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Via libera del Senato all’elezione diretta del Premier e abolizione dei senatori a vita

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Con 109 voti favorevoli, 77 contrari e un astenuto, il Senato ha dato il primo via libera alle riforme costituzionali che prevedono l’elezione diretta del presidente del Consiglio. Questa approvazione segna l’inizio di un percorso legislativo che vedrà il disegno di legge “viaggiare” almeno quattro volte tra i due rami del Parlamento, come richiesto per le leggi costituzionali.

Tra le principali novità della riforma troviamo l’elezione diretta del premier da parte del popolo per un mandato di cinque anni, rinnovabile solo una volta, l’abolizione dei senatori a vita, la costituzionalizzazione del premio di maggioranza e la modifica del “semestre bianco”. La maggioranza ha fortemente sostenuto queste riforme, mentre le opposizioni sono scese in piazza per protestare subito dopo il voto della Camera Alta.

Premierato

Il presidente del Consiglio sarà eletto a suffragio universale e diretto per cinque anni, con la possibilità di essere rieletto per non più di due mandati consecutivi. In caso abbia ricoperto l’incarico per meno di sette anni e sei mesi nelle prime due legislature, potrà essere rieletto una terza volta. Il premier riceverà l’incarico di formare il governo dal Presidente della Repubblica.

Elezione delle Camere e premio di maggioranza

Le elezioni del presidente del Consiglio e delle due Camere avverranno contestualmente. Il premier sarà eletto nella Camera in cui presenta la sua candidatura, garantendo che il presidente del Consiglio sia sempre un parlamentare. La legge elettorale dovrà prevedere l’assegnazione di un premio di maggioranza su base nazionale per garantire una maggioranza dei seggi in entrambe le Camere alle liste collegate al premier.

Norma anti-ribaltone

In caso di revoca della fiducia mediante mozione motivata, il premier eletto dovrà rassegnare le dimissioni e il Presidente della Repubblica scioglierà le Camere. In altri casi di dimissioni, il premier potrà chiedere lo scioglimento delle Camere al Presidente della Repubblica entro sette giorni.

Elezione del Capo dello Stato

La riforma stabilisce che l’elezione del Presidente della Repubblica avverrà a maggioranza assoluta dopo il sesto scrutinio, anziché al terzo, come attualmente previsto.

Poteri di controfirma

Alcuni atti del Presidente della Repubblica richiederanno la controfirma dei ministri proponenti, ad eccezione della nomina del premier, dei giudici della Corte Costituzionale, della concessione della grazia e della commutazione delle pene, dell’indizione delle elezioni e dei referendum, dei messaggi alle Camere e del rinvio delle leggi.

Modifica del semestre bianco

Il Presidente della Repubblica potrà sciogliere le Camere, sentiti i loro presidenti, anche negli ultimi sei mesi del suo mandato, se lo scioglimento è considerato un atto dovuto, come nel caso di una sfiducia al premier eletto.

Abolizione dei senatori a vita

Viene soppressa la figura dei senatori a vita. Coloro che sono stati nominati prima dell’entrata in vigore della legge rimarranno in carica con disposizione transitoria.

La riforma costituzionale rappresenta un significativo cambiamento nel sistema politico italiano, con l’obiettivo di modernizzare e rendere più efficiente la struttura governativa del paese. Tuttavia, l’approvazione definitiva richiederà ancora diversi passaggi legislativi e il confronto tra le varie forze politiche continuerà ad essere intenso.

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Fino a cinque anni di carcere per aggressioni ai medici

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Arresto obbligatorio in flagranza o in differita per chi compie atti di violenza contro i sanitari o danneggia beni destinati all’assistenza. Il governo corre ai ripari con un decreto legge contro l’escalation di violenze negli ospedali, che ha visto negli ultimi mesi un aumento delle aggressioni fisiche contro il personale dei nosocomi. Il testo approvato in Consiglio dei ministri prevede la reclusione fino a cinque anni e multe fino a diecimila euro. L’arresto in differita, ma non oltre le 48 ore, è invece previsto laddove ci siano filmati o altre prove che attestino il reato. Non a caso nella prossima legge di bilancio l’Esecutivo annuncia fondi per l’installazione di sistemi di videosorveglianza nelle strutture.

“Questi provvedimenti hanno un forte effetto deterrente. È intollerabile che chi lavora con grande sacrificio in ambulatori e pronto soccorso venga malmenato e che ambienti essenziali come quelli ospedalieri vengano devastati”, commenta il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, a proposito del decreto. Uno degli ultimi casi a far discutere in questo senso si era verificato al pronto soccorso di Prato, dove di notte un quindicenne aveva tenuto in ostaggio medici, pazienti in attesa e guardie giurate.

Una serie di episodi gravi si sono verificati anche a Foggia e a Manduria, dove i soccorritori del 118 erano stati presi a calci e pugni: solo in Puglia nell’ultimo anno – secondo i sindacati – le segnalazioni parlano di una aggressione ogni tre giorni, triplicate rispetto al 2023. E in Calabria, a Vibo Valentia, per contrastare il fenomeno, il prefetto ha stabilito che l’esercito vigilerà sull’ospedale della città. Tutto questo nonostante l’aumento dei posti di polizia negli ospedali nell’ultimo anno, passati da 120 a 196 mentre i poliziotti negli ospedali sono passati da 299 a 432. Intanto i sindacati dei medici esultano per la nuova stretta.

