodotti vitivinicoli italiani, ma non è Prosecco, né tantomeno Chianti, Pinot grigio o Valpolicella. Sono i prodotti low alcol, ‘rossi, bianchi, spumanti, prodotti aromatizzati’ che negli Usa hanno un fatturato 651 milioni di dollari nella grande distribuzione e nei retail americani nel 2023, ma il business è solo per le imprese statunitensi. Si tratta di vini poco alcolici, in gran parte a fermentazione parziale oppure dealcolati.

Bottiglie, ma anche lattine da 7 gradi in giù, praticamente sconosciute nel Belpaese, ma sempre più presenti tra gli scaffali Usa. Vini italiani o prodotti a base vinicola venduti a un prezzo medio allo scaffale di quasi 16 dollari al litro, più del doppio rispetto alle omologhe bottiglie statunitensi (7 dollari) e addirittura il 5% in più sulla media dei vini tricolori tradizionali.

A rilevarlo è l’Osservatorio di Unione italiana vini (Uiv) su base NielsenIQ, evidenziando una produzione made in Italy che si trasfroma in un affare made in Usa, perchè cantine e imprese italiane sono perlopiù relegate alla produzione e all’imbottigliamento. Un paradosso, quello sui ‘low’, ancora più evidente sui ‘no alcol’ che in due anni hanno raddoppiato le vendite arrivando a 62 milioni di dollari.

I prodotti italiani a zero alcol hanno vendite per 4,5 milioni di dollari (+39% sul 2022) con un prezzo medio di 14 dollari al litro; una quota di appena il 7% del totale, con il 90% delle vendite imputabile a una sola azienda americana, che acquista in Italia i prodotti finiti e li commercializza con marchio proprio. In pratica il segmento no alcol direttamente gestito da imprese tricolori vale negli Usa meno di 500 mila dollari. Un contoterzismo del made in Italy enologico simile a quello per i low alcol, reso ancora più evidente dalla impossibilità per l’impresa Italia di accedere al business dei dealcolati, bloccato dalle leggi vigenti nel Belpaese, ma non in Europa.

“Il segmento low-alcol può rappresentare un’opportunità anche e soprattutto là dove il prodotto tradizionale fa fatica”, fa sapere il segretario generale di Uiv, Paolo Castelletti, ricordando il record ventennale di vino rimasto in cantina al termine della scorsa vendemmia, “oggi per fare vini low alcol i produttori italiani hanno tre strade: utilizzare il vino come base per bevande aromatizzate, produrre vini da mosti parzialmente fermentati, oppure delegare il processo produttivo nei Paesi europei diretti competitor”.

Ma iIn Italia purtroppo, segnala Uiv, non si riesce a partire: “Da tempo sollecitiamo un intervento normativo per disciplinare una produzione che l’Unione Europea ha autorizzato da più di due anni – spiega Castelletti – al netto delle bozze di decreto siamo gli unici a non aver ancora recepito il regolamento Ue, con evidenti svantaggi competitivi rispetto ai produttori comunitari.

Riteniamo quindi che il governo debba trattare con la massima urgenza questo tema non più derogabile, definendo con chiarezza e assieme al comparto un perimetro chiaro di azione”. Con il paradosso di trovare al supermercato sotto casa vini no e low alcol di competitor stranieri, oggi in vantaggio su una ricerca e sperimentazione del segmento che sta facendo progressi di giorno in giorno.

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Economia

I grandi investitori italiani puntano sulla Rainbow: 90 milioni per le Winx e il coniglietto Pinky

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Un’operazione da 90 milioni di euro per rilanciare la Rainbow, la casa di produzione italiana celebre per le Winx e il fumetto del coniglietto Pinky. Il progetto, che coinvolge 400 investitori, porterà l’acquisizione del 40% delle azionidella società fondata nel 1995 da Iginio Straffi a Loreto, nelle Marche.

Tra gli investitori figurano nomi di spicco come Dompè, Branca, Riello, Tadolini e Lucchini, coordinati da The Equity Club (Tec), la piattaforma di investimento promossa da Mediobanca.


L’obiettivo: crescita e nuovi mercati

L’investimento da 90 milioni sarà destinato a sostenere i piani di espansione di Rainbow, che includono:

  • Nuove produzioni originali.
  • Acquisto di licenze da sviluppare.
  • Acquisizione di concorrenti, con particolare interesse per il mercato europeo e nordamericano.

La recente acquisizione dei diritti di Pinky, il famoso coniglietto rosa di Massimo Mattioli, segna solo l’inizio di una strategia di fusione e acquisizione (m&a) che si estenderà tra Italia, Spagna, Gran Bretagna e Nord America, con un occhio alle società indipendenti attive nei giochi per smartphone.


