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Usa: è morto il cane più vecchio del mondo, aveva 22 anni

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Il cane piu’ vecchio del mondo, una fox terrier toy di nome Pebbles, e’ morta a cinque mesi dal suo 23/o compleanno. Lo hanno annunciato i padroni su Instagram. “Era una compagna di vita, e’ stato un onore averla come animale domestico, Ci manchera’ profondamente”, hanno scritto Bobby e Julie Gregory. Nata il 28 marzo del 2000 a Long Island, Pebbles era stata inserita nel libro del Guinness dei Primati a maggio. Ha avuto 32 cuccioli con il suo compagno Rocky, che e’ morto nel 2016. Non e’ chiaro quale sia il segreto della sua longevita’, per i padroni “l’amore e le attenzioni”, ma sul libro dei guinness si legge che dieci anni fa il suo veterinario ha cominciato a darle da mangiare solo cibo per gatti, piu’ ricco di proteine rispetto a quello per cani.

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Attentato alla sede della Turkish Aerospace Industry: almeno 10 morti, conflitto a fuoco e presa di ostaggi in corso

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Un violento attentato ha colpito la sede della Turkish Aerospace Industry vicino ad Ankara, causando almeno 10 morti. Fonti locali confermano che l’area dell’impianto è teatro di un conflitto a fuoco ancora in corso e di una presa di ostaggi. La situazione resta estremamente critica, con le forze di sicurezza turche che stanno cercando di riprendere il controllo della situazione.

Secondo quanto appreso  da fonti informate, nell’area dell’impianto sono presenti anche 8 tecnici di Leonardo, la nota azienda italiana operante nel settore aerospaziale e della difesa. Le fonti rassicurano che i tecnici sono al sicuro e stanno bene, nonostante la gravità della situazione.

La Turkish Aerospace Industry è un punto nevralgico per l’industria aerospaziale turca e internazionale, e l’attacco potrebbe avere importanti ripercussioni non solo sul piano della sicurezza, ma anche economico e geopolitico. Le autorità turche non hanno ancora rilasciato dettagli ufficiali sugli autori dell’attentato o sugli sviluppi in corso.

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Joaquín ‘El Chapo’ Guzmán chiede la revisione del suo processo

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Il narcotrafficante messicano Joaquín ‘El Chapo’ Guzmán ha chiesto che venga celebrato un nuovo processo dopo quello ‘del secolo’ di New York in cui nel 2019 fu condannato all’ergastolo. “L’estradizione nel distretto orientale di New York è stata illegale. Avrei dovuto essere estradato nel distretto orientale del Texas e nel distretto meridionale della California. Non c’è mai stata una deroga alla ‘regola di specialità’ firmata da un giudice magistrato”, ha scritto “El Chapo” nel documento legale in cui chiede la revisione.

Secondo la ‘regola della specialità’ citata da El Chapo Guzmán, “una persona non può essere sottoposta a un procedimento penale, condannata o altrimenti privata della libertà per eventuali reati anteriori alla consegna diversi da quello per cui è stata consegnata”.

Guzman, che è detenuto nel carcere di massima sicurezza del Colorado, ha anche sottolineato che la sua “assistenza legale è stata inefficace” si durante il processo che in appello. “I miei avvocati non sono stati efficaci. Non hanno controinterrogato adeguatamente i testimoni e, di conseguenza, sono stato dichiarato colpevole. Né si sono battuti per far escludere alcune prove dal processo”, ha aggiunto l’ex boss del Cartello di Sinaloa. Oggi ‘El Chapo’ è rappresentato dall’avvocatessa portoricana Mariel Colón Miro, la stessa che ha difeso anche sua moglie, Emma Coronel. Durante il ‘processo del secolo’ di New York, invece il suo team legale era guidato da Jeffrey Lichtman, che adesso difende Joaquín e Ovidio Guzmán López, due dei figli del Chapo detenuti a Chicago, in Illinois.

