Ora è ufficiale: la Casa Bianca ha annunciato con un comunicato che Hamza bin Laden, “membro di alto rango di al Qaida e figlio di Osama bin Laden, e’ stato ucciso in un’operazione anti terrorismo Usa nella regione tra Afghanistan e Pakistan”. “La perdita di Hamza bin Laden non solo priva al Qaida delle abilita’ di un’importante leadership e della simbolica connessione a suo padre, ma mina importanti attivita’ operative del gruppo. Hamza bin Laden era responsabile per aver pianificato e gestito vari gruppi terroristici”, ha riferito la presidenza Usa. L’annuncio arriva dopo che tre giorni fa, nel 18esimo anniversario degli attentati dell’11 settembre pianificati proprio da al Qaida, il successore di Osama bin Laden, l’egiziano Ayman al Zawahiri, e’ ricomparso in un video esortando i musulmani di tutto il mondo ad attaccare obiettivi americani, europei, israeliani e russi. L’uccisione di Hamza bin Laden era trapelata a fine luglio da fonti americane, che tuttavia non avevano fornito dettagli su dove o quando era morto, ne’ se gli Stati Uniti avessero giocato un ruolo nella vicenda. Mancava una conferma ufficiale, arrivata oggi, con la precisazione che ad eliminare il terrorista sono stati gli Usa in una zona compresa tra Afghanistan e Pakistan.
Paese, quest’ultimo, dove i Navy Seals uccisero suo padre nel 2011. Nessun riferimento invece a quando sarebbe avvenuta l’operazione, anche se e’ probabile risalga ai mesi scorsi. Lo scorso marzo, infatti, il dipartimento di Stato Usa aveva messo su Hamza una taglia da un milione di dollari, considerandolo un leader emergente dell’organizzazione un tempo guidata dal padre. Poco, se confrontata con i 25 milioni di dollari in palio per l’attuale capo di al Qaida, l’egiziano Ayman al-Zawahiri. Ma la mossa confermava l’ascesa del trentenne bin Laden, da oltre due anni indicato dagli Usa come terrorista a livello globale. Sempre in marzo, l’Arabia Saudita aveva annunciato di aver tolto la cittadinanza ad Hamza, ritenendolo “una delle figure di spicco dell’organizzazione terroristica”. Di lui, nato nel 1989, si sapeva ben poco. Quando Osama si sposto’ in Afghanistan nel 1996 e dichiaro’ guerra agli Usa, il figlio di appena sette anni segui’ il padre e apparve in video propagandistici di al Qaida, il primo datato 2005. Dalle lettere sequestrate nel compound pakistano di Abbottabad dove suo padre fu ucciso, emerge che era stato istruito dallo stesso Osama ed era destinato a prenderne il posto.
Stando al dipartimento di Stato Usa, aveva sposato la figlia di Mohammed Atta, il terrorista egiziano leader del commando degli attentati dell’11 settembre e dirottatore di uno degli aerei che si schianto’ contro le torri del World Trade Center. Negli ultimi anni Hamza aveva diffuso video e audio in cui invitava i sostenitori di al Qaida ad attaccare gli Usa e i suoi alleati occidentali per vendicare la morte del padre. Nel suo ultimo messaggio audio del marzo 2018 aveva minacciato l’Arabia Saudita e chiesto ai suoi cittadini di preparare la jihad contro i loro monarchi. Un anno dopo, la sua ambizione di succedere al padre e’ stata spezzata in un blitz anti terroristico americano.
La trumpiana di ferro Marjorie Taylor Greene collaborerà con Elon Musk e Vivek Ramaswamy come presidente di una commissione della Camera incaricata di lavorare con il Dipartimento dell’efficienza. “Sono contenta di presiedere questa nuova commissione che lavorerà mano nella mano con il presidente Trump, Musk, Ramaswamy e l’intera squadra del Doge”, acronimo del Department of Government Efficiency, ha detto Greene, spiegando che la commissione si occuperà dei licenziamenti dei “burocrati” del governo e sarà trasparente con le sue audizioni. “Nessun tema sarà fuori dalla discussione”, ha messo in evidenza Greene.
Donald Trump nomina la fedelissima Pam Bondi a ministra della Giustizia. L’ex procuratrice della Florida ha collaborato con il presidente eletto durante il suo primo impeachment. “Come prima procuratrice della Florida si è battuta per fermare il traffico di droga e ridurre il numero delle vittime causate dalle overdosi di fentanyl. Ha fatto un lavoro incredibile”, afferma Trump sul suo social Truth annunciando la nomina, avvenuta dopo il ritito di Matt Gaetz travolto da scandali a sfondo sessuale. “Per troppo tempo il Dipartimento di Giustizia è stato usato contro di me e altri repubblicani. Ma non più. Pam lo riporterà al suo principio di combattere il crimine e rendere l’America sicura.
