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Esteri

Venti di guerra in Kashmir, Pakistan abbatte jet indiani

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Le tensioni tra Pakistan e India subiscono un’ulteriore, pericolosa impennata con una battaglia aerea nei cieli del Kashmir, mentre dalla comunita’ internazionale arrivano appelli alla moderazione per prevenire un’escalation tra le due potenze nucleari. Difficile ricostruire gli avvenimenti che hanno portato alla nuova escalation tra Pakistan e India, a causa delle versioni contrastanti.

Abbattuti due aerei Mig indiani

Le forze armate di Islamabad affermano di avere abbattuto due Mig indiani, uno dei quali è precipitato nella parte del Kashmir sotto il controllo pachistano. Il pilota è stato fatto prigioniero. Prima è stato mostrato sul greto di un fiume picchiato dalla gente. Poi mostrato in un video mentre beve il te’ e afferma di essere trattato bene. Da parte sua, New Delhi conferma l’abbattimento di uno solo dei propri aerei e aggiunge che accertamenti sono in corso sulla sorte del pilota. Per contro, le autorita’ indiane affermano di avere a loro volta abbattuto un jet ‘nemico’ che sarebbe stato visto precipitare. Il Pakistan ha annunciato subito dopo la chiusura del proprio spazio aereo ai voli commerciali. Altrettanto ha fatto l’India per la regione a nord di Delhi. Ma anche voli diretti allo scalo internazionale Indira Gandhi della capitale sono stati dirottati a sud. E, in questo quadro, e’ critica la situazione dell’alpinista italiano Daniele Nardi, impegnato nella scalata invernale del Nanga Parbat, e disperso da domenica scorsa a circa 6.000 metri di quota con l’inglese Tom Ballard. La chiusura dello spazio aereo ha bloccato le ricerche, impedendo il decollo dell’elicottero di soccorso.

La battaglia nei cieli del Kashmir

La battaglia nei cieli del Kashmir lungo la cosiddetta Linea di Controllo (Loc) ha fatto seguito a cannoneggiamenti tra le due parti durante la notte – che secondo Islamabad hanno ucciso sei civili pachistani – dopo che martedi’ jet indiani avevano compiuto raid nella parte pachistana del Kashmir su quella che hanno descritto come una base del gruppo armato Jaish-e Mohammed (Esercito di Maometto). L’organizzazione ha rivendicato un attacco avvenuto il 14 febbraio contro milizie paramilitari indiane a Pulwama, nel Kashmir sotto il controllo di New Delhi, che ha provocato almeno 40 morti, riaccendendo antiche tensioni. Nessuna spiegazione e’ invece stata finora fornita di quanto accaduto ad un elicottero militare di New Delhi precipitato nei pressi di Srinagar, la principale citta’ del Kashmir indiano. Almeno 6 militari a bordo rimasti uccisi, piu’ un civile a terra. Diversi governi stranieri hanno fatto appello ai due Paesi – che dal ’47 hanno combattuto quattro guerre, tre per controllare del Kashmir – perche’ esercitino moderazione. Il segretario di Stato Usa Mike Pompeo ha parlato al telefono con i ministri degli Esteri pachistano e indiano, a cui ha chiesto di astenersi da “ulteriori attivita’ militari”. Analoghi inviti giungono dalla Russia e dalla Gran Bretagna, oltre che dalla Cina, che controlla il 20% della regione contesa del Kashmir e che nel 1962 ha anch’essa combattuto una breve guerra con l’India. Temendo che la fiammata possa estendersi oltre i confini indo-pachistani, Pechino spera che i due Paesi “tengano a mente la pace e la stabilita’ della regione”.

Imran Khan manda messaggio al premier indiano

Il primo a raccogliere l’invito, almeno a parole, e’ stato il premier pachistano, Imran Khan, che in un messaggio alla nazione ha invitato l’India al dialogo: “il buon senso deve prevalere”, ha detto sottolineando, con evidente riferimento agli arsenali atomici indiano e pachistano, che “con le armi che abbiamo, pensate forse che possiamo rischiare errori di calcolo?”. A New Delhi, intanto, osservatori e politici dell’opposizione si chiedono perche’ il governo del premier Narendra Modi abbia deciso un attacco aereo, con il rischio di riportare India e Pakistan sull’orlo della guerra. Gli oppositori, primo fra tutti il leader del Partito del Congresso Rahul Ghandhi, avanzano il dubbio che obiettivo del premier sia quello di rafforzare il sostegno interno in vista delle prossime politiche.

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La trumpiana Greene lavorerà con Musk e Ramaswamy a taglio costi

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La trumpiana di ferro Marjorie Taylor Greene collaborerà con Elon Musk e Vivek Ramaswamy come presidente di una commissione della Camera incaricata di lavorare con il Dipartimento dell’efficienza. “Sono contenta di presiedere questa nuova commissione che lavorerà mano nella mano con il presidente Trump, Musk, Ramaswamy e l’intera squadra del Doge”, acronimo del Department of Government Efficiency, ha detto Greene, spiegando che la commissione si occuperà dei licenziamenti dei “burocrati” del governo e sarà trasparente con le sue audizioni. “Nessun tema sarà fuori dalla discussione”, ha messo in evidenza Greene.

