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Torna #NonCiFermaNessuno, il tour universitario di Luca Abete: porto gli studenti italiani alla scoperta della Serendipità

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Partirà il prossimo 24 marzo da Torino l’ottava edizione di #NonCiFermaNessuno, la campagna sociale nelle Università italiane ideata da Luca Abete, storico inviato di Striscia La Notizia. Col suo straripante entusiasmo, Abete porterà gli studenti italiani alla scoperta della serendipità, un concetto affascinante che esprime la possibilità di scoprire cose piacevoli e inattese mentre si cerca tutt’altro. Un elogio dell’imprevisto in una fase storica costellata di incertezze e paure. Il tour – anche quest’anno da remoto – attraverserà l’Italia da Nord a Sud in dieci tappe per concludersi proprio a Napoli il prossimo 18 maggio. L’iniziativa ha incassato l’appoggio del Ministro per le Politiche Giovanili Fabiana Dadone e l’apprezzamento del Ministro dell’Università e Ricerca Maria Cristina Messa. Inoltre, grazie al food donor LIDL Italia migliaia di pasti saranno donati al Banco Alimentare.  

Serendipità: perché ha scelto questo tema per l’ottava edizione?

Accompagniamo sempre ogni edizione con un claim, punto di partenza per il confronto coi ragazzi. Serendipità è una parola poco usata ma che applichiamo tutti. Rappresenta la bellezza delle piccole scoperte che facciamo grazie agli imprevisti, e che a volte possono cambiarci la vita. Applichiamo il principio della serendipità quando reagiamo agli imprevisti della vita e magari ne traiamo anche dei benefici. Se ai ragazzi facciamo comprendere che da un imprevisto possono derivare dei vantaggi, affronteranno gli ostacoli con meno paura e maggiore serenità, godendosi il percorso.  

Anche questa edizione partirà in streaming. Crede ci sia la possibilità di un ritorno all’incontro fisico in corso d’opera?

L’ultima tappa sarà a Napoli il 18 maggio, magari per quella data potrò incontrare dal vivo gli studenti della Federico II. Ad oggi però non ci sono le condizioni per incontri live in sicurezza. Il nostro obiettivo è aggregare i ragazzi. Partiamo dall’esperienza dello scorso anno, da cui abbiamo tratto due importanti riflessioni: una più scontata, l’altra sorprendente. La prima è che abbiamo aggregato un numero maggiore di ragazzi, ben sedicimila in dieci tappe, contro i duecento presenti in aula in un incontro dal vivo. La vera sorpresa è stata però constatare che la qualità della partecipazione col digitale è stata più alta: il coinvolgimento e il dibattito sono stati più proficui a distanza. Il digitale ci consente poi di ospitare praticamente chiunque, coinvolgendo importanti esponenti del mondo dello cultura, dello sport e dello spettacolo. 

Quali saranno gli ospiti di questa edizione?

Il nostro tour si sviluppa di tappa in tappa, ascoltando le esigenze dei ragazzi e provando a rendere ogni tappa diversa dalla precedente. Partiamo il 24 marzo da Torino con Gerry Scotti, un mio caro amico, che è stato subito entusiasta del progetto. Credo che una figura come la sua, che è riuscito ad ottenere grandi traguardi dopo tanta gavetta e senza mai rinunciare al divertimento, possa essere il modo migliore per parlare ai ragazzi di esperienze vincenti che nascono dal sacrificio. 

Dà tanto ai ragazzi con i suoi tour; a lei che cosa torna indietro da questo scambio?

Molti credono che io dia tanto ai ragazzi, e in parte è vero: do il mio tempo e metto a disposizione le mie esperienze, ma alla fine sono io a dover ringraziare gli studenti, perché rispondendo alle loro domande, ho la possibilità di fare un viaggio a ritroso nella mia vita. Ho fatto ciò che forse  dovrebbero fare tutti: ripercorrere e analizzare tanti passaggi per rendersi conto di quanto siamo eroici e straordinari. Spesso cadiamo ma poi siamo in grado di rialzarci. Se passassimo un po’ di tempo in più ad analizzare il nostro percorso, ognuno di noi capirebbe quanto vale e quanto può andar fiero di quello che è. Grazie ai ragazzi mi sento molto più forte, sereno e in equilibrio con me stesso ed il mondo circostante.

Da dove attingere energie positive e ottimismo in questa delicatissima fase storica?

Credo che ognuno debba vivere le situazioni come sente. Il mio consiglio è di diventare più riflessivi. Passiamo anni e anni chini sui libri e poi ci dimentichiamo di studiare la materia più importante: noi stessi. Analizzarsi e studiarsi, capire i propri talenti e valorizzarli e imparare a convivere con le proprie paure. Trovare quell’equilibrio e quell’armonia che ci consentono di stare bene. Attorno a noi potrà accadere di tutto, fra ostacoli e delusioni, ma se avremo fortificato le nostre basi saremo in grado di affrontare meglio gli scossoni che la vita ci riserva. 