E’ intelligente e tosta, è una combattente per l’America First e farà un lavoro fantastico”, ha aggiunto il presidente-eletto. Bondi è stata procuratrice della Florida fra il 2011 e il 2019, quando era governatore Rick Scott. Al momento presiede il Center for Litigation all’America First Policy Institute, un think tank di destra che sta lavorando con il transition team di Trump sull’agenda amministrativa. Come procuratrice della Florida si è attirata l’attenzione nazionale per i suoi tentativi di capovolgere l’Obamacare, ma anche per la decisione di condurre un programma su Fox mentre era ancora in carica e quella di chiedere al governatore Scott di posticipare un’esecuzione per un conflitto con un evento di raccolta fondi.
La nomina di Bondi arriva a sei ore di distanza dal ritiro di Gaetz dalla corsa a ministro della Giustizia dopo le nuove rivelazioni sullo scandalo sessuale che lo ha travolto. Prima dell’annuncio, l’ex deputato della Florida era stato contattato da Trump che gli aveva riferito che la sua candidatura non aveva i voti necessari per essere confermata in Seanto. Almeno quattro senatori repubblicani, infatti, si era espressi contro e si erano mostrati irremovibili a cambiare posizione. Il nome di Bondi, riporta Cnn, era già nell’iniziale lista dei papabili ministro alla giustizia stilata prima di scegliere Gaetz. Quando l’ex deputato ha annunciato il suo passo indietro, il nome di Bondi è iniziato a circolare con insistenza fino all’annuncio.
Con il mandato d’arresto spiccato contro il premier israeliano Benyamin Netanyahu, insieme all’ex ministro della Difesa Yoav Gallant, si allunga la lista dei capi di Stato e di governo perseguiti dalla Corte penale internazionale con le accuse di crimini di guerra e crimini contro l’umanità. Da Muammar Gheddafi a Omar al Bashir, e più recentemente Vladimir Putin. Ultimo in ordine di tempo era stato appunto il presidente russo, accusato nel marzo del 2023 di “deportazione illegale” di bambini dalle zone occupate dell’Ucraina alla Russia, insieme a Maria Alekseyevna Lvova-Belova, commissaria per i diritti dei bambini del Cremlino.
Sempre a causa dell’invasione dell’Ucraina nel mirino della Corte sono finiti in otto alti gradi russi, tra cui l’ex ministro della Difesa Sergei Shoigu e l’attuale capo di stato maggiore Valery Gerasimov: considerati entrambi possibili responsabili dei ripetuti attacchi alle infrastrutture energetiche ucraine. Prima di Putin, nel 2011 l’Aja accusò di crimini contro l’umanità Muammar Gheddafi, ma il caso decadde con la morte del rais libico nel novembre dello stesso anno.
Un simile provvedimento fu emesso per il figlio Seif al Islam e per il capo dei servizi segreti Abdellah Senussi. Tra gli altri leader di spicco perseguiti, l’ex presidente sudanese Omar al Bashir: nel 2008 il procuratore capo della Corte Luis Moreno Ocampo lo accusò di essere responsabile di genocidio e crimini contro l’umanità e della guerra in Darfur cominciata nel 2003. Anche Laurent Gbagbo, ex presidente della Costa d’Avorio, è finito all’Aja, ma dopo un processo per crimini contro l’umanità è stato assolto nel 2021 in appello.
Nel 2016 la Corte penale internazionale ha condannato l’ex vicepresidente del Congo, Jean-Pierre Bemba, per assassinio, stupro e saccheggio in quanto comandante delle truppe che commisero atrocità continue e generalizzate nella Repubblica Centrafricana nel 2002 e 2003. Il signore della guerra ugandese Joseph Kony, che dovrebbe rispondere di ben 36 capi d’imputazione tra cui omicidio, stupro, utilizzo di bambini soldato, schiavitù sessuale e matrimoni forzati, è la figura ricercata dalla Cpi da più tempo: il suo mandato d’arresto venne spiccato nel 2005. Tra gli altri dossier aperti e su cui indaga l’Aja c’è l’inchiesta sui crimini contro la minoranza musulmana dei Rohingya in Birmania. Un’altra indagine è quella su presunti crimini contro l’umanità commessi dal governo del presidente venezuelano Nicolas Maduro. E non è solo l’Aja ad aver processato capi di Stato e di governo: nel 2001, l’ex presidente Slobodan Milosevic fu accusato di crimini di guerra, genocidio e crimini contro l’umanità dal Tribunale penale internazionale per l’ex Jugoslavia. Arrestato, morì d’infarto in cella all’Aja nel 2006, prima che il processo potesse concludersi.