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Ucraina, Ankara: il grano “rubato” dai russi non è qui

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Ankara nega che il grano rubato dai russi dai porti ucraini sia finito in Turchia, venduto attraverso la mediazione di altri Paesi. A smentire tale affermazione che in questo momento suona come una vera e propria accusa, il ministro degli Esteri turco, Mevlut Cavusoglu, che ha dichiarato che la Turchia “non permetterebbe mai al grano rubato in Ucraina di arrivare ed essere venduto nel Paese”. Un’indiscrezione lanciata all’inizio dall’ambasciatore ucraino in Turchia, Vasyl Bodnar, una voce autorevole che aveva espressamente chiesto ad Ankara di individuare ed arrestare i responsabili del traffico illecito. Cavusoglu e’ intervenuto sullo spinoso argomento dichiarando pero’ che le indagini turche non hanno rivelato alcun carico di grano proveniente illegalmente da porti della Crimea sotto occupazione russa.

A destare i maggiori sospetti relativi il commercio illecito di grano ucraino da parte della Russia il passaggio di navi battenti bandiera siriana e dirette in Libano e Siria dopo uno stop nel porto turco di Derince. Va ricordato come la Siria del presidente Bashar el Assad sia diventata negli anni uno stato fantoccio della Russia. L’intervento deciso dal presidente russo Vladimir Putin nel 2015 ha infatti consentito ad Assad di rimanere al potere e alla Russia di conservare il controllo sui porti siriani che le danno accesso al Mediterraneo. La Turchia nelle ultime settimane, forte della propria posizione geografica e dei buoni rapporti con Russia e Ucraina, ha lavorato per permettere un accordo tra le parti del conflitto che con la collaborazione dell’Onu consenta di sbloccare il passaggio delle circa 30 milioni di tonnellate di grano ucraino bloccate nei porti a causa della guerra. Kiev ha rifiutato l’ipotesi di sminare i porti, in particolare Odessa, nel timore di attacchi da parte della Russia. Mosca e’ invece preoccupata che il traffico verso i porti ucraini possa favorire il passaggio di carichi di armi. La Turchia ha proposto un centro di controllo a Istanbul per coordinare il traffico in uscita con la partecipazione di Russia, Ucraina e Onu. Un punto su cui, in base a quanto rivelato dal ministero della Difesa di Ankara, vi sarebbe gia’ un accordo e che prevede una base logistica per ‘guidare’ le navi attraverso un percorso sicuro, libero dalle mine che continuerebbero a difendere i porti ucraini come richiesto da Kiev, che non vuole la bonifica. Al contrario manca una data per un vertice a Istanbul che Cavusoglu insiste per organizzare e per permettere a tutte le parti di giungere a un accordo definitivo che sblocchi il grano.

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La trumpiana Greene lavorerà con Musk e Ramaswamy a taglio costi

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La trumpiana di ferro Marjorie Taylor Greene collaborerà con Elon Musk e Vivek Ramaswamy come presidente di una commissione della Camera incaricata di lavorare con il Dipartimento dell’efficienza. “Sono contenta di presiedere questa nuova commissione che lavorerà mano nella mano con il presidente Trump, Musk, Ramaswamy e l’intera squadra del Doge”, acronimo del Department of Government Efficiency, ha detto Greene, spiegando che la commissione si occuperà dei licenziamenti dei “burocrati” del governo e sarà trasparente con le sue audizioni. “Nessun tema sarà fuori dalla discussione”, ha messo in evidenza Greene.

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Pam Bondi, fedelissima di Trump a ministero Giustizia

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Donald Trump nomina la fedelissima Pam Bondi a ministra della Giustizia. L’ex procuratrice della Florida ha collaborato con il presidente eletto durante il suo primo impeachment. “Come prima procuratrice della Florida si è battuta per fermare il traffico di droga e ridurre il numero delle vittime causate dalle overdosi di fentanyl. Ha fatto un lavoro incredibile”, afferma Trump sul suo social Truth annunciando la nomina, avvenuta dopo il ritito di Matt Gaetz travolto da scandali a sfondo sessuale. “Per troppo tempo il Dipartimento di Giustizia è stato usato contro di me e altri repubblicani. Ma non più. Pam lo riporterà al suo principio di combattere il crimine e rendere l’America sicura.