Quali incertezze e paure ha ravvisato nei ragazzi in questo periodo storico?

Pur senza voler cadere in generalizzazioni, credo che dalla scorsa edizione sia emerso questo: i ragazzi più fragili sono usciti indeboliti da questo momento delicato, quelli più forti hanno invece reagito trovando una marcia in più. Chi è un po’ più debole rischia di naufragare e di bloccarsi. Anche per questo motivo nel nostro format tiriamo in ballo le esperienze dei ragazzi. Il premio “Non ci ferma nessuno”, istituito lo scorso anno col contributo della Conferenza dei Rettori Italiani, ha proprio l’obiettivo di valorizzare storie di resilienza nate fra le aule e i corridoi universitari, per far comprendere agli studenti che in quelle stesse aule ci sono altri ragazzi proprio come loro che hanno superato momenti molto difficili.

Il suo tour ha ricevuto apprezzamenti istituzionali e avrà anche finalità benefiche.

Sì, abbiamo ricevuto il patrocinio del Ministero per le Politiche Giovanili: il ministro Dadone ha condiviso in pieno i valori e la filosofia della nostra campagna sociale e sarà presente per un saluto durante la prima tappa torinese. L’aspetto benefico e solidale credo sia centrale. I ragazzi sognano di diventare affermati professionisti, ma secondo me potranno esserlo solo se avranno rispetto per la realtà circostante. Dovremmo prima diventare grandi uomini e grandi donne e poi pensare ad affermarci nel nostro campo. Grazie al food donor LIDL Italia, doneremo fino a trentamila pasti completi al banco alimentare. Il contatore dei pasti donati crescerà di tappa in tappa grazie alle interazioni online degli studenti, che saranno così chiamati ad attivarsi per raggiungere la soglia che abbiamo fissato. 

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Ritrovato il 145/o manoscritto del Milione di Marco Polo

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Proprio nell’anno che celebra i 700 anni dalla morte di Marco Polo, è stato ritrovato un manoscritto del Devisement dou monde/Milione presente nei cataloghi, ma ignoto agli studi su Marco Polo (è assente da tutti i censimenti del Milione) che risulta essere l’ultimo dei codici oggi noti in ordine di tempo del testo del grande viaggiatore veneziano. Sono 145 raggruppati in diverse famiglie.

Il ritrovamento, che si inserisce nel più ampio lavoro sul Milione coordinato da Eugenio Burgio, Marina Buzzoni e Samuela Simion dell’Università Ca’ Foscari Venezia e Antonio Montefusco dell’Università di Nancy, riveste notevole interesse perché aggiunge nuove importanti informazioni riguardo alla trasmissione del testo e alle sue varie versioni. La storia della diffusione del Milione è in effetti una delle più intricate e appassionanti della letteratura medievale: il successo dell’opera determinò una fioritura di traduzioni, riscritture, adattamenti, riflesso dei numerosi ambienti in cui il testo fu letto.

Il manoscritto è un testimone quasi ignoto di una traduzione realizzata mentre Marco era ancora vivo, ed è da questa traduzione che derivano le versioni con cui il Milione venne conosciuto e letto. Il manoscritto è conservato nella Biblioteca Diocesana Ludovico Jacobilli di Foligno, con segnatura Jacobilli A.II.9, e trasmette la traduzione che gli studiosi chiamano VA, realizzata entro il primo quarto del Trecento nell’Italia nord-orientale.

L’importanza di questa traduzione risiede soprattutto nell’ampiezza della sua diffusione: il testo di VA venne infatti sottoposto a numerose traduzioni, sia in latino che in volgare, tanto che gran parte dei manoscritti superstiti è, direttamente o indirettamente, una sua emanazione. È quindi la versione in cui il libro di Marco Polo venne più letto e conosciuto in Europa.

Solo nei prossimi mesi si potrà aggiungere qualche informazione sulla posizione del manoscritto all’interno della tradizione manoscritta del Milione, in attesa di uno studio più ampio che sarà pubblicato su una delle riviste principali del settore. Tra le attività dell’anno dedicato a Marco Polo anche la pubblicazione della prima edizione digitale dell’opera di Marco Polo, resa disponibile agli studiosi di tutto il mondo e pubblicata da Edizioni Ca’ Foscari in open access e open source.