Obiettivo: raddoppiare i ricavi entro il 2024

Rainbow punta a raddoppiare i ricavi rispetto agli attuali 115 milioni di euro, con l’obiettivo di raggiungere un margine operativo lordo del 42,5% entro la fine del 2024. Già oggi, il 70% del fatturato è generato sui mercati internazionali, che saranno centrali nei piani di crescita grazie al sostegno di Tec.


Un passato di partnership strategiche

Rainbow non è nuova a collaborazioni di alto profilo. Nel 2011, aveva ceduto una quota del 29% al gruppo americano Viacom, che ha supportato l’azienda in acquisizioni strategiche, come quella della Colorado Film, oggi responsabile del 30% del fatturato.

Tra le operazioni di rilievo ci sono state anche le acquisizioni di Moviement, San Isidro e Gavila, che hanno rafforzato la posizione della società nel settore dei film per TV e cartoni animati.


The Equity Club: un pilastro per il made in Italy

L’operazione su Rainbow è il secondo investimento di The Equity Club 2, dopo quello nel gruppo dei campeggi Club del Sole. Dal 2017, Tec ha promosso investimenti per circa 500 milioni di euro in aziende del made in Italy, come Jakala, La Bottega, Philogen, Lincotek, HSA, Regi, ART e Tatuus, coinvolgendo oltre 640 famiglie imprenditoriali italiane.


Un futuro luminoso per Rainbow

Con il supporto di Tec e dei nuovi investitori, Rainbow si prepara a scrivere un nuovo capitolo della sua storia, puntando sull’innovazione, sull’espansione internazionale e sul consolidamento del marchio come eccellenza italiana nel mondo dell’animazione e dell’intrattenimento.

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Economia

Campania, cresce economia e occupazione, calo industria auto

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Nel primo semestre del 2024 l’attività economica in Campania è cresciuta in misura contenuta, per la debolezza della fase ciclica. Secondo le stime della Banca d’Italia, basate sull’indicatore Iter, nella prima metà dell’anno il prodotto è aumentato dello 0,8% rispetto al corrispondente periodo del 2023, un incremento superiore alla media italiana e a quello del Mezzogiorno. E’ quanto emerge dal dossier sui primi sei mesi dell’anno in corso, pubblicato oggi da Banca d’Italia della Campania. Secondo lo studio sui dati economici la debole espansione dell’attività ha risentito di andamenti eterogenei tra i settori dell’economia, con i dati per le imprese che evidenziano nei primi nove mesi dell’anno il permanere di un andamento sfavorevole per la manifattura: il saldo tra la quota di imprese con un incremento delle vendite in termini reali e quella delle aziende che ne hanno registrato un calo è stato negativo, risultando moderatamente più ampio rispetto all’intero 2023.

Il comparto automotive, interessato da un recente calo dei livelli di attività, è condizionato dalle incertezze legate alla definizione dei tempi e delle modalità della riconversione tecnologica. Tra le imprese dei servizi l’attività è risultata pressoché stabile: è cresciuta la percentuale di imprese che ha valutato stazionari i livelli delle vendite in termini reali, mentre si sono sostanzialmente equivalse le quote delle aziende tra vendite in aumento e in calo. Il comparto turistico, in ripresa nel precedente biennio, ha risentito della riduzione della domanda interna a fronte di una sostanziale stabilità dei visitatori esteri che hanno continuato a sostenere il traffico aeroportuale che, insieme a quello portuale, registra un aumento dei passeggeri.

Il turismo influisce anche sul mercato degli immobili residenziali che nel primo semestre del 2024 hanno una crescita del prezzo del 3,6%, con un compravendita di abitazioni in calo nelle città campane dell’1,3%. Il settore delle costruzioni è rimasto in espansione, sostenuto dall’accelerazione degli investimenti pubblici degli enti locali campani e dall’avanzamento dei lavori finanziati dal Pnrr, mentre il comparto delle ristrutturazioni abitative, pur risentendo della rimodulazione degli incentivi fiscali, ha beneficiato nei primi mesi dell’anno del protrarsi degli interventi attivati sul finire del 2023 in vista della riduzione delle agevolazioni. Oltre i tre quarti delle imprese industriali e dei servizi valutano di avere realizzato nell’anno investimenti prossimi a quelli programmati, comunque attesi su livelli più contenuti di quelli realizzati nel 2023.

