Un video shock sulla strage dei migranti in Messico ha scatenato indignazione nel Paese e negli utenti dei social, tanto che il presidente messicano Andrés Manuel López Obrador ha dovuto fare dietrofront rispetto alle sue parole del giorno prima e annunciare l’avvio di indagini accurate. Obrador ha assicurato che “si farà giustizia” e “si puniranno i colpevoli” per l’incidente avvenuto nel centro di raccolta dell’Istituto nazionale delle migrazioni (Inm) di Ciudad Juarez, al confine con gli Stati Uniti, in cui sono morti una quarantina di migranti centroamericani e venezuelani, e un’altra trentina sono stati ricoverati in ospedale con ustioni o ferite gravi.
Il capo dello Stato ha affrontato il tema nel corso della sua conferenza stampa mattutina, dovendo correggere una prima versione dei fatti in cui sostanzialmente addossava la responsabilità della strage agli stessi migranti. In pratica, aveva detto Obrador, “presumiamo che avessero saputo che sarebbero stati espulsi, per cui hanno bruciato dei materassi appoggiandoli contro le uscite delle celle”, e questo avrebbe impedito loro di salvarsi dalle fiamme. Ma un video, circolato sui social poche ore dopo le sue dichiarazioni, ha mostrato in modo praticamente inoppugnabile l’altra faccia della verità.
Ossia che almeno due agenti in servizio nel centro dell’Inm, nonostante l’evidente presenza delle fiamme e di fumo, lo stavano abbandonando lasciando le celle chiuse a chiave. Di fronte a queste immagini, che hanno chiarito perché la somma dei morti e dei feriti è stata esattamente uguale al numero dei migranti chiusi nel centro da cui quindi nessuno è potuto uscire, López Obrador è stato costretto a riprendere il tema assicurando che “non sarà consentita alcuna impunità per eventuali responsabili di dolo o inefficienza durante l’incendio”. “Non nasconderemo nessuna responsabilità – ha proseguito – perché non c’è volontà di proteggere nessuno”. Il capo dello Stato ha poi aggiunto di aver chiesto al procuratore generale, Alejandro Gertz Manero, di occuparsi personalmente delle indagini, mentre “la Commissione nazionale per i diritti umani sta svolgendo il suo lavoro in modo indipendente”.
La commozione per questo dramma ha raggiunto anche Città del Messico dove oggi migranti e organizzazioni che li difendono hanno manifestato davanti al ministero dell’Interno per chiedere giustizia e la punizione dei colpevoli della morte di 39 persone e del ferimento di altre 29. I dimostranti, segnala il quotidiano La Jornada, portavano striscioni con i nomi dei defunti e candele, e Gabriela Hernández, direttrice del rifugio per migranti Tochan, ha auspicato che “questo drammatico episodio serva anche alle autorità del Messico per rivedere la loro politica di immigrazione, respingendo quella che hanno accettato su richiesta degli Stati Uniti”.
Quattro militari italiani impegnati nella missione di pace UNIFIL in Libano sono rimasti feriti a seguito di un attacco alla base situata nel sud del Paese. Fonti governative assicurano che i soldati, che si trovavano all’interno di uno dei bunker della base italiana a Shama, non sono in pericolo di vita. Le autorità italiane e internazionali hanno espresso forte indignazione per l’accaduto, mentre proseguono le indagini per ricostruire la dinamica dell’attacco.
UNIFIL UNITED NATIONS INTERIM FORCE IN LIBANO. SOLDATI DELLE NAZIONI UNITE (FOTO IMAGOECONOMICA)
La dinamica dell’attacco
Secondo le prime ricostruzioni, due razzi sarebbero stati lanciati dal gruppo Hezbollah durante un’escalation di tensioni con Israele. Al momento dell’attacco, la base italiana aveva attivato il livello di allerta 3, che impone ai militari l’utilizzo di elmetti e giubbotti antiproiettile. La decisione si era resa necessaria a causa della pericolosità crescente nell’area, teatro di scontri tra Israele e Hezbollah.
Un team di UNIFIL è stato inviato a Shama per verificare i dettagli dell’accaduto, mentre il governo italiano monitora attentamente la situazione.
