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Usa rafforzano l’ombrello nucleare per la Corea del Sud

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Gli Usa rafforzano il loro ombrello nucleare per la Corea del Sud contro le crescenti minacce missilistiche e atomiche di Pyongyang, dispiegando nei prossimi mesi un sottomarino atomico per la prima volta dopo 40 anni e aprendo all’invio di bombardieri, ma senza una presenza fissa. In cambio Seul conferma il proprio impegno a non sviluppare un proprio arsenale nucleare, rispettando il trattato contro la proliferazione firmato nel 1975 ed entra in una sorta di cabina di regia comune ma senza il dito sul bottone: gli Stati Uniti conserveranno infatti il controllo sui target e sull’esecuzione di eventuali strike nucleari. E’ quanto prevede in sintesi la Dichiarazione di Washington, sottoscritta alla Casa Bianca da Joe Biden e dal presidente sudcoreano Yoon Suk Yeol in una visita di stato di sei giorni per celebrare i 70 anni di “un’alleanza di ferro sempre più forte e capace” , come ha detto il commander in chief nella cerimonia al South Lawn, prima del bilaterale e della conferenza stampa congiunta.

L’accordo è una ammissione del fallimento della diplomazia per contenere Kim Jong-Un, nonostante il rinnovato impegno di Biden a cercare “serie e sostanziali svolte” per la stabilità nella regione. Lo conferma anche il suo monito aperto: un attacco nucleare della Corea del Nord causerebbe la fine del regime. E lo stesso Yoon ha avvisato che con Pyongyang “possiamo raggiungere la pace attraverso una forza superiore e schiacciante, non una finta pace basata sulla buona volontà dell’altra parte”. La mossa americana arriva infatti dopo i crescenti timori dell’opinione pubblica sudcoreana, dove ormai il 70% – secondo recenti sondaggi – sostiene l’armamento nucleare, anche per la volatilità della politica americana e i dubbi su un intervento Usa, specialmente nel caso in cui la guerra in Ucraina fosse ancora in corso o di una invasione cinese a Taiwan.

Tanto che in gennaio Yoon aveva evocato la possibilità di sviluppare un proprio arsenale, per la prima volta dopo decenni. Gli Usa avevano dispiegato armi nucleari tattiche in Corea del sud nel 1958 ma le avevano rimosse dopo la fine della guerra fredda nel 1991. Seul aveva cominciato poi un programma di sviluppo di armi atomiche ma l’aveva abbandonato sotto la pressione americana. Rispolverarlo ora significherebbe incoraggiare la proliferazione delle armi nucleari in Giappone e in altre parti del mondo, compreso il Medio Oriente. Per questo Biden ha preferito rafforzare la deterrenza insieme a Seul, offrendo “un posto a tavola”, anche a costo di rischiare la ritorsione di Pyongyang, ossia l’olocausto nucleare di una città americana.

In base al nuovo accordo, gli Stati Uniti e la Corea del Sud lanceranno un “Gruppo consultivo nucleare”, in cui i dirigenti di entrambi i Paesi si incontreranno regolarmente per discutere la minaccia nucleare di Kim e coordinare i piani per rispondere ad eventuali attacchi. Saranno inoltre intensificati gli addestramenti comuni e le attività di simulazione, in cui le forze convenzionali di Seul potranno supportare quelle nucleari americane in caso di conflitto, ad esempio scortando i bombardieri atomici Usa.

Tutte garanzie che dipendono dall’esito delle prossime elezioni americane e che comunque potrebbero non bastare all’opinione pubblica americana e sudcoreana se Kim continuerà a gonfiare i muscoli, soprattutto dopo il recente test di un nuovo missile balistico intercontinentale a combustibile solido che accorcia i preparativi per un attacco. Biden ha approfittato della visita di Yoon anche per lodare i suoi sforzi di migliorare le relazioni col Giappone, nell’ottica di un’alleanza anti cinese nell’Indo-Pacifico, e per incoraggiarlo a rifornire Kiev di armi convenzionali e munizioni (dato la prassi di non consegnare armi letali a un Paese in guerra). Nonostante l’imbarazzante ‘leak’ sulle intercettazioni Usa delle conversazioni della leadership sudcoreana su questo dossier scottante, ha incassato un nuovo sostegno.

