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Cronache

Uccide ex moglie davanti ai figli, aveva il braccialetto

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L’ennesima lite della coppia, violenta come molte altre prima, stavolta è finita nel sangue: lei è stata accoltellata al torace, uccisa. È accaduto nonostante l’ex marito avesse da agosto il divieto di avvicinamento e un braccialetto elettronico per impedirgli di violare il provvedimento. Il dispositivo antiviolenza però non ha funzionato, non è chiaro per quale motivo. Così il femminicidio si è consumato la scorsa notte, in un appartamento alla periferia di Torino, a cavallo tra i quartieri Aurora e Barriera di Milano, in via Cigna, dove la donna, Roua Nabi, tunisina, 34 anni, viveva con i loro due figli minorenni. Ben Alaya Abdelkader, connazionale, 48 anni, ha agito davanti ai loro bambini. Una giornata nera in Piemonte per la violenza sulle donne, perché intorno alle 8 di mattina, davanti a una scuola di Soriso, in provincia di Novara, un’altra donna è stata prima investita, poi accoltellata dall’ex marito, che l’ha ferita gravemente. Anche lei è stata aggredita sotto gli occhi del figlio, di 7 anni. Ma lei s, nonostante le gravi ferite, se la caverà.

A Torino, invece, la 34enne tunisina è stata uccisa dopo che urla e minacce risuonavano nel condominio già da poco prima delle 23.30. La donna, casalinga, era nell’appartamento coi due figli, di 12 e 13 anni. L’ex marito, che da tempo abitava non distante, in corso Vercelli, era arrivato da lei nonostante il divieto e col braccialetto che serve a segnalare alle forze dell’ordine la presenza vicino a quella donna. Eppure l’ha uccisa da vicino, con un solo fendente all’altezza del polmone. Mentre la figlia dodicenne, in lacrime, correva dai vicini a chiedere aiuto: “Papà sta picchiando mamma”, l’uomo era già scappato in strada, inseguito dal figlio adolescente, che, disperato, urlava ai passanti di fermare il padre. Una fuga che è durata solo alcune centinaia di metri: l’ex marito è stato bloccato dai carabinieri del nucleo radiomobile, intervenuti sul posto, e condotto al carcere Lorusso e Cutugno. I sanitari del 118 e della Croce Verde di Villastellone sono arrivati intanto per soccorrere la donna, ma le sue condizioni sono apparse subito disperate.

Trasportata all’ospedale Giovanni Bosco, è morta e i figli sono stati affidati a una comunità. Tra meno di un mese la loro mamma avrebbe compiuto 35 anni, ma l’ultima violenta lite le ha tolto per sempre la libertà che aveva cercato di conquistare denunciando i maltrattamenti da parte dell’ex marito, arrestato per questo lo scorso giugno. Le indagini sono coordinate dal pm Giuseppe Drammis e sono in corso accertamenti per comprendere la dinamica dell’accaduto e le ragioni per cui, nonostante il braccialetto elettronico indosso, collegato alla sala operativa della questura torinese, non siano scattate nei confronti dell’uomo le procedure d’allarme, com’è previsto dal Codice rosso. È uno degli aspetti su cui gli inquirenti vogliono far luce, anche perché l’uomo, secondo alcune testimonianze, era già stato visto vicino all’abitazione di lei altre volte di recente. Anche ieri pomeriggio, verso le 18. Sulla vicenda del braccialetto anche la politica vuole spiegazioni.

Luana Zanella, capogruppo di Avs alla Camera, ha chiesto al ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, “di spiegare la circostanza e di riferire in generale sui problemi legati all’uso di questo dispositivo”. Per l’episodio accaduto in mattinata nel Novarese, in un paese che si affaccia sul lago d’Orta, invece c’è una prognosi di guarigione per la donna, una senegalese di 39 anni: è di settanta giorni, nonostante le coltellate subite alle braccia e alle gambe. L’uomo che l’ha ferita, anche lui originario del Senegal, prima era andato a casa di lei, poi l’aveva trovata davanti alla scuola del loro bambino e investita con una Fiat Station Wagon. Mentre l’ex marito veniva bloccato dal padre di uno degli alunni delle elementari e da alcuni operai, la donna è stata soccorsa e trasportata in ospedale nella vicina Borgomanero.