Per il 2025 le attese di ampliamento della spesa per investimenti sono più diffuse tra le imprese dei servizi. Sulle esportazioni campane c’è ancora crescita, anche se a ritmi più contenuti, trainate pressoché esclusivamente dalle vendite estere del comparto farmaceutico. Aumenti moderati si registrano anche per l’agroalimentare e l’aerospaziale mentre si osserva un calo per l’automotive, le cui vendite si sono ridotte sui mercati europei e nordamericani. Nella prima parte dell’anno l’occupazione è cresciuta sensibilmente con un +2,9%, superiore a quella italiana, sia su dipendenti che su autonomi, ma con crescita per contratti a tempo determinato e calo per gli indeterminati. Il tasso di attività vede però una disoccupazione pressoché stabile al 17,4% e la richiesta di sussidi di disoccupazione è arrivata al 7,1%, rispetto al 6,3% nazionale. Nei primi nove mesi del 2024 si sono ampliate le richieste di ricorso alla Cassa integrazione, in particolare per alcuni comparti dell’industria in senso stretto, mentre si sono ridotte quelle per l’edilizia e i trasporti.

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Economia

Allarme Bce, rischio eurocrisi dal mix dazi-alto debito

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Una possibile guerra dei dazi innescata da Trump, con l’escalation militare in Medio Oriente e Ucraina, rischia di innescare, assieme alla bassa crescita, all’elevato debito in alcuni Paesi e all’esito delle elezioni non esattamente pro-Ue in alcuni Paesi come la Francia, una nuova crisi nel cuore dell’area euro. L’allarme viene dalla Bce, lo stesso istituto che un decennio fa aveva tirato fuori l’Europa dalla sua crisi esistenziale. Che mette in guardia anche il settore privato – banche e imprese – e gli investitori sui rischi di correzioni improvvise in Borsa. A parlare è il Financial Stability Review, un aggiornamento che mette in fila ogni sei mesi i rischi per la stabilità finanziaria.

Ma questa volta nel documento, di per sé necessariamente sbilanciato sulle criticità, emerge continuamente il rischio di un’escalation commerciale targata ‘Trump’ per un’economia europea che fa oltre il 50% di Pil con l’export. E c’è una preoccupazione più marcata che nelle edizioni passate per il debito le cui vulnerabilità “stanno aumentando”, spiega il vice presidente della Bce Luis de Guindos nell’introduzione al rapporto, con i mercati che hanno iniziato a fare “più attenzione”. La Bce si sofferma sulla fragilità dei Paesi “più soggetti allo scrutinio dei mercati – Cipro, Grecia, Irlanda, Italia, Spagna, Portogallo, Slovenia e Slovacchia – dove i rendimenti negli anni passati hanno mostrato la tendenza a “salire significativamente” di fronte a eventi inattesi come la pandemia.

Un avvertimento a non dare troppo per scontati – in un periodo che si preannuncia volatile sui mercati oltre che sul piano politico – gli attuali bassi spread, come quello italiano che da un paio di mesi gravita attorno ai 120 punti base. Perché “livelli elevati di debito e alti deficit, sommati a una crescita potenziale debole e a incertezze sulla direzione delle politiche, aumentano il rischio che si riaccendano timori dei mercati per la sostenibilità”. Il riferimento alle “incertezze” – a non deviare dagli impegni concordati con l’Ue – arriva proprio mentre la Francia è in stallo sulla legge di bilancio. E a ragion veduta forse spiega la cautela dell’Italia sulla manovra 2025. Le magagne interne dei Paesi dell’euro, insomma, rischiano di diventare un mix pericoloso se ad esse si aggiunge “un possibile ulteriore rafforzamento delle tendenze protezionistiche”.

Senza considerare l’impatto sulla crescita globale di un’escalation Usa-Cina, alcuni governatori, come il greco Yannis Stournaras, hanno già evocato il rischio di una recessione europea coi dazi Usa al 10% promessi da Trump. Abn Amro stima l’impatto a -1,5 punti di Pil, Goldman Sachs si ferma a -1 punto, Natixis ipotizza un impatto pari a -0,5 punti percentuali di Pil in Germania, -0,4 in Italia, -0,3 in Francia. Numeri che farebbero sballare il rientro del debito previsto dai piani nazionali. Con conseguenze sulla stabilità finanziaria perché nelle Borse “le elevate valutazioni e la concentrazione del rischio rendono i mercati più suscettibili a correzioni improvvise”.

Ma anche per le aziende e le banche: “le vulnerabilità del rischio di credito potrebbero indebolire la qualità degli attivi”, scrive la Bce nel rapporto soffermandosi sui problemi irrisolti del settore immobiliare commerciale. Un settore più problematico per le banche nordiche che quelle italiane. Ma anche la Banca d’Italia, in una nota di stabilità finanziaria e vigilanza, osserva che con tanta volatilità ‘esogena’ “è necessario migliorare la capacità del sistema bancario di far fronte alle ripercussioni negative derivanti da eventuali shock esterni”. E “fattori specifici del sistema bancario italiano, quali la dimensione, il livello di concentrazione e il suo ruolo centrale nel finanziamento dell’economia reale, potrebbero amplificare l’effetto negativo sull’intera economia di un eventuale deterioramento dei bilanci bancari”.

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