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Arresto di Sansal incendia i rapporti Francia-Algeria

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Si infiammano i rapporti già tesi tra la Francia e l’Algeria per la sorte di Boualem Sansal, lo scrittore algerino che da qualche mese ha ottenuto anche la nazionalità francese. Da sabato scorso, quando è stato arrestato all’aeroporto di Algeri, non si sa più nulla di lui. Settantacinque anni, da 25 impegnato da scrittore contro il potere di Algeri e i cedimenti all’integralismo islamico, potrebbe – secondo fonti algerine – essere processato per “violazione dell’unità nazionale e dell’integrità nazionale del Paese”. Preoccupati i familiari, gli amici, i sostenitori, mobilitata la stampa e il mondo degli intellettuali francesi, silenzioso il governo di Parigi con l’eccezione di Emmanuel Macron, che ieri sera ha espresso pubblicamente la sua forte preoccupazione.

L’arresto di uno degli intellettuali più critici contro il potere di Algeri ha inasprito i già tesi rapporti tra Francia ed Algeria, che avevano fatto toccare proprio nelle scorse settimane nuovi picchi per la visita di Macorn in Marocco e i toni di grande vicinanza col regno di Mohammed VI. Oggi anche l’editore francese Gallimard, che pubblica le opere di Boualem Sansal fin dall’uscita del suo libro più famoso, ‘Le serment des barbares’ (Il giuramento dei barbari), si è detto “molto preoccupato” e ha chiesto la “liberazione” dello scrittore. “Sgomento” ha espresso per l’arresto di Sansal anche la sua casa editrice italiana, Neri Pozza.

Dopo l’intensificarsi della pressione mediatica sulla sorte dello scrittore, l’Algeria è uscita oggi duramente allo scoperto attraverso la sua agenzia di stampa, accusando Parigi di essere covo di una lobby “anti-algerina” e “filo-sionista”. L’agenzia Aps conferma, nella sua presa di posizione, l’arresto di Sansal e attacca senza mezzi termini Parigi, la “Francia Macronito-sionista che si adombra per l’arresto di Sansal all’aeroporto di Algeri”. “La comica agitazione di una parte della classe politica e intellettuale francese sul caso di Boualem Sansal – scrive l’agenzia di stato – è un’ulteriore prova dell’esistenza di una corrente d’odio contro l’Algeria. Una lobby che non perde occasione per rimettere in discussione la sovranità algerina”. Si cita poi un elenco di personalità “anti-algerine e, fra l’altro, filo-sioniste” che agirebbe a Parigi, e del quale farebbero parte “Éric Zemmour, Mohamed Sifaoui, Marine Le Pen, Xavier Driencourt, Valérie Pécresse, Jack Lang e Nicolas Dupont-Aignan”.

Ad offendersi, secondo l’Aps, è uno stato che “non ha ancora dichiarato al mondo se ha la necessaria sovranità per poter arrestare Benyamin Netanyahu, qualora si trovasse all’aeroporto Charles de Gaulle!”. L’agenzia passa poi all’attacco diretto di Macron e di Sansal stesso: il presidente che “torna abbronzato da un viaggio in Brasile” scrive Aps, parla di “crimini contro l’umanità” in Algeria ricordando la colonizzazione francese “ma prende le difese di un negazionista, che rimette in discussione l’esistenza, l’indipendenza, la storia, la sovranità e le frontiere dell’Algeria!”, riferendosi a Sansal. Nel suo primo e più celebre libro, Sansal racconta la salita al potere degli integralisti che contribuì a far precipitare l’Algeria in una guerra civile negli anni Novanta. I libri di Sansal, editi in Francia, sono venduti liberamente in Algeria, ma l’autore è molto controverso nel suo Paese, in particolare dopo una sua visita in Israele nel 2014.