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Maxi sequestro nell’eredità Agnelli: trust fittizi e donazioni sospette per 170 milioni di euro

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L’inchiesta sull’eredità di Gianni Agnelli si arricchisce di nuovi dettagli con il sequestro di 74,8 milioni di euro disposto dal tribunale di Torino. Al centro dell’indagine, una complessa rete di trust fittizi alle Bahamas e donazioni false di gioielli e preziosi per un valore complessivo di 170 milioni di euro, attribuite a Marella Caracciolo, vedova Agnelli, deceduta nel 2019. Secondo i magistrati, questa strategia era finalizzata a eludere il fisco italiano e a limitare le pretese ereditarie della figlia Margherita Agnelli.

Le indagini, condotte dalla guardia di finanza, hanno rivelato che John, Lapo e Ginevra Elkann avrebbero gestito l’eredità della nonna tramite trusts alle Bahamas denominati “Providenza Settlement” e “Providenza II Settlement”, nascondendo beni per 800 milioni di euro. Gli inquirenti ipotizzano che molte donazioni, tra cui un paio di orecchini con diamanti del valore di 78 milioni di euro, siano state registrate come falsi regali fatti in vita, al fine di evitare la tassa di successione.

Gli avvocati della famiglia Elkann contestano le accuse, dichiarando che i fratelli hanno sempre rispettato i loro obblighi fiscali. Nel frattempo, Exor, la holding del gruppo Agnelli, continua a prosperare, con un patrimonio netto aumentato di 2,9 miliardi nel primo semestre del 2024, senza risentire delle vicende giudiziarie.

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Dossier, spuntano altri 200 mila documenti scaricati

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Sono tanti gli atti, oltre 200 mila, che la Procura di Perugia ritiene siano stati scaricati illecitamente dal tenente della guardia di finanza Pasquale Striano dalla banca dati della Direzione nazionale antimafia tra il 2019 e il 2022. Che si aggiungono alle migliaia di accessi abusivi già contestati. Numeri che appaiono forse anche il triplo di quelli ipotizzati inizialmente considerando anche i file prelevati dalle banche dati con le segnalazioni di operazioni sospette, dalla Serpico e da quella in uso alle forze di polizia. Un quadro delineato dalle annotazioni relative ad attività integrative d’indagine che l’Ufficio guidato da Raffaele Cantone ha depositato oggi al tribunale del Riesame a sostegno delle esigenze cautelare nel ricorso contro la decisione del gip di non applicare gli arresti domiciliari a Striano a Laudati e all’ex sostituto procuratore della Dna, Antonio Laudati. Istanza alla quale si oppongono le difese dei due indagati. Con gli avvocati Massimo Clemente, per Striano, a Andrea Castaldo, Laudati, che hanno chiesto il rigetto dell’acquisizione ritenendo irrituale il deposito di atti integrativi di indagine. In attesa della decisione dei giudici l’indagine sembra destinata a riservare altre sorprese e la stessa Procura guidata da Raffaele Cantone aveva già sottolineato che “non è prevedibile la conclusione in tempi brevi”.

Quella che per i magistrati è la prova degli, ulteriori, oltre 200 mila file scaricati, è stata depositata al Riesame ma non ancora formalmente contestata a Striano. Nell’annotazione si fa riferimento anche alle migliaia di nuovi accessi individuati alle altre banche dati. Tutto relativo a prima che venisse avviata l’indagine di Perugia. In seguito alla quale Striano è stato trasferito in un reparto non operativo e privato delle password per accadere alle banche dati e Laudati ha lasciato il suo ruolo. Dall’indagine è già emerso che alcuni dei documenti sono finiti ai giornalisti mentre rimane il mistero su a chi sia stata destinata la parte più cospicua. Nella richiesta di arresti domiciliari la Procura ha sostenuto che Laudati e Striano avrebbero condiviso una modalità di lavoro del tutto “abusiva e sganciata dai compiti istituzionali della Dna”.

