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Salute

Vaiolo delle scimmie, l’Oms: è una emergenza sanitaria globale

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La diffusione del vaiolo delle scimmie preoccupa sempre di più l’Organizzazione mondiale della Sanità al punto che ha dichiarato l’epidemia “emergenza sanitaria globale”. La decisione è stata comunicata dal direttore generale, Tedros Adhanom Ghebreyesus, a due giorni dalla seconda riunione del Comitato di emergenza per i regolamenti sanitari internazionali dell’Oms sul virus monkeypox. Da inizio maggio, quando e’ stata rilevata al di fuori dei Paesi africani dove e’ endemica, la malattia ha colpito quasi17mila persone in 74 Paesi, secondo il Centro americano per il controllo e la prevenzione delle malattie (Cdc). L’Europa si conferma epicentro dei contagi: 10.604 secondo l’ultimo bollettino congiunto del Centro europeo per la prevenzione ed il controllo delle malattie (Ecdc) e dell’Ufficio regionale per l’Europa dell’Oms (dati al 19 luglio). “Ho deciso di dichiarare un’emergenza sanitaria pubblica di rilevanza internazionale”, ha affermato il direttore generale dell’Oms, precisando che il rischio nel mondo e’ relativamente moderato, a parte in Europa dove e’ alto. Ha inoltre detto che il comitato di esperti non e’ riuscito a raggiungere un consenso, rimanendo diviso sulla necessita’ di attivare il massimo livello di allerta. Alla fine, e’ spettato al direttore generale decidere. In 11 anni e’ la settima volta che l’Oms ricorre a questa scelta: la prima fu nel 2009 con la cosiddetta influenza H1N1, poi nel 2014 con la poliomielite, ancora nel 2014 e poi nel 2019 con ebola, in mezzo nel 2015 con Zika e infine ora con 2019-nCoV. In Italia, dove finora “sono stati registrati 407 casi con tendenza alla stabilizzazione”, afferma il direttore generale della prevenzione del ministero della Salute, Gianni Rezza, “la situazione e’ sotto costante monitoraggio ma non si ritiene debba destare particolari allarmismi”. Il Ministero della Salute ha gia’ predisposto, insieme alle Regioni e Province Autonome, le modalita’ di segnalazione dei singoli casi. In provincia di Cremona sono state riscontrate oggi due infezioni attestate dall’Ats Val Padana: uno dei due contagiati e’ gia’ guarito, l’altro e’ ancora sottoposto a terapia specifica ma sta bene. “Non e’ una malattia eccessivamente pericolosa, pero’ i numeri sono importanti nel senso che non e’ un fenomeno, cioe’ non c’era questa malattia – afferma Carlo Signorelli, docente di Igiene e salute Pubblica dell’Istituto San Raffaele di Milano – L’Oms ragiona con una logica di attivare i sistemi di sorveglianza in modo da non farsi cogliere impreparata da qualche variante. Una malattia nuova o comunque che si diffonde dove non c’era, deve sempre indurre le autorita’ sanitarie a una grande attenzione, l’Oms parla al mondo, a tutti Paesi e questo e’ un fenomeno da seguire”. Intanto l’Unione Europea si e’ assicurata altre 54.530 dosi del vaccino contro il vaiolo delle scimmie, portando a 163.620 il numero totale di dosi acquistate per gli Stati membri, ha reso noto la Commissione giorni fa, aggiungendo che le consegne dei vaccini “continueranno a essere effettuate nelle prossime settimane e mesi e per tutto il resto dell’anno”. Inoltre il comitato per i medicinali per uso umano dell’Agenzia europea del farmaco ha raccomandato di estendere l’indicazione del vaccino contro il vaiolo Imvanex anche per includere l’uso per la protezione degli adulti dal vaiolo delle scimmie.

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Un antidepressivo contro il tumore del cervello più aggressivo

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Un comune farmaco antidepressivo già in commercio e poco costoso, chiamato vortioxetina, potrebbe aiutare a combattere uno dei tumori del cervello più aggressivi, il glioblastoma: lo dimostrano i primi esperimenti condotti su cellule in provetta e topi dai ricercatori del Politecnico federale di Zurigo. I risultati, pubblicati su Nature Medicine, stanno già aprendo la strada ai primi test clinici sull’uomo, che saranno condotti in collaborazione con l’Ospedale universitario di Zurigo.