E’ intelligente e tosta, è una combattente per l’America First e farà un lavoro fantastico”, ha aggiunto il presidente-eletto. Bondi è stata procuratrice della Florida fra il 2011 e il 2019, quando era governatore Rick Scott. Al momento presiede il Center for Litigation all’America First Policy Institute, un think tank di destra che sta lavorando con il transition team di Trump sull’agenda amministrativa. Come procuratrice della Florida si è attirata l’attenzione nazionale per i suoi tentativi di capovolgere l’Obamacare, ma anche per la decisione di condurre un programma su Fox mentre era ancora in carica e quella di chiedere al governatore Scott di posticipare un’esecuzione per un conflitto con un evento di raccolta fondi.

La nomina di Bondi arriva a sei ore di distanza dal ritiro di Gaetz dalla corsa a ministro della Giustizia dopo le nuove rivelazioni sullo scandalo sessuale che lo ha travolto. Prima dell’annuncio, l’ex deputato della Florida era stato contattato da Trump che gli aveva riferito che la sua candidatura non aveva i voti necessari per essere confermata in Seanto. Almeno quattro senatori repubblicani, infatti, si era espressi contro e si erano mostrati irremovibili a cambiare posizione. Il nome di Bondi, riporta Cnn, era già nell’iniziale lista dei papabili ministro alla giustizia stilata prima di scegliere Gaetz. Quando l’ex deputato ha annunciato il suo passo indietro, il nome di Bondi è iniziato a circolare con insistenza fino all’annuncio.

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Da Putin a Gheddafi, i leader nel mirino dell’Aja

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Con il mandato d’arresto spiccato contro il premier israeliano Benyamin Netanyahu, insieme all’ex ministro della Difesa Yoav Gallant, si allunga la lista dei capi di Stato e di governo perseguiti dalla Corte penale internazionale con le accuse di crimini di guerra e crimini contro l’umanità. Da Muammar Gheddafi a Omar al Bashir, e più recentemente Vladimir Putin. Ultimo in ordine di tempo era stato appunto il presidente russo, accusato nel marzo del 2023 di “deportazione illegale” di bambini dalle zone occupate dell’Ucraina alla Russia, insieme a Maria Alekseyevna Lvova-Belova, commissaria per i diritti dei bambini del Cremlino.

Sempre a causa dell’invasione dell’Ucraina nel mirino della Corte sono finiti in otto alti gradi russi, tra cui l’ex ministro della Difesa Sergei Shoigu e l’attuale capo di stato maggiore Valery Gerasimov: considerati entrambi possibili responsabili dei ripetuti attacchi alle infrastrutture energetiche ucraine. Prima di Putin, nel 2011 l’Aja accusò di crimini contro l’umanità Muammar Gheddafi, ma il caso decadde con la morte del rais libico nel novembre dello stesso anno.

Un simile provvedimento fu emesso per il figlio Seif al Islam e per il capo dei servizi segreti Abdellah Senussi. Tra gli altri leader di spicco perseguiti, l’ex presidente sudanese Omar al Bashir: nel 2008 il procuratore capo della Corte Luis Moreno Ocampo lo accusò di essere responsabile di genocidio e crimini contro l’umanità e della guerra in Darfur cominciata nel 2003. Anche Laurent Gbagbo, ex presidente della Costa d’Avorio, è finito all’Aja, ma dopo un processo per crimini contro l’umanità è stato assolto nel 2021 in appello.

Nel 2016 la Corte penale internazionale ha condannato l’ex vicepresidente del Congo, Jean-Pierre Bemba, per assassinio, stupro e saccheggio in quanto comandante delle truppe che commisero atrocità continue e generalizzate nella Repubblica Centrafricana nel 2002 e 2003. Il signore della guerra ugandese Joseph Kony, che dovrebbe rispondere di ben 36 capi d’imputazione tra cui omicidio, stupro, utilizzo di bambini soldato, schiavitù sessuale e matrimoni forzati, è la figura ricercata dalla Cpi da più tempo: il suo mandato d’arresto venne spiccato nel 2005. Tra gli altri dossier aperti e su cui indaga l’Aja c’è l’inchiesta sui crimini contro la minoranza musulmana dei Rohingya in Birmania. Un’altra indagine è quella su presunti crimini contro l’umanità commessi dal governo del presidente venezuelano Nicolas Maduro. E non è solo l’Aja ad aver processato capi di Stato e di governo: nel 2001, l’ex presidente Slobodan Milosevic fu accusato di crimini di guerra, genocidio e crimini contro l’umanità dal Tribunale penale internazionale per l’ex Jugoslavia. Arrestato, morì d’infarto in cella all’Aja nel 2006, prima che il processo potesse concludersi.

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