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Tramonta l’effimero astro di Sunak, Tory alla deriva

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Il tramonto dell’ultimo astro nascente dei Tories britannici, astro mai sorto davvero, si consuma dopo meno di due anni, suggello di una parabola che – complice l’effetto terremoto della Brexit – minaccia di precipitare il partito più antico del Regno in una crisi epocale d’identità e di peso politico dopo 190 anni di vita e alternanza costante al potere. Rishi Sunak, primo figlio di una ex colonia dell’Impero, l’India, a riuscire a varcare il portoncino d’ingresso al 10 di Downing Street, e unico premier di pelle non bianca in secoli di storia, è ai saluti finali: a soli 44 anni, e sullo scia di un’elezione che mette fine ad una turbinosa fase di governo durata poco meno di tre lustri fra sbalzi e cambi di leader. Protagonista quasi per caso di uno scorcio finale di legislatura iniziato nell’ottobre 2022, dopo la caduta di Boris Johnson e la rovinosa parentesi sprint dell’improbabile Liz Truss, il più giovane primo ministro di Sua Maestà dal lontano 1812 si è ritrovato a dover gestire la pesante eredità di scandali, errori e divisioni interne lasciata dai predecessori; fallendo evidentemente nel tentativo di ricostruire la fiducia degli elettori in barba alle sue promesse di “competenza e responsabilità”.

Eppure Rishi, nato da genitori della media borghesia del Punjab sbarcati in Inghilterra negli anni ’60, si era presentato all’appuntamento con la storia sfoggiando un’immagine di successo: una carriera nel business iniziata nella banca d’investimento americana Goldman Sachs e consolidata negli Usa come gestore di hedge fund, un matrimonio felice con Akshata Murty, figlia ed erede miliardaria di uno dei magnati più ricchi dell’India (conosciuta mentre entrambi studiavano in California), e dal 2015, quando venne eletto deputato, una rapida scalata in politica. Fino a essere nominato nel 2020 dall’allora premier Johnson cancelliere dello Scacchiere ad appena 39 anni. L’arrivo al vertice dei Tory è tuttavia maturato alla fine in una situazione già largamente compromessa: chiamato dopo la morte della regina Elisabetta – primo capo del governo designato da Carlo III – a raccogliere i cocci lasciati dietro di sé dal governo Truss, con i suoi dissennati azzardi economico-finanziari, in meno di 50 giorni di vita. E dopo che BoJo era stato travolto dal cosiddetto Partygate e scandali vari. Sunak si è messo al timone di una nave in tempesta, fra rischi di recessione e caro vita, fra problemi interni come l’immigrazione – in costante aumento malgrado la sbandierata stretta ai confini post-Brexit – e contraccolpi di conflitti internazionali.

Un muro contro cui ha finito per andare a sbattere, non riuscendo a compensare col pragmatismo la carenza di visione o di carisma. Qualche obiettivo raggiunto in realtà lo può rivendicare, dal contenimento dell’inflazione al ritrovato rigore dei conti pubblici, all’aver evitato la recessione (pur senza dare ossigeno alla crescita del Pil). Non tralasciando la chiusura all’insegna del buon senso dei residui contenziosi post Brexit con Bruxelles, segnata dalla firma del Windsor Framework sull’Irlanda del Nord e dalla ripresa della partecipazione del Regno al programma di ricerca e innovazione europeo Horizon. Risultati tuttavia non certo tali da resuscitare entusiasmi popolari perduti, sullo sfondo di un’atmosfera di stanchezza collettiva da fine ciclo forse irrimediabile.