“L’approvazione del decreto legge è la risposta concreta e immediata ad una emergenza nazionale, plaudiamo e sosteniamo l’operato del ministro Orazio Schillaci”, commenta la Federazione Cimo-Fesmed. A parlare di “primo passo importante” è anche la Federazione nazionale degli ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri, che prosegue: “Crediamo che il governo ora debba dare delle precise indicazioni alle aziende sanitarie e alle Regioni perché adottino sistemi di videosorveglianza, utilizzando eventualmente anche i fondi del Pnrr, per poter consentire a questa norma di diventare realmente efficace”.

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Barbara Berlusconi, amareggia la scelta di Sala su Malpensa

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“È un tentativo di spostare l’attenzione dalle sue difficoltà”. “Da figlia sono amareggiata che il sindaco della città così tanto amata da mio padre usi la figura di Silvio Berlusconi per spostare l’attenzione mediatica dalle proprie difficoltà amministrative. Dall’incredibile vicenda dello stadio, alla sicurezza, alla viabilità, al totale immobilismo del settore edilizio dovuto agli scontri con la procura”.

Lo dichiara Barbara Berlusconi, commentando la decisione della giunta del Comune di Milano sul ricorso contro l’intitolazione dell’aeroporto di Malpensa all’ex premier. “Capisco che il sindaco tenti di accreditarsi come leader politico nazionale entro la fine del suo mandato, anche con iniziative di mera propaganda ideologica. Credo, però – conclude Barbara Berlusconi -, che farebbe meglio a concentrarsi di più sui problemi veri dei milanesi”.

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Autonomia, i quesiti delle cinque Regioni in Cassazione

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Dopo le firme per il referendum contro l’autonomia differenziata depositate ieri alla Corte di Cassazione, oggi è toccato ai rappresentanti di cinque Regioni di centrosinistra salire le scale a Piazza Cavour per presentare i due quesiti votati dai consigli di Campania, Emilia Romagna, Puglia, Sardegna e Toscana. Uno per la cancellazione totale della norma e un altro parziale, come “strumento di riserva”. Intanto la Consulta ha anticipato a novembre il pronunciamento sui ricorsi diretti, giudizio che potrebbe, di fatto, anticipare il referendum e la sua ammissibilità.

Il presidente del Consiglio regionale della Campania, Gennaro Oliviero, auspica di andare rapidamente al voto referendario per abrogare una legge che definisce “iniqua contro il Mezzogiorno”. Autonomia che, per il presidente del Consiglio regionale sardo, Piero Comandini, rischia di creare “disparità tra i cittadini”.

Dopo che l’Italia “attraverso la Costituzione ha garantito oltre 70 anni di unità e gli stessi diritti per tutti”. A commentare la legge, davanti alla Cassazione, è anche la consigliera pugliese Grazia Di Bari secondo cui l’autonomia differenziata “andrà a spacchettare l’Italia in tanti piccoli staterelli” creando così “un divario ancora più grande”.

Proprio di unità parla, infatti, il presidente della Regione Campania, Vincenzo De Luca, a Salerno, che ribadisce come nessuno sia per una “guerra Nord-Sud”. “Noi siamo per unire questo Paese – ha sottolineato – per unire le forze dinamiche, produttive, sane dell’Italia. L’Italia o si salva tutta insieme o va a fuoco”. Di “una grande opportunità per tutti” parla al contrario il presidente del Veneto, Luca Zaia, secondo cui con i fatti verrà dimostrato che “non è la secessione dei ricchi” né la volontà “di valorizzare solo alcune parti del Paese”.

Ma ancora prima che sul referendum, una prima risposta è attesa quindi a novembre quando la Corte Costituzionale dovrà esprimersi sul ricorso diretto contro la legge Calderoli presentato da quattro delle cinque regioni che hanno depositato i quesiti referendari: Campania, Puglia, Sardegna e Toscana. nel caso di ammissibilità dei ricorsi e la conseguente incostituzionalità (totale) dell’autonomia differenziata non si andrebbe alle urne.

“Speriamo bene”, è la risposta del presidente del consiglio regionale campano, mentre per Comandini, “qualunque strada porti al risultato finale di creare una pietra tombale su questa legge va benissimo”. Il governo però va avanti. Il ministro per gli Affari regionali e le Autonomie fa sapere che quattro Regioni – Liguria, Lombardia, Piemonte e Veneto, tutte a trazione centrodestra – hanno presentato la richiesta di avvio dei negoziati per le materie che non riguardano i livelli essenziali delle prestazioni (Lep). Zaia guarda, quindi, al 3 ottobre, una data in cui immagina “si andrà a incardinare quello che è il cronoprogramma dei lavori per l’Autonomia”.

Quanto ai Lep ieri Calderoli ha ricordato che la definizione spetta “alla politica e non al comitato di Cassese”, riferendosi al gruppo di lavoro presieduto dal costituzionalista che, secondo indiscrezioni, tra le varie ipotesi avrebbe avanzato anche quella di un indicatore del “costo della vita” nei vari territori del Paese che potrebbe differenziare i finanziamenti delle regioni su sanità, trasporti e scuola.

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