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Ucraina, ucciso in battaglia un quarto generale russo: è Oleg Mityaev

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Funzionari ucraini affermano di aver ucciso un quarto generale russo, segno che i comandanti di Mosca sono sempre più costretti a guidare personalmente le truppe al fronte. Anton Gerashchenko, un consigliere del ministero degli interni di Kiev, ha affermato su Telegram che le forze ucraine hanno ucciso il maggiore generale russo Oleg Mityaevdurante intensi combattimenti alla periferia della città sud-orientale di Mariupol.

Dopo ventuno giorni di invasione russa dell’Ucraina, questa la situazione sul campo KIEV Il centro di Kiev – la città è in coprifuco per 26 ore almeno sino alla mattina di domani – è ancora colpito da missili balistici e da crociera, mentre i pesanti combattimenti si svolgono nella periferia settentrionale. Ma i russi – notano diversi analisti – hanno una capacità limitata. Stanno effettuando attacchi relativamente piccoli, delle dimensioni di un singolo battaglione, non abbastanza per fare grandi progressi. “Non credo che a questo punto la Russia possa prendere il centro della città. Non credo che sia possibile con la potenza di combattimento che hanno”, dice un esperto, Ustin Bronk, ricercatore presso il think tank della difesa britannica, il Royal United Services Institute. Anche così, la Russia manterrà la sua pressione sulla capitale per cercare di forzare la mano dell’Ucraina nei colloqui di cessate il fuoco, dice.

ODESSA (SUD) Le forze navali russe si sono mosse in avanti e ieri hanno bombardato la città portuale di Odessa prima di tornare indietro. Sembrano essersi avvicinati di nuovo stamattina. Un attacco su vasta scala dal mare a Odessa potrebbe essere una minaccia per l’Ucraina, ma la Russia non è ancora nella posizione ideale per lanciare un attacco del genere perché le truppe di terra che rafforzerebbero la marina sono troppo lontane: sono state trattenute nella loro avanzata dalla resistenza della città di Mykolaiv. Se la Russia dovesse comunque lanciare un attacco navale su Odessa, si aspetterebbe di vedere molte perdite. “Sarebbe interessante vedere se sono così disperati”, dice sempre Bronk.

DONBASS (EST) I combattimenti più pesanti continuano ad essere a est, in particolare intorno a Luhansk occupata dai russi. Le forze russe stanno cercando di spostarsi a ovest attraverso il Dnipro per collegarsi con le sue truppe da sud: se ci riescono, il rischio è che le truppe ucraine ancora nella regione del Donbas vengano circondate.

ZAPORIZHZHIA (sud-est) Esplosioni sono state udite questa mattina nella città sud-orientale di Zaporizhzhia. Secondo quanto riferito dal Kiev Independent, sarebbe stata colpita anche la stazione dei treni. A confermare la notizia delle deflagrazioni è stato il segretario del consiglio comunale locale, Anatoliy Kurtev.

MARIUPOL (sud) Intanto, nella città meridionale di Mariupol – da giorni sotto bombardamenti russi e città chiave del tentativo russo di collegare la regione del Donbass alla Crimesa – le truppe russe continuano l’offensiva e tengono in ostaggio 400 medici e pazienti, afferma il sindaco locale. Ma circa 2.000 auto hanno potuto lasciare la città attraverso un corridoio umanitario, secondo quanto annuciato dal Comune. Resta una “questione aperta” l’eventuale apertura odierna di un “corridoio umanitario” per evacuare più civili dalla città portuale ucraina sotto assedio di Mariupol. Lo ha dichiarato il vice primo ministro di Kiev, Iryna Vereshchuk.

CONTROFFENSIVA UCRAINA SECONDO KIEV Nel Frattempo, fonti di Kiev parlando di una controffensiva ucraina. Mykhailo Podoliak, un consigliere del presidente ucraino Volodymyr Zelensky, afferma che l’esercito ucraino sta andando al contrattacco in molti settori e la controffensiva dell’Ucraina contro l’invasione russa “cambia radicalmente le disposizioni delle parti” sul campo. L’aviazione ucraina afferma di aver distrutto aerei da guerra russi e abbattuto missili, mentre il suo esercito ha inflitto “colpi devastanti” a gruppi di truppe russe. Queste affermazioni non sono state verificate in modo indipendente. Sempre fonti ucraine parlano dell’uccisione in combattimento di un alto generalerusso, segno che gli alti comandi dell’esercito russo sono costretti a impegnarsi direttamente in prima linea.