Tanto più poiché accompagnati dalla sostanziale continuità coi predecessori su dossier più che controversi come il fallimentare piano per il trasferimento di migranti illegali in Ruanda a scopo dissuasivo; o dalla difficoltà a instaurare rapporti di empatia con i cittadini, risultando spesso ‘out of touch’, fuori dal mondo della gente comune, penalizzato dall’aura di privilegio d’una ricchezza familiare che lo colloca da anni, in coppia con la moglie, nella classifica dei nababbi del Regno stilata dal Sunday Times: grazie a un patrimonio superiore persino a quello personale di re Carlo. Adesso a Sunak non resta che guardare al futuro, mentre il suo partito rischia di andare alla deriva. E secondo alcuni media egli già si prepara, con la consorte e le due figlie, a lasciare il Paese in direzione California, dove lo attendono una villa a Santa Monica e offerte sontuose da consulente e conferenziere, come ad altri ex governanti britannici – non solo Tory – prima di lui. Anche se, vista l’età, la strada di una qualche futura resurrezione politica non è lecito escluderla del tutto.

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Usa, Sinwar vuole trascinare Israele in una guerra più ampia

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– Il leader di Hamas Yahya Sinwar è diventato più fatalista dopo quasi un anno di guerra a Gaza ed è determinato a vedere Israele coinvolto in un più ampio conflitto regionale. Lo riporta il New York Times citando valutazioni dell’intelligence americana, secondo al quale Sinwar ritiene che non sopravvivrà alle guerra e questo ha ostacolato i negoziati per il rilascio degli ostaggi. Una guerra più ampia per Israele, secondo Sinwar, lo costringerebbe ad allentare la pressione su Gaza.

L’atteggiamento di Sinwar, aggiunge il New York Time citando fonti americane, si sarebbe inasprito nelle ultime settimane e i negoziatori statunitensi ritengono ora che Hamas non abbia intenzione di raggiungere un accordo con Israele. Anche il premier israeliano Benyamin Netanyahu ha respinto le proposte nei negoziati e assunto posizioni che hanno complicato i colloqui. Secondo i funzionari americani Netanyahu sarebbe preoccupato soprattutto per la sua sopravvivenza politica e potrebbe non ritenere un cessate il fuoco a gaza nel suo interesse.

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Khamenei, le nazioni musulmane hanno un nemico comune

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Le nazioni musulmane hanno un “nemico comune” e devono “cingere una cintura di difesa” dall’Afghanistan allo Yemen e dall’Iran a Gaza e al Libano. Lo afferma il leader supremo iraniano Ali Khamenei mentre presiede le preghiere del venerdì in Iran per la prima volta in cinque anni. Lo riporta Sky News. La Guida Suprema ha aggiunto che l’attacco del 7 ottobre di Hamas contro Israele, “è stato un atto legittimo, così come l’attacco dell’Iran al Paese questa settimana”. Il raid missilistico è la “punizione minima” per i crimini di Israele, ha affermato Khamenei.

“Il brillante attacco dell’Iran – ha affermato la Guida Suprema citato dalla TV di Stato – è stata la minima punizione per i crimini senza precedenti del regime lupesco e assetato di sangue che è il cane rabbioso degli Stati Uniti nella regione. L’Iran continuerà ad adempiere al suo dovere né con fretta né con ritardo. I nostri responsabili politici e militari agiranno con logica e saggezza”.

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Colombia: Mancuso si scusa con le sue vittime davanti a Petro

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Salvatore Mancuso, l’ex leader delle Autodifese unite della Colombia (Auc), il più sanguinario gruppo paramilitare mai esistito nel Paese sudamericano nominato ‘gestore della pace’ da Gustavo Petro, ha chiesto oggi “perdono” alle sue vittime in un atto pubblico a Montería, la capitale del dipartimento di Cordoba, a cui ha partecipato il presidente colombiano.

“Non sapevo allora quello che so adesso: che in guerra non ci sono vincitori, siamo tutti perdenti e siamo qui nonostante le differenze ideologiche e politiche”, ha dichiarato Mancuso. Davanti a centinaia di contadini e vittime, l’ex leader paramilitare ha aggiunto di assumersi “la responsabilità di tanto dolore, sofferenza e lacrime; dell’esproprio di terre, dell’umiliazione a cui siete stati sottoposti a causa degli ordini che ho dato agli uomini e alle donne che erano sotto il mio comando nelle Auc”. Mancuso ha chiuso l’atto pubblico, in cui sono stati consegnati 11.700 ettari di terre alle sue vittime, dichiarando: “Dal profondo del mio cuore vi chiedo perdono”.

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