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Pam Bondi, fedelissima di Trump a ministero Giustizia

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Donald Trump nomina la fedelissima Pam Bondi a ministra della Giustizia. L’ex procuratrice della Florida ha collaborato con il presidente eletto durante il suo primo impeachment. “Come prima procuratrice della Florida si è battuta per fermare il traffico di droga e ridurre il numero delle vittime causate dalle overdosi di fentanyl. Ha fatto un lavoro incredibile”, afferma Trump sul suo social Truth annunciando la nomina, avvenuta dopo il ritito di Matt Gaetz travolto da scandali a sfondo sessuale. “Per troppo tempo il Dipartimento di Giustizia è stato usato contro di me e altri repubblicani. Ma non più. Pam lo riporterà al suo principio di combattere il crimine e rendere l’America sicura.

E’ intelligente e tosta, è una combattente per l’America First e farà un lavoro fantastico”, ha aggiunto il presidente-eletto. Bondi è stata procuratrice della Florida fra il 2011 e il 2019, quando era governatore Rick Scott. Al momento presiede il Center for Litigation all’America First Policy Institute, un think tank di destra che sta lavorando con il transition team di Trump sull’agenda amministrativa. Come procuratrice della Florida si è attirata l’attenzione nazionale per i suoi tentativi di capovolgere l’Obamacare, ma anche per la decisione di condurre un programma su Fox mentre era ancora in carica e quella di chiedere al governatore Scott di posticipare un’esecuzione per un conflitto con un evento di raccolta fondi.

La nomina di Bondi arriva a sei ore di distanza dal ritiro di Gaetz dalla corsa a ministro della Giustizia dopo le nuove rivelazioni sullo scandalo sessuale che lo ha travolto. Prima dell’annuncio, l’ex deputato della Florida era stato contattato da Trump che gli aveva riferito che la sua candidatura non aveva i voti necessari per essere confermata in Seanto. Almeno quattro senatori repubblicani, infatti, si era espressi contro e si erano mostrati irremovibili a cambiare posizione. Il nome di Bondi, riporta Cnn, era già nell’iniziale lista dei papabili ministro alla giustizia stilata prima di scegliere Gaetz. Quando l’ex deputato ha annunciato il suo passo indietro, il nome di Bondi è iniziato a circolare con insistenza fino all’annuncio.

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Da Putin a Gheddafi, i leader nel mirino dell’Aja

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Con il mandato d’arresto spiccato contro il premier israeliano Benyamin Netanyahu, insieme all’ex ministro della Difesa Yoav Gallant, si allunga la lista dei capi di Stato e di governo perseguiti dalla Corte penale internazionale con le accuse di crimini di guerra e crimini contro l’umanità. Da Muammar Gheddafi a Omar al Bashir, e più recentemente Vladimir Putin. Ultimo in ordine di tempo era stato appunto il presidente russo, accusato nel marzo del 2023 di “deportazione illegale” di bambini dalle zone occupate dell’Ucraina alla Russia, insieme a Maria Alekseyevna Lvova-Belova, commissaria per i diritti dei bambini del Cremlino.

Sempre a causa dell’invasione dell’Ucraina nel mirino della Corte sono finiti in otto alti gradi russi, tra cui l’ex ministro della Difesa Sergei Shoigu e l’attuale capo di stato maggiore Valery Gerasimov: considerati entrambi possibili responsabili dei ripetuti attacchi alle infrastrutture energetiche ucraine. Prima di Putin, nel 2011 l’Aja accusò di crimini contro l’umanità Muammar Gheddafi, ma il caso decadde con la morte del rais libico nel novembre dello stesso anno.

Un simile provvedimento fu emesso per il figlio Seif al Islam e per il capo dei servizi segreti Abdellah Senussi. Tra gli altri leader di spicco perseguiti, l’ex presidente sudanese Omar al Bashir: nel 2008 il procuratore capo della Corte Luis Moreno Ocampo lo accusò di essere responsabile di genocidio e crimini contro l’umanità e della guerra in Darfur cominciata nel 2003. Anche Laurent Gbagbo, ex presidente della Costa d’Avorio, è finito all’Aja, ma dopo un processo per crimini contro l’umanità è stato assolto nel 2021 in appello.

Nel 2016 la Corte penale internazionale ha condannato l’ex vicepresidente del Congo, Jean-Pierre Bemba, per assassinio, stupro e saccheggio in quanto comandante delle truppe che commisero atrocità continue e generalizzate nella Repubblica Centrafricana nel 2002 e 2003. Il signore della guerra ugandese Joseph Kony, che dovrebbe rispondere di ben 36 capi d’imputazione tra cui omicidio, stupro, utilizzo di bambini soldato, schiavitù sessuale e matrimoni forzati, è la figura ricercata dalla Cpi da più tempo: il suo mandato d’arresto venne spiccato nel 2005. Tra gli altri dossier aperti e su cui indaga l’Aja c’è l’inchiesta sui crimini contro la minoranza musulmana dei Rohingya in Birmania. Un’altra indagine è quella su presunti crimini contro l’umanità commessi dal governo del presidente venezuelano Nicolas Maduro. E non è solo l’Aja ad aver processato capi di Stato e di governo: nel 2001, l’ex presidente Slobodan Milosevic fu accusato di crimini di guerra, genocidio e crimini contro l’umanità dal Tribunale penale internazionale per l’ex Jugoslavia. Arrestato, morì d’infarto in cella all’Aja nel 2006, prima che il processo potesse concludersi.

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