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Trump-Harris, volano gli insulti a 100 giorni dal voto

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“Una pezzente”. “Uno a cui non vorresti sederti vicino neppure in un ristorante”. Volano gli stracci tra Donald Trump e Kamala Harris a 100 giorni dall’ Election day, in un duello sempre più testa a testa: secondo l’ultimo sondaggio del Wall Street Journal, la vicepresidente è indietro di sole due lunghezze (47% a 49%), nel margine di errore, dopo aver eroso però il vantaggio di sei punti che il tycoon aveva su Joe Biden prima del ritiro. Mentre in una gara con candidati terzi o indipendenti scavalca The Donald (45% a 44%). E’ l’effetto luna di miele alimentato dai media e che potrebbe durare almeno sino alla convention dem (19-22 agosto), rimbalzando tra la nomination con roll call virtuale e l’attesissima scelta del vice (tra l’1 e il 7 agosto).

Intanto Trump riappare per la prima volta senza la benda all’orecchio ferito nell’attentato in Pennsylvania e promette di continuare a fare comizi all’aperto, anche tornando nel luogo dove è stato colpito. “A nessuno può essere mai consentito di fermare o impedire la libertà di parola o di riunione!!!”, ha avvisato su Truth, sfidando così la raccomandazione a non tenere raduni all’aperto da parte del Secret Service, che ora rafforzerà la sicurezza. Nel suo ultimo comizio fiume a West Palm Beach al ‘Summit dei credenti’ del Pac di estrema destra Turning Point Action, l’ex presidente ha suscitato nuovamente tra i dem il timore di una deriva autoritaria dopo aver detto a una folla di sostenitori cristiani che non dovranno più andare alle urne, se lo faranno tornare alla presidenza.

“Cristiani, uscite e votate, anche col voto per posta o a domicilio (prassi che ha sempre condannato, ndr). Solo questa volta. Sistemeremo le cose così bene che tra 4 anni non dovrete più votare”, ha promesso. Per il resto è stata una raffica di insulti a Kamala Harris, anche se il tycoon non sembra ancora aver trovato le giuste linee di attacco. “Fino a tre settimane fa era una pezzente, una vicepresidente fallita, la zarina del confine incapace di fermare l’invasione di milioni di migranti, carica che ora tutti tentando di negare”, ha tuonato, storpiando il suo nome e dandole anche dell’antisemita e abortista estrema. Su Truth invece ha rispolverato le sue frasi del 2020 quando era a favore del ‘defund police’, ossia tagliare i fondi alla polizia (ma la sinistra dem la criticava come ‘Kamala the cop’, Kamala la poliziotta).

Immediata la reazione della campagna di Harris contro il suo discorso “rancoroso, bizzarro e retrogrado”: “Trump non riusciva a pronunciare alcune parole, ha insultato la fede degli ebrei e dei cattolici americani, ha mentito sulle elezioni (di nuovo), ha mentito su altre cose, si è vantato di aver abrogato la Roe v. Wade, ha proposto di tagliare miliardi di dollari nei finanziamenti all’istruzione, ha annunciato che nominerà altri giudici estremisti, ha rivelato che ha intenzione di riempire la sua seconda amministrazione con altri criminali come lui, ha attaccato il voto legale… in generale sembrava qualcuno a cui non vorresti sederti vicino in un ristorante, figuriamoci se diventa il presidente degli Stati Uniti”.

La vicepresidente e candidata dem in pectore intanto è volata in Massachusetts per una raccolta fondi (1,4 milioni) mentre prosegue l’esame accurato dei suoi potenziali ‘Vp’: salgono le quotazioni del 60/enne Mark Kelly, senatore moderato dell’Arizona (stato in bilico), veterano di guerra, ex astronauta comandante di uno shuttle, ma soprattutto esperto sui problemi del confine col Messico, forse la più grande vulnerabilità della Harris. Trump invece cerca nuovi terreni di caccia. Corteggiando il mondo dei bitcoin. E volando col suo sempre più controverso running mate J.D. Vance – ultima polemica per le dem ‘gattare senza figli’- in Minnesota per allargare la roadmap elettorale: è uno stato che non vota un candidato presidenziale repubblicano dai tempi di Richard Nixon nel 1972 ma che la sua campagna considera ora contendibile, come la Virginia.

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Breton: von der Leyen non mi voleva, gestione dubbia

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Il francese Thierry Breton accusa Ursula von der Leyen di aver chiesto a Parigi di sostituire il suo nome nel quadro dei negoziati per la formazione della nuova Commissione Ue. Sviluppi che “testimoniano ulteriormente una governance dubbia” e che lo hanno portato alle dimissioni. “Lei ha chiesto alla Francia di ritirare il mio nome – per ragioni personali che in nessun caso lei ha discusso con me direttamente – e ha offerto alla Francia, come scambio politico, un portafoglio che sarebbe più influente. Le sarà ora proposto un altro candidato”, si legge nella lettera di dimissioni di Breton indirizzata a von der Leyen.

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Kiev invita Onu e Croce Rossa nella zona occupata del Kursk

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Il nuovo ministro degli Esteri dell’Ucraina, Andriy Sybiha, ha invitato le Nazioni Unite e il Comitato internazionale della Croce Rossa (Cicr) a visitare la porzione della regione russa di Kursk che le truppe di Kiev occupano. “L’Ucraina è pronta a facilitarne il lavoro ed a provare che rispetta il diritto umanitario internazionale” in quel territorio russo, ha scritto Sybiha su X.

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Comore, il presidente Assoumani accoltellato: è fuori pericolo

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Il presidente delle Comore, Azali Assoumani, è “fuori pericolo” dopo essere stato ferito venerdì in un attacco con coltello da parte di un poliziotto di 24 anni che è stato trovato morto nella sua cella il giorno dopo. Lo rendono noto le autorità dello Stato africano insulare, citate dai media internazionali. L’attentato è avvenuto intorno alle 14 ora locale a Salimani Itsandra, subito a nord della capitale Moroni. “Il presidente sta bene. Non ha problemi di salute, è fuori pericolo. Gli sono stati dati alcuni punti di sutura”, ha detto ieri sera il ministro dell’Energia comoriano Aboubacar Said Anli in una conferenza stampa. Azali è stato aggredito mentre partecipava a un funerale. Il movente dell’attacco non è stato ancora determinato.

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