LE EVACUAZIONI 28.893 persone sono state evacuate dalle regioni di Sumy, Kharkiv e Donetsk attraverso corridoi umanitari nell’ultimo giorno, ha dichiarato il presidente ucraino Volodymyr Zelensky in un discorso video nelle prime ore di mercoledì. Si spera che mercoledì sia possibile evacuare i civili dalla città di Izyum nella regione di Kharkiv, ha aggiunto Zelensky. “È stato concordato un corridoio umanitario”, ha detto. Sul numero complessivo di coloro che sono stati evacuati martedì, 20.000 persone hanno lasciato Mariupol sui propri veicoli, ha detto Zelensky.

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Da Putin a Gheddafi, i leader nel mirino dell’Aja

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Con il mandato d’arresto spiccato contro il premier israeliano Benyamin Netanyahu, insieme all’ex ministro della Difesa Yoav Gallant, si allunga la lista dei capi di Stato e di governo perseguiti dalla Corte penale internazionale con le accuse di crimini di guerra e crimini contro l’umanità. Da Muammar Gheddafi a Omar al Bashir, e più recentemente Vladimir Putin. Ultimo in ordine di tempo era stato appunto il presidente russo, accusato nel marzo del 2023 di “deportazione illegale” di bambini dalle zone occupate dell’Ucraina alla Russia, insieme a Maria Alekseyevna Lvova-Belova, commissaria per i diritti dei bambini del Cremlino.

Sempre a causa dell’invasione dell’Ucraina nel mirino della Corte sono finiti in otto alti gradi russi, tra cui l’ex ministro della Difesa Sergei Shoigu e l’attuale capo di stato maggiore Valery Gerasimov: considerati entrambi possibili responsabili dei ripetuti attacchi alle infrastrutture energetiche ucraine. Prima di Putin, nel 2011 l’Aja accusò di crimini contro l’umanità Muammar Gheddafi, ma il caso decadde con la morte del rais libico nel novembre dello stesso anno.

Un simile provvedimento fu emesso per il figlio Seif al Islam e per il capo dei servizi segreti Abdellah Senussi. Tra gli altri leader di spicco perseguiti, l’ex presidente sudanese Omar al Bashir: nel 2008 il procuratore capo della Corte Luis Moreno Ocampo lo accusò di essere responsabile di genocidio e crimini contro l’umanità e della guerra in Darfur cominciata nel 2003. Anche Laurent Gbagbo, ex presidente della Costa d’Avorio, è finito all’Aja, ma dopo un processo per crimini contro l’umanità è stato assolto nel 2021 in appello.

Nel 2016 la Corte penale internazionale ha condannato l’ex vicepresidente del Congo, Jean-Pierre Bemba, per assassinio, stupro e saccheggio in quanto comandante delle truppe che commisero atrocità continue e generalizzate nella Repubblica Centrafricana nel 2002 e 2003. Il signore della guerra ugandese Joseph Kony, che dovrebbe rispondere di ben 36 capi d’imputazione tra cui omicidio, stupro, utilizzo di bambini soldato, schiavitù sessuale e matrimoni forzati, è la figura ricercata dalla Cpi da più tempo: il suo mandato d’arresto venne spiccato nel 2005. Tra gli altri dossier aperti e su cui indaga l’Aja c’è l’inchiesta sui crimini contro la minoranza musulmana dei Rohingya in Birmania. Un’altra indagine è quella su presunti crimini contro l’umanità commessi dal governo del presidente venezuelano Nicolas Maduro. E non è solo l’Aja ad aver processato capi di Stato e di governo: nel 2001, l’ex presidente Slobodan Milosevic fu accusato di crimini di guerra, genocidio e crimini contro l’umanità dal Tribunale penale internazionale per l’ex Jugoslavia. Arrestato, morì d’infarto in cella all’Aja nel 2006, prima che il processo potesse concludersi.

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Mandato di arresto della Corte Penale Internazionale contro Netanyahu e Gallant: accuse e reazioni

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La Corte Penale Internazionale (CPI) ha emesso un mandato di arresto internazionale nei confronti del premier israeliano Benjamin Netanyahu e dell’ex ministro della Difesa Yoav Gallant. La decisione riguarda le accuse legate alle azioni militari israeliane durante la guerra a Gaza e ha suscitato reazioni contrastanti a livello internazionale.

Le accuse della Corte Penale Internazionale

Secondo la Camera preliminare I della CPI, esistono fondati motivi per ritenere che azioni come il blocco dell’accesso a cibo, acqua, elettricità e forniture mediche abbiano creato condizioni di vita tali da causare la morte di civili nella Striscia di Gaza, inclusi bambini.

La corte ha precisato che, pur non potendo confermare tutti gli elementi necessari per configurare il crimine di sterminio come crimine contro l’umanità, ha riscontrato prove sufficienti per l’accusa di omicidio come crimine contro l’umanità.