In particolare gli accessi abusivi contestati al tenente della guardia di finanza hanno riguardato 172 soggetti. Gli inquirenti ritengono che abbia scrutinato dati soprattutto patrimoniali di una “moltitudine” di soggetti. Come politici, calciatori, personaggi dello spettacolo, imprenditori e ministri. Tanto che dell’indagine di Perugia si stanno occupando anche la Commissione parlamentare Antimafia e il Copasir. Ma ha avuto riflessi anche Oltre Tevere. “Se la mia testimonianza può essere utile per ricostruire la verità, mi rendo pienamente disponibile”, ha detto il cardinale Angelo Becciu parlando della sua disponibilità ad essere ascoltato. Nel caso è infatti emerso che anche persone del Vaticano, in relazione al processo sul palazzo di Londra, sono state spiate da Striano.

“Questa storia dei dossieraggi mi ha totalmente sconvolto”, ha affermato Becciu. “Si parla di tantissimi accessi, più del doppio di quelli già contestati, ma dobbiamo vedere gli atti”, ha detto intanto il difensore di Striano, al termine dell’udienza al Riesame. Il legale ha spiegato che valuterà la possibilità di dichiarazioni spontanee da parte del suo assistito. L’avvocato Castaldo ha detto di ritenere “non utilizzabili” gli atti prodotti dai pm e quindi da non inserire nel fascicolo” (per il magistrato l’annotazione di un colloquio).

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Turetta a genitori: ho peggiorato il mondo, rinnegatemi

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C’è un Turetta feroce assassino, raccontato nelle carte degli inquirenti, e un Turetta prostrato, in ansia per i genitori, raccontato negli scritti che inviò loro durante i giorni trascorsi nel carcere di Halle, subito dopo il suo arresto in Germania. Lasciando a chi ne ha il compito capire se le due immagini possono stare assieme, Filippo Turetta, allo stato degli atti, è quello sotto processo in Corte d’Assise a Venezia, accusato dai magistrati di aver massacrato con 75 coltellate l’ex fidanzata, Giulia Cecchettin, appena 22enne. Il Turetta che il 19 novembre 202, dal penitenziario di Halle, scrive ai genitori dopo che la polizia tedesca ha messo fine alla sua fuga, pare del tutto conscio dell’orrore di cui si è macchiato: “ho un po’ di paura a tornare in Italia – scrive al padre e alla madre – Non sapevo e non avrei mai immaginato tutto questo. Ho generato tanto odio e rabbia. E me li merito, sì… ma tutto questo è terribile… ho peggiorato il mondo in qualche modo”.

Scrive poi di Giulia: “ho perso la persona più importante della mia vita, la persona che è tutto per me e alla quale da due anni penso ininterrottamente, la persona più bella e speciale io potessi mai incontrare in tutta la vita. E tutto questo per colpa mia. Mi merito tutto questo”. Le ragioni di ciò che fatto, però, non le spiega: “Io non volevo, non so perché l’ho fatto, non avrei mai pensato o voluto succedesse niente del genere. Io non sono cattivo lo giuro” Sa tuttavia Filippo che nulla per lui potrà essere come prima: “tutte le fantastiche e meravigliose persone che ho conosciuto, tra cui tutti i miei amici speciali, non li rivedrò mai più e loro non vorranno più vedermi, dimenticandomi per sempre. Non potrò più finire di laurearmi, conoscere persone, avere una famiglia”. E qui, sostenendo di aver provato più volte a suicidarsi, senza trovarne il coraggio – “sono stato ore seduto in macchina puntandomi il coltello alla gola o al torace” – invita i genitori a dimenticarlo: “Non esiste perdono o qualcosa del genere per questo, e io non lo merito. Capirei e accetterei se voi voleste dimenticarmi e rinnegarmi come figlio. Vi ho già causato troppo dolore e sarebbe probabilmente la scelta migliore”.

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