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Hezbollah rivendica l’attacco alla casa di Netanyahu

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Un movimento senza più capi, e con le milizie decimate dalla potenza di fuoco dai raid israeliani, continua a ostentare forza e capacità di resistenza. Così Hezbollah ha rivendicato l’attacco con un drone di sabato scorso sulla residenza privata di Benyamin Netanyahu a Cesarea, che effettivamente ha raggiunto l’edificio provocando danni, come è emerso dalle immagini pubblicate dai media israeliani. Il premier israeliano non c’era, ma il Partito di Dio ha avvertito che ci saranno ancora “notti e giorni” per riprovarci. E lo ha fatto con un atto pubblico di sfida, durante una conferenza stampa, a cui l’Idf ha risposto con una serie di raid proprio nella roccaforte sciita nel sud di Beirut, che ha anche sfiorato un ospedale e ucciso 18 persone.

Sullo sfondo, la guerra (per il momento) a distanza tra lo Stato ebraico e l’Iran, che ha portato all’arresto di un nuovo gruppo di spie di Teheran, stavolta palestinesi, che operavano a Gerusalemme est. Soltanto oggi la censura militare israeliana ha autorizzato la pubblicazione della notizia del raid contro la casa di Netanyahu, ed i media hanno pubblicato una foto che mostra i danni: alberi spezzati e una vetrata in frantumi, che sarebbe quella della camera da letto. Hezbollah si è assunto la “piena ed esclusiva responsabilità per l’operazione che ha preso di mira il criminale di guerra Netanyahu”, ha dichiarato Mohammad Afif, responsabile delle relazioni con i media del movimento libanese. Un modo per non tirare dentro l’Iran, che in questo momento non vuole provocare ulteriormente Israele, e allo stesso tempo per sottolineare che le milizie sciite libanesi hanno ancora tante risorse per continuare la propria lotta nel sud del Libano.

La conferenza stampa, affollata di giornalisti, è stata però interrotta bruscamente perché i caccia israeliani hanno iniziato a bombardare il quartiere, Ghobeyri, secondo quanto hanno riferito i media libanesi. Il sud della capitale libanese, come il resto il Paese, da lunedì sera è stata bersagliata da un’intensa serie di attacchi, che secondo l’Idf hanno preso di mira le installazioni militari di Hezbollah. In uno di questi raid, tuttavia, i proiettili sono caduti fuori dall’ospedale universitario Rafik Hariri. Il bilancio è di almeno 18 morti, tra cui quattro bambini, e 60 feriti, secondo le autorità sanitarie locali. Dall’altra parte del confine le milizie sciite hanno rivendicato il lancio di razzi contro la Galilea, le alture del Golan e fino a Tel Aviv, contro una base del Mossad. Anche Haifa, la principale città nel nord di Israele, è stata presa nuovamente di mira: la versione di Hezbollah è quella di un attacco con droni contro una base militare. Negli ultimi giorni Unifil è stata risparmiata dal fuoco incrociato, ma dal Financial Times ora è emerso che in uno degli incidenti in cui l’Idf ha colpito i caschi blu “si sospetta che abbia utilizzato fosforo bianco, una sostanza chimica incendiaria, abbastanza vicino da ferire 15 peacekeeper”.

A rivelarlo un rapporto riservato “preparato da un Paese che fornisce truppe” alla missione Onu e che è stato visionato dal quotidiano britannico. Tra gli incidenti, si cita anche quello in cui due tank israeliani hanno sfondato il cancello di una base dell’Unifil. Della guerra in Libano hanno parlato Netanyahu ed il segretario di Stato americano Antony Blinken in un faccia a faccia a Gerusalemme, ma il colloquio si è concentrato soprattutto sulla minaccia iraniana. Il gabinetto di guerra non ha ancora dato il via libera all’annunciata rappresaglia contro Teheran per i razzi su Israele del primo ottobre, ma l’intelligence è stata impegnata per smantellare una rete di spie al soldo della Repubblica Islamica.

L’ultima operazione ha condotto all’arresto di sette residenti palestinesi di Gerusalemme est, accusati di aver pianificato l’omicidio di uno scienziato israeliano e un sindaco su ordine di Teheran. In precedenza erano finiti in manette sette israeliani, provenienti da Haifa, che avrebbero spiato basi militari e infrastrutture energetiche. Una guerra in cui anche il Mossad sta giocando benissimo le sue carte: il clamoroso blitz che a fine luglio portò all’uccisione del capo di Hamas Ismail Haniyeh nel cuore di Teheran fu possibile proprio grazie a una soffiata, probabilmente di un esponente del Pasdaran o della sicurezza interna del regime degli ayatollah.

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