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Usa, ‘se Putin non vuole truppe a Kursk lasci l’Ucraina’

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Se l’offensiva ucraina nella regione russa di Kursk “non piace a Putin, se la cosa lo mette un po’ a disagio, allora c’è una soluzione semplice: può andarsene dall’Ucraina e farla finita”: il portavoce del Consiglio per la sicurezza nazionale statunitense, John Kirby, mette in chiaro che Kiev ha il pieno appoggio di Washington nella sua incursione che ormai da una settimana ha portato la guerra in Russia e imbarazzo al Cremlino. E oggi come non accadeva da mesi, Kiev guarda con ottimismo al futuro: “Nonostante le battaglie difficili e intense, le nostre forze continuano ad avanzare”, ha dichiarato Volodymyr Zelensky ormai a carte scoperte, rivendicando che “74 comunità sono sotto il controllo ucraino”. Di tutt’altro tenore le dichiarazioni provenienti da Mosca, secondo cui invece le forze russe continuano a respingere i tentativi ucraini di penetrare in profondità mentre bombarda le riserve delle forze armate di Kiev nell’oblast di Sumy. Prima di Zelensky, già il portavoce del ministero degli Esteri ucraino Heorhii Tyhiy aveva reclamato successi dell’operazione ucraina, spiegando che l’offensiva nel Kursk “impedisce alla Russia di trasferire ulteriori unità a Donetsk e complica la sua logistica militare”.

A Kiev non interessa annettere alcun territorio russo, ha poi assicurato il portavoce di Kiev, ma solo colpire “strutture militari e contingenti militari” russi. E “quanto prima la Russia accetterà di ristabilire una pace equa, tanto prima cesseranno le incursioni ucraine sul territorio russo”. Il quadro si delinea sempre più chiaro nelle parole dei funzionari ucraini: l’operazione a Kursk serve ad alleggerire la pressione sul fronte est della guerra e guadagnare un ‘fondo di scambio’ – come lo ha definito lo stesso Zelensky – da usare contro i russi per riottenere i territori occupati. Il presidente ucraino è forte del sostegno americano e anche dei partner occidentali, con la Commissione europea che si è detta “pienamente a favore dell’esercizio legittimo all’autodifesa da parte dell’Ucraina” anche attraverso l’incursione di Kursk. Dall’altra parte la Russia, tramite il suo vice rappresentante all’Onu Dmitri Polyansky, ha parlato di “crimine” e “barbaro attacco”, col quale Kiev ha mostrato il suo “vero volto” e per cui merita “null’altro che una sconfitta totale e una resa incondizionata”.

Intanto, proseguono le evacuazioni: altri 2.000 civili hanno lasciato in 24 ore le aree dei combattimenti nell’oblast russo, ha detto Artyom Sharov, del ministero delle Emergenze russo, dopo che il giorno prima il governatore di Kursk, Alexei Smirnov, aveva comunicato un bilancio di circa 121.000 evacuati dall’inizio dell’incursione il 6 agosto. E sul destino dei civili è intervenuta nel frattempo anche l’agenzia per i diritti umani delle Nazioni Unite, dicendosi “preoccupata” per il possibile impatto delle battaglie sulla popolazione inerme di Kursk. “Ovunque si verifichino operazioni militari da entrambe le parti, la protezione dei civili in conformità con il diritto umanitario internazionale deve essere la massima priorità”, ha affermato la portavoce dell’agenzia riferendo che l’Onu ha ricevuto resoconti non verificati di almeno quattro civili uccisi, più un corrispondente di guerra e una paramedica feriti. Mentre l’offensiva ucraina a Kursk prosegue, la guerra si intensifica a est, dove secondo lo stato maggiore ucraino le truppe russe hanno lanciato in 24 ore 52 assalti nell’area di Pokrovsk, nel Donetsk: sono circa il doppio degli attacchi giornalieri di una settimana fa. In risposta, le autorità filorusse del Lugansk hanno denunciato che due persone sono state uccise e oltre 30 sono rimaste ferite dopo che le forze ucraine hanno bombardato un autobus con dei civili nella città di Lisichansk.