UNIFIL UNITED NATIONS INTERIM FORCE IN LEBANON. FOTO IMAGOECONOMICA ANCHE IN EVIDENZA
Le dichiarazioni del ministro Crosetto
Il ministro della Difesa Guido Crosetto ha commentato con durezza l’attacco, definendolo “intollerabile”:
“Cercherò di parlare con il nuovo ministro della Difesa israeliano per chiedergli di evitare l’utilizzo delle basi UNIFIL come scudo. Ancor più intollerabile è la presenza di terroristi nel Sud del Libano che mettono a repentaglio la sicurezza dei caschi blu e della popolazione civile”.
Crosetto ha inoltre sottolineato la necessità di proteggere i militari italiani, impegnati in una missione delicata per garantire la stabilità nella regione.
La solidarietà del Presidente Meloni
Anche la Presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha espresso solidarietà ai militari feriti e alle loro famiglie, dichiarando:
“Apprendo con profonda indignazione e preoccupazione la notizia dei nuovi attacchi subiti dal quartier generale italiano di UNIFIL. Desidero esprimere la solidarietà e la vicinanza mia e del Governo ai feriti, alle loro famiglie e sincera gratitudine per l’attività svolta quotidianamente da tutto il contingente italiano in Libano. Ribadisco che tali attacchi sono inaccettabili e rinnovo il mio appello affinché le parti sul terreno garantiscano, in ogni momento, la sicurezza dei soldati di UNIFIL”.
Unifil: una missione per la pace
La missione UNIFIL, operativa dal 1978, ha il compito di monitorare il cessate il fuoco tra Israele e il Libano, supportare le forze armate libanesi e garantire la sicurezza nella regione. L’attacco alla base italiana evidenzia la crescente instabilità nell’area e i rischi a cui sono esposti i caschi blu impegnati nella missione di pace.
La trumpiana di ferro Marjorie Taylor Greene collaborerà con Elon Musk e Vivek Ramaswamy come presidente di una commissione della Camera incaricata di lavorare con il Dipartimento dell’efficienza. “Sono contenta di presiedere questa nuova commissione che lavorerà mano nella mano con il presidente Trump, Musk, Ramaswamy e l’intera squadra del Doge”, acronimo del Department of Government Efficiency, ha detto Greene, spiegando che la commissione si occuperà dei licenziamenti dei “burocrati” del governo e sarà trasparente con le sue audizioni. “Nessun tema sarà fuori dalla discussione”, ha messo in evidenza Greene.
Donald Trump nomina la fedelissima Pam Bondi a ministra della Giustizia. L’ex procuratrice della Florida ha collaborato con il presidente eletto durante il suo primo impeachment. “Come prima procuratrice della Florida si è battuta per fermare il traffico di droga e ridurre il numero delle vittime causate dalle overdosi di fentanyl. Ha fatto un lavoro incredibile”, afferma Trump sul suo social Truth annunciando la nomina, avvenuta dopo il ritito di Matt Gaetz travolto da scandali a sfondo sessuale. “Per troppo tempo il Dipartimento di Giustizia è stato usato contro di me e altri repubblicani. Ma non più. Pam lo riporterà al suo principio di combattere il crimine e rendere l’America sicura.
E’ intelligente e tosta, è una combattente per l’America First e farà un lavoro fantastico”, ha aggiunto il presidente-eletto. Bondi è stata procuratrice della Florida fra il 2011 e il 2019, quando era governatore Rick Scott. Al momento presiede il Center for Litigation all’America First Policy Institute, un think tank di destra che sta lavorando con il transition team di Trump sull’agenda amministrativa. Come procuratrice della Florida si è attirata l’attenzione nazionale per i suoi tentativi di capovolgere l’Obamacare, ma anche per la decisione di condurre un programma su Fox mentre era ancora in carica e quella di chiedere al governatore Scott di posticipare un’esecuzione per un conflitto con un evento di raccolta fondi.
La nomina di Bondi arriva a sei ore di distanza dal ritiro di Gaetz dalla corsa a ministro della Giustizia dopo le nuove rivelazioni sullo scandalo sessuale che lo ha travolto. Prima dell’annuncio, l’ex deputato della Florida era stato contattato da Trump che gli aveva riferito che la sua candidatura non aveva i voti necessari per essere confermata in Seanto. Almeno quattro senatori repubblicani, infatti, si era espressi contro e si erano mostrati irremovibili a cambiare posizione. Il nome di Bondi, riporta Cnn, era già nell’iniziale lista dei papabili ministro alla giustizia stilata prima di scegliere Gaetz. Quando l’ex deputato ha annunciato il suo passo indietro, il nome di Bondi è iniziato a circolare con insistenza fino all’annuncio.