Il glioblastoma è un tumore particolarmente aggressivo: interventi chirurgici, radio e chemioterapia possono prolungare l’aspettativa di vita. La difficoltà di trovare terapie efficaci sta nel fatto che molti farmaci antitumorali non riescono ad attraversare la barriera emato-encefalica per raggiungere il cervello, e ciò limita la scelta dei possibili trattamenti. I ricercatori guidati da Berend Snijder dell’Eth di Zurigo hanno quindi focalizzato le loro ricerche sulle sostanze neuroattive che riescono a superare la barriera emato-encefalica, come antidepressivi, farmaci per il Parkinson e antipsicotici.

In totale, hanno selezionato 130 molecole che hanno poi testato in contemporanea su cellule tumorali di 40 pazienti grazie a una speciale piattaforma di screening chiamata farmacoscopia. I risultati hanno dimostrato che alcuni antidepressivi sono inaspettatamente efficaci contro le cellule tumorali: la performance migliore è quella della vortioxetina, che innesca una rapida cascata di segnali cellulari riscostruita grazie a un modello computerizzato. Successivamente i ricercatori hanno testato la vortioxetina su topi con un glioblastoma, rilevando una buona efficacia soprattutto in combinazione con l’attuale trattamento standard. Sulla base di questi risultati, si stanno già avviando due studi clinici: nel primo, i pazienti affetti da glioblastoma saranno trattati con vortioxetina in aggiunta al trattamento standard (chirurgia, chemioterapia, radioterapia), mentre nel secondo trial i pazienti riceveranno una selezione personalizzata di farmaci messa a punto con la piattaforma di farmacoscopia.

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Alzheimer: l’assistenza pesa su 3 milioni di familiari

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Circa 600mila persone in Italia ne soffrono, solo il 20% dei pazienti riceve una diagnosi precoce mentre sono circa 3 milioni i familiari che si occupano dell’assistenza dei loro cari. Sono i numeri dell’Alzheimer in Italia, di cui il 21 settembre si celebra la Giornata mondiale. E anche il Papa ha voluto ricordare durante l’udienza generale: “Preghiamo affinché la scienza medica possa offrire presto prospettive di cura per questa malattia e perché si attivino sempre più opportuni interventi a sostegno dei malati e delle loro famiglie”, ha detto Bergoglio.

La malattia può progredire lentamente nell’arco di 10-20 anni, passando dalla fase preclinica non sintomatica, alla demenza grave, con ricadute sempre maggiori sulla vita quotidiana della persone. E ad accorgersi per primi dei sintomi, spesso subdoli e sottovalutati, sono di frequente i parenti dei malati sui quali grava l’assistenza. “Inizia spesso con piccoli segni, di cui a volte non è facile accorgersi – spiega Alessandro Padovani, direttore della Clinica neurologica dell’Università di Brescia e presidente della Società italiana di neurologia – A volte, soprattutto nelle persone avanti negli anni, questi piccoli deficit non vengono riconosciuti: dimenticare dove si è posteggiata l’auto, attribuire dei nomi diversi alle persone che si conoscono, o anche solo cambiare abitudini.

È importante non derubricare, o ritenere che tutto questo sia normalmente legato all’invecchiamento”. A ritardare il primo accesso al percorso diagnostico contribuiscono l’impreparazione dei sistemi sanitari e lo stigma rispetto alla malattia. Una maggiore consapevolezza dei primi sintomi per rendere sempre più frequente una diagnosi precoce sono gli obiettivi della campagna ‘Pensaci, per non dimenticarlo”, lanciata da Lilly. Quasi la metà (il 49%) degli italiani è preoccupata che l’Alzheimer possa in futuro riguardarla personalmente o colpire uno dei propri cari, solo 1 italiano su 10 si dichiara “molto informato” su questa patologia, come emerge da una ricerca realizzata per conto di Airalzh onlus (Associazione italiana ricerca Alzheimer) che lancia anche una campagna di sensibilizzazione per invitare le persone ad essere più consapevoli dei benefici di un corretto stile di vita, e ad adottarli anche come prevenzione alle demenze. In generale il declino cognitivo e la demenza preoccupano 9 italiani su 10 e interessano 2 milioni di pazienti e 4 milioni di caregiver, secondo un’altra indagine dell’istituto ‘Emg Different’. Ciò che impensierisce di più è la relativa perdita di autonomia, l’isolamento e il carico emotivo ed economico sulla famiglia, anche a causa della carenza di servizi socio-assistenziali.