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Verso l’età minima per l’utilizzo dei social network

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Il governo australiano si prepara vietare i social network ai più giovani stabilendo un’età minima per l’accesso. Ad annunciare la novità è stato il premier Anthony Albanese, il quale si è augurato che la misura possa allontanare i bambini dai dispositivi elettronici e avvicinarli, invece, “ai campi da calcio”. La legge federale in questo senso, ha aggiunto il primo ministro, sarà introdotta già quest’anno. L’età minima per l’accesso a siti come Facebook, Instagram e TikTok non è stata ancora stabilita ma dovrebbe essere tra i 14 e 16 anni. Un esperimento di verifica dell’età sarà portato avanti nei prossimi mesi prima dell’entrata in vigore della legge alla fine del 2024. “Voglio vedere i bambini lontani dai telefonini – le parole di Albanese in un’intervista alla Abc – e invece nei campi di calcio, nelle piscine, nei campi da tennis. Vogliamo che abbiano esperienze reali con persone reali perché sappiamo che i social media causano danni sociali”.

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Caccia israeliani attaccano in Siria, decine di morti. Ira di Teheran

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Israele torna a colpire in Siria. Dopo l’attacco dello scorso aprile al consolato iraniano a Damasco che aveva provocato una risposta senza precedenti di Teheran con droni e missili contro lo Stato ebraico, stavolta i jet dell’Idf hanno colpito nella notte tra domenica e lunedì diversi siti militari nella zona di Masyaf, nella provincia centro-occidentale di Hama, causando decine di vittime e suscitando nuovamente l’ira dell’Iran. Secondo l’Osservatorio nazionale per i diritti umani in Siria, almeno 26 persone sono rimaste uccise nei raid che avrebbero preso di mira, con 14 missili, anche un centro di ricerca che sviluppa armi iraniane, in particolare “droni e missili di precisione”. Tra le vittime identificate, ha aggiunto l’ong con sede a Londra, ci sono 11 miliziani siriani filo-iraniani, 2 combattenti degli Hezbollah libanesi, 4 militari governativi e almeno 5 civili.

I feriti sono almeno 32. Si tratta di “uno dei raid più violenti” condotti da Israele in Siria, ha commentato il direttore Rami Abdel Rahman. L’esercito israeliano, come di consueto, non ha confermato gli attacchi in territorio siriano, mentre Damasco – che ha denunciato la morte di “18 martiri” – ha rivendicato, attraverso l’agenzia ufficiale Sana, di aver “abbattuto alcuni missili” del “nemico israeliano”. Il ministero degli Esteri siriano ha inoltre accusato Israele di “provocare un’ulteriore escalation nelle regione”. Ma è soprattutto Teheran ad alzare i toni nel condannare l’attacco definendolo un atto “criminale” e respingendo le ricostruzioni secondo cui sarebbe stato colpito un sito di produzioni di armi iraniane. “L’affermazione è completamente priva di fondamento”, ha sottolineato il portavoce del ministero degli Esteri, Nasser Kanani, costretto nelle stesse ore a smentire anche le affermazioni dell’Ue secondo cui la Repubblica islamica sta fornendo missili anche alla Russia per la guerra contro l’Ucraina. “I sostenitori del regime israeliano dovrebbero smettere di armare i sionisti”, ha aggiunto il portavoce invitando le Nazioni Unite a “prendere misure più serie contro i crimini barbari del regime sionista”.

Rifiutando di firmare un accordo per il cessate il fuoco a Gaza, ha quindi proseguito, Israele “sta aprendo le porte dell’inferno”. Lo Stato ebraico ha tuttavia già messo in guardia più volte l’Iran dall’espandersi in Siria e dal continuare ad armare e sostenere i suoi nemici diretti come gli Hezbollah libanesi contro i quali l’Idf ha pronto un “piano operativo”. Dal 7 ottobre di un anno fa, infatti, si sono moltiplicati gli scontri al confine nord di Israele con il lancio di razzi da una parte e raid aerei dall’altra. Caccia ed elicotteri israeliani hanno attaccato anche la scorsa notte strutture militari di Hezbollah nel sud del Libano, ha annunciato l’Idf. I miliziani filoiraniani hanno risposto lanciando droni e colpendo un edificio residenziale nella città costiera di Nahariya, senza provocare vittime.

“L’esercito israeliano opera con forza nel nord ed è a un alto livello di prontezza, con piani operativi ghià fatti per qualsiasi missione necessaria”, ha avvertito il capo di stato maggiore, il generale Herzi Halevi, definendo l’attacco a Nahariya “un incidente grave”. Ma mentre l’esercito si dichiara pronto per il fronte nord, cresce ancora in Israele la richiesta al governo di Benyamin Netanyahu di raggiungere un accordo con Hamas per una tregua a Gaza e la liberazione degli ostaggi israeliani ancora nella Striscia.