La reazione di Israele

La decisione della CPI è stata duramente criticata dal presidente israeliano Isaac Herzog, che l’ha definita un “giorno buio per la giustizia e l’umanità”. Secondo Herzog, la decisione è “presa in malafede” e rappresenta una distorsione della giustizia internazionale.

Il presidente ha anche evidenziato che:

  • La corte “ignora la difficile situazione degli ostaggi israeliani” detenuti da Hamas.
  • Non considera l’uso di civili come scudi umani da parte di Hamas.
  • Trascura il diritto di Israele a difendersi dopo l’attacco subito.

Herzog ha inoltre accusato la CPI di schierarsi con il terrore anziché con la democrazia e la libertà, sottolineando il rischio di destabilizzazione regionale causato dall’”impero iraniano del male”.

Le implicazioni della decisione

La decisione della CPI ha messo in discussione il delicato equilibrio tra il diritto internazionale e la sovranità nazionale. Da un lato, le accuse sottolineano presunte violazioni del diritto umanitario internazionale; dall’altro, il governo israeliano sostiene che la corte stia ignorando le circostanze che hanno portato al conflitto, come gli attacchi subiti e la necessità di difesa.

Questo mandato di arresto solleva interrogativi su come le istituzioni internazionali possano bilanciare il perseguimento della giustizia con il riconoscimento delle complessità dei conflitti moderni.

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Spagna, imprenditore sotto inchiesta denuncia: diedi 350mila euro a ministro e consulente

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L’imprenditore Victor de Aldama (nella foto col premier, che non è sotto accusa in questa inchiesta), uno dei principali accusati della rete di corruzione e tangenti al centro dell’inchiesta nota come ‘caso Koldo’, ha tentato oggi di coinvolgere numerosi esponenti dell’esecutivo, mentre il Psoe ha annunciato azioni legali per diffamazione. In dichiarazioni spontanee oggi davanti al giudice dell’Audiencia Nacional titolare dell’indagine, de Aldama ha segnalato anche il premier Pedro Sanchez, che a suo dire lo avrebbe ringraziato personalmente per la gestione che stava realizzando a favore di imprese spagnole in Messico, della quale “lo tenevano informato”, secondo fonti giuridiche presenti all’interrogatorio citate da vari media, fra i quali El Pais e Tve.

Al punto che lo stesso presidente avrebbe chiesto di conoscerlo, per ringraziarlo, in un incontro che – a detta dell’imprenditore, presidente del club Zamora CF e in carcere preventivo per altra causa – avvenne nel febbraio 2019 nel quartiere madrileno di La Latina, durante un meeting socialista. Un incontro che sarebbe documentato nella fotografia con Pedro Sanchez, pubblicata da El Mundo il 3 novembre scorso. Il presunto tangentista avrebbe sostenuto che Koldo Garcia, da cui deriva il nome del ‘caso Koldo’, divenne consulente dell’ex ministro dei Trasporti, José Luis Abalos, per decisione dello stesso Sanchez. Avrebbe sostenuto, inoltre, di aver consegnato tangenti per 250.000 euro ad Abalos e per 100.000 euro Koldo Garcia, arrivando a dire “io non sono la banca di Spagna, state esagerando”, secondo le fonti citate.

La rete di corruzione si sarebbe avvalsa dell’ex segretario di organizzazione del Psoe, Santos Cerdàn, al quale Aldama sostiene di aver consegnato una busta con 15.000 euro. Il tangentista avrebbe affermato anche si essersi riunito in varie occasioni con la ministra Teresa Ribera, per un presunto progetto di trasformazione di zone della Spagna disabitata in parchi tematici, secondo fonti giuridiche citate da radio Cadena ser. Un progetto al quale avrebbe partecipato anche Javier Hidalgo, Ceo di Globalia e al quale fu presente, in almeno una riunione, Begona Gomez, moglie di Pedro Sanchez. Fonti governative, riportate da Cadena Ser, definiscono un cumulo di menzogne le dichiarazioni di Aldana, che “non ha alcuna credibilità” ed è in carcere preventivo, per cui punterebbe a ottenere un trattamento favorevole in una prevedibile condanna.

“Il presidente del governo non ha né ha avuto alcuna relazione” con Aldama, segnalano le fonti. “Tutto quello che dice è totalmente falso”, ha dichiarato da parte sua ai cronisti Santos Cerdàn, “Questo signore non ha alcuna credibilità, sta tentando di salvarsi dal carcere. Non ha alcuna relazione con il presidente del governo, io non ho ricevuto mai denaro da lui e non lo conosco”, ha aggiunto l’esponente socialista, annunciando azioni .giudiziarie. Lo stesso ha fatto il portavoce parlamentare del Psoe, Patxi Lopez, che ha confermato “azioni legali” del partito della rosa nel pugno “perché la giustizia chiarisca tutte queste menzogne”.

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