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Il porno attore italo egiziano Sharif nel carcere di Giza, rischia 3 anni di carcere

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E’ un appello accorato quello che arriva dall’Egitto dalla madre di Elanain Sharif, quarantaquattrenne nato in quel Paese ma cittadino italiano, fermato al suo arrivo in aeroporto al Cairo. “Sono molto preoccupata perché mio figlio sta male. Aiutatemi, lui ha bisogno di me e io di lui. Non so cosa fare” ha detto la donna con un audio diffuso tramite il legale che l’assiste, l’avvocato Alessandro Russo. E proprio per accertate le condizioni in cui è detenuto, le autorità italiane hanno già chiesto a quelle egiziane di poter effettuare una visita in carcere, alla quale dovrebbe partecipare anche la donna, e sono in attesa di una risposta. Sharif è accusato di produzione e diffusione di materiale pornografico.

Si tratta di reato, secondo la normativa egiziana, punibile con una pena da 6 mesi a tre anni. Il capo di imputazione è stato comunicato dal Procuratore egiziano al legale del 44enne e in base al codice penale egiziano, un qualunque cittadino di quel paese che commette un reato, anche fuori dall’Egitto, può essere perseguito. Un principio giuridico analogo a quello previsto dal nostro ordinamento. L’ex attore porno è stato già ascoltato dal procuratore che ha convalidato il fermo per 14 giorni, disponendo che il caso sia nuovamente riesaminato il 26 novembre. Le Autorità egiziane stanno infatti attendendo il risultato della perizia tecnica sul materiale presente online. Dopo il fermo all’aeroporto, il 9 novembre, l’uomo si trova ora nel carcere di Giza. “E’ stato messo in carcere appena siamo arrivati in aeroporto” ha detto ancora la madre di Sharif dall’Egitto.

“Non posso sapere come sta – ha aggiunto – perché non riesco a parlarci e sono molto preoccupata”. Sono in particolare le sue condizioni di salute a preoccuparla perché, ha spiegato, “mio figlio ha subito tre interventi alla schiena, l’ultimo 30 giorni fa a Londra”. Dal giorno in cui è stato bloccato la madre ha incontrato un paio di volte il figlio. “La prima – ha detto il legale – il giorno dopo a quello in cui era stato preso in consegna dalle autorità, in carcere al Cairo e poi dopo cinque o sei giorni trasferito dove è ora e l’ha visto sempre per un paio di minuti”. Sharif e la madre erano atterrati al Cairo provenienti dall’Umbria. Vive, infatti, da alcuni anni a Terni mentre la madre è residente a Foligno ed è sposata con un italiano.

“In aeroporto è stato tenuto a lungo negli uffici della polizia e poi la madre lo ha visto uscire con le manette ai polsi – aveva ricordato ieri il legale – Le procedure di arresto sono state fatte utilizzando solo il passaporto egiziano, quello dell’Italia gli è stato restituito alcuni giorni dopo”. L’avvocato Russo ha poi spiegato che la madre si trova ancora in Egitto “assieme al fratello, che lavora nella polizia egiziana, e spera di avere notizie di un suo rilascio”. Con la donna, e con gli avvocati italiano ed egiziano e le autorità del Cairo, sono in contatto fin dall’inizio della vicenda sia l’ambasciata italiana sia la Farnesina.

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Brasile: la Corte trova la maggioranza, Robinho resta in carcere

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La Corte suprema ha raggiunto la maggioranza dei giudici per rigettare gli appelli e mantenere in carcere l’ex calciatore Robinho. L’atleta è detenuto in Brasile dal 22 marzo e sta scontando una condanna a nove anni per uno stupro di gruppo commesso in Italia nel 2013. Finora sei giudici hanno votato per respingere la richiesta di scarcerazione di Robinho. Si tratta del relatore del caso Luiz Fux, oltre ai giudici Edson Fachin, Luís Roberto Barroso, Cristiano Zanin, Cármen Lúcia e Alexandre de Moraes. Solo Gilmar Mendes ha votato a favore. Il processo si conclude il 26 novembre.

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