L’ex ministro Benny Gantz, dimessosi lo scorso giugno dal governo di emergenza nato dopo il 7 ottobre in dissenso con il premier, ha avvertito: “Senza un accordo con Hamas per un cessate il fuoco a Gaza, una guerra con Hezbollah è imminente”. “Ascolto il grido delle famiglie degli ostaggi che hanno perso ciò che avevano di più caro. E sto facendo tutto il possibile per riportare a casa gli ostaggi e vincere la guerra”, ha poi dichiarato Netanyahu, dopo un colloquio teso con Elhanan Danino, padre di uno dei sei ostaggi giustiziati nei giorni scorsi da Hamas.

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Harris-Trump, il duello tv che può cambiare le elezioni

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Potrebbe bastare una scivolata o una battuta azzeccata a decretare l’esito del dibattito tv martedì sera tra Kamala Harris e Donald Trump. E forse anche delle elezioni americane, tra meno di due mesi. I due rivali sono di fatto testa e testa nei sondaggi e il duello tv, potenzialmente l’unico di questa campagna, potrebbe diventare decisivo per un allungo. Gli archivi sono pieni di momenti memorabili che hanno segnato i confronti tra candidati presidenziali: dall’ironico commento dell’allora 73enne Ronald Reagan contro il 56enne sfidante Walter Mondale (“non sfrutterò a fini politici la giovinezza e l’inesperienza del mio avversario”) alla frase killer del tycoon nell’ultimo disastroso dibattito di Joe Biden (“non so davvero cosa abbia detto alla fine di questa frase, penso che neppure lui lo sappia”).

Intanto scatta la pre-tattica della vigilia. In un’intervista radiofonica Kamala ha detto di aspettarsi dal tycoon “menzogne e attacchi personali”, secondo il “vecchio copione” usato con l’ex presidente Barack Obama e l’ex segretaria di Stato Hillary Clinton. “Non ha alcun limite nella bassezza e dobbiamo essere preparati”, ha avvisato, anticipando che intende dipingerlo come un “uomo che si batte per i propri interessi, non per gli americani” e puntare sull’unità del Paese. Lui invece l’ha stuzzicata sui social accusandola di tutto, dall’invasione dei migranti al catastrofico ritiro dall’Afghanistan. E ha minacciato “lunghi anni di prigione” a chi imbroglierà nelle elezioni.

I due avversari, che finora non si sono mai incontrati, saliranno sul ring della Abc alle 21 di martedì (le 3 di notte in Italia) a Filadelfia, la città culla della democrazia americana nel cruciale stato in bilico della Pennsylvania, primo stato ad andare al voto anticipato il 16 settembre. Harris ci è arrivata lunedì, dopo essersi preparata meticolosamente per quattro giorni con confronti simulati in un hotel a Pittsburgh, altra città chiave del Keystone State. Il tycoon invece sbarcherà in città martedì, solo poche ore prima del dibattito, dopo diverse interviste tv negli ultimi giorni e qualche seduta estemporanea di “allenamento”.

Sul palco, in piedi e senza appunti o foglietti, con microfono spento quando non è il proprio turno, il confronto sarà tra una 59enne donna di colore figlia di immigrati e un ricco uomo bianco di 78 anni, tra l’ex procuratrice e il pregiudicato, tra la ‘comrade Kamala’ e il ‘weird Donald’, tra un volto segnato da una risata contagiosa e una faccia col broncio perenne. Ma lo scontro sarà soprattutto sui temi: aborto e diritti civili, confine e immigrazione, ricette economiche e fiscali, le guerre a Gaza e in Ucraina, forse anche i veterani e il caotico ritiro da Kabul, su cui si sono riaccesi i riflettori con accuse reciproche.

Per Harris, che finora ha concesso solo un’intervista (col suo vice) sarà un’occasione per farsi conoscere meglio dal grande pubblico (il 28% vuole sapere di più di lei, contro il 9% di Trump) e definire la sua nuova immagine smarcandosi da Biden (il 61% vuole vedere ‘importanti cambiamenti’ dopo questa presidenza) ma senza voltargli le spalle. Per Trump, che padroneggia la tv e ha più esperienza (sei dibatti presidenziali alle spalle), la sfida sarà controllare il suo istinto all’insulto e all’aggressione, cosa che gli riesce ancora più difficile con le donne. Il rischio è l’auto sabotaggio, anche se il microfono spento in questo caso lo aiuterà. “La lascerò parlare”, ha promesso. In ogni caso saranno due stili personali e due visioni dell’America agli antipodi.

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