E “con l’aumento dell’aspettativa di vita, la demenza è destinata ad acquisire sempre più rilevanza: oggi ne soffre il 7% della popolazione over-60 e la percentuale sale al 30% negli over-85 – sottolinea afferma Camillo Marra, presidente Sindem, Associazione autonoma aderente alla Sin per le demenze. Tra le iniziative anche una mostra fotografica alla Galleria dei presidenti di Montecitorio con le immagini del quotidiano immortalate dalla figlia di una donna malata di Alzheimer, l’artista Serena Becagli. Tra gli scatti esposti una caffettiera traboccante di caffè macinato e posate messe ad asciugare nella carta igienica, forbici immerse nella zuccheriera. “Iniziative come queste – afferma la deputata Annarita Patriarca, co-presidente dell’intergruppo parlamentare per le neuroscienze e l’Alzheimer – intendono accendere una luce per non dimenticare. Abbiamo bisogno di conoscere e far conoscere che cosa è l’Alzheimer e il sacrificio dei caregiver, per fare in modo che, attraverso la sensibilizzazione, si dia una mano a chi ha bisogno e si orientino le scelte nella direzione di chi soffre e di chi dedica la sua vita ai pazienti”.

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Scoperto un nuovo gruppo sanguigno dopo 50 anni di mistero, è il gruppo Mal

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Identificato un nuovo gruppo sanguigno, il rarissimo Mal: i ricercatori erano sulle sue tracce da oltre mezzo secolo, da quando nel 1972 fu trovata una donna misteriosamente priva di una molecola, l’antigene AnWj, che è presente sulla superficie dei globuli rossi nel 99,9% delle persone.

La scoperta dell’origine genetica di questa condizione, pubblicata sulla rivista Blood dai ricercatori del National Health Service Blood and Transplant nel Regno Unito, porta a 47 il numero dei sistemi di gruppi sanguigni noti finora (tra cui i celebri sistemi ABO e Rh) e apre la strada a trasfusioni di sangue più sicure. I risultati di questa ricerca permetteranno infatti di sviluppare nuovi test genetici per rilevare quei rari pazienti che sono AnWj-negativi, riducendo così il rischio di complicazioni associate alla trasfusione.

La maggior parte delle persone AnWj-negative deve la loro condizione a malattie ematologiche o a particolari tipi di tumore che sopprimono l’espressione dell’antigene normalmente presente sulla proteina Mal. Solo un numero molto esiguo di persone è AnWj-negativo per una causa genetica. I ricercatori l’hanno scoperta esaminando non solo il sangue della paziente identificata nel 1972, ma anche quello dei membri di una famiglia arabo-israeliana con cinque individui AnWj-negativi. Per ciascuna persona è stato sequenziato l’intero esoma, ovvero il Dna che codifica proteine.

Dai risultati è emerso che i rari casi genetici di negatività all’antigene AnWj sono dovuti a delezioni di sequenze di Dna in entrambe le copie del gene Mal. Lo studio “rappresenta un enorme risultato e il culmine di un lungo lavoro di squadra, per stabilire finalmente questo nuovo sistema di gruppi sanguigni ed essere in grado di offrire la migliore assistenza a pazienti rari ma importanti”, commenta la prima autrice dello studio, Louise Tilley del Nhs Blood and Transplant di Bristol. “Il lavoro è stato difficile perché i casi genetici sono molto rari. Non avremmo raggiunto questo obiettivo senza il sequenziamento dell’esoma, perché il gene che abbiamo identificato non era un candidato ovvio e si sa poco della proteina Mal nei globuli rossi”.

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