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John & Yoko, amore musica e politica nel docu da Oscar

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John Lennon fa fare l’aeroplanino al figlioletto Sean appena nato e poi lo porta a spasso mentre Yoko Ono gli dà la pappa nella cucina dell’appartamento nel Dakota Building con vista su Central Park: un quadretto familiare tenero che è una delle tante scoperte di ‘One to One: John & Yoko’, il documentario dello scozzese Kevin MacDonald con Sam Rice-Edwards che è una vera e propria immersione negli anni newyorkesi di Lennon ormai separato dai Beatles. Il film è in anteprima mondiale fuori concorso alla Mostra del cinema di Venezia e poi andrà al festival di Telluride.

Il regista ha potuto accedere all’archivio Lennon e alla Lennon’s Estate e ricostruire l’esperienza della coppia che tra musica, concerti benefici, manifestazioni partecipava alla vita culturale della città e soprattutto a quella politica. Erano gli anni della guerra in Vietnam, dei cortei dei giovani che chiedevano stop the war e peace now – scene e frasi drammaticamente attuali – del presidente Nixon da boicottare ma che invece veniva rieletto, del governatore razzista dell’Alabama George Wallace oggetto di un attentato che infiammò l’America.

Cosa non si è detto, visto, scritto dei FabFour, del loro addio – The Beatles: Get Back di Peter Jackson nel 2021 è solo l’ultimo degli approfondimenti – di Yoko Ono rovina Beatles eccetera eccetera? Eppure One to One: John & Yoko getta nuova luce. Innanzitutto il periodo non troppo indagato: siamo nel 1971-1972, la coppia innamoratissima era arrivata dall’Inghilterra, aveva preso casa al 496 di Broome Street a Soho e al 105 di Bank Street al Village, trascorreva giornate a letto, il famoso periodo peace and love, strimpellando, cantando, intervenendo nei programmi tv, ma cominciava di fatto una nuova vita. Fu allora che John e Yoko si impegnarono pesantemente in cause politiche e realizzarono Some Time in New York City, passato alla storia come il peggior album di Lennon e soprattutto il concerto di beneficenza per la famigerata Willowbrook State School per bambini con disabilità intellettive, che un’inchiesta tv aveva svelato come un istituto in pratica di detenzione pediatrica.

Lennon e Ono (la cui figlia Kyoko avuta dall’ex marito Anthony Cox, le era stata sottratta con grande dolore) si buttano con generosità nella realizzazione del concerto così come in altre cause, spesso insieme all’attivista sociale Jerry Rubin e al padre beatnik Allen Ginsburg, tentando di coinvolgere anche un recalcitrante Bob Dylan e quegli slanci sono forse una delle belle scoperte del documentario. One to One ebbe luogo al Madison Square Garden il 30 agosto 1972, l’unico concerto completo che Lennon tenne dopo aver lasciato i Beatles e prima che venne ucciso da un fan squilibrato sotto casa l’8 dicembre 1980. Il film è il racconto di anni irrequieti per l’America, per Lennon e Yoko (femminista della prima ora partecipa alla prima storica riunione, 1971), tra pubblico e privato.

E poi però c’è la musica Imagine, Looking over from my hotel window, Hound Dog, Come together, 39, Mother e tante altre. “L’idea del film – ha detto il regista – è stare con loro, come seduti nella loro casa, c’è intimità, c’è la storia del dolore di Yoko che cercava la figlia e c’è anche la loro vulnerabilità di famosi, ricchi, generosi e idealisti che volevano fare la rivoluzione ma poi disillusi pensarono alle piccole cose da cambiare, come far star meglio i bambini della Willowbrook School”. E poi, se pure è un tema divisivo dagli anni ’60, c’è Yoko Ono “questo film ha dato a Yoko la possibilità di essere vista, uguale a John”.

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Il mare delle Egadi restituisce un rostro in bronzo

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Fu l’arma letale nella Battaglia delle Egadi, combattuta a nord-ovest dell’isola di Levanzo nel 241 avanti Cristo, che segnò la fine della prima guerra punica con la vittoria dei Romani sui Cartaginesi. Era il rostro a tre fendenti che si allungava a prua dell’imbarcazione. La trireme, lanciata a velocità sulle navi nemiche determinava, con il colpo del rostro, squarci micidiali nelle navi nemiche causandone il loro affondamento. L’ultimo importante reperto archeologico di questo tipo è stato appena restituito dal mare delle Egadi.

La campagna di ricerche di agosto ha, infatti, consentito di recuperare un rostro in bronzo che si trovava su un fondale a circa 80 metri di profondità. Il reperto è stato recuperato dai subacquei della “Society for documentation of submerged sites” (Sdss) con l’ausilio della nave oceanografica da ricerca “Hercules” che negli anni ha permesso, grazie alle sofisticate strumentazioni presenti a bordo, l’individuazione e il recupero di numerosi reperti riguardanti l’importante evento storico del III secolo a.C. Il rostro è stato trasferito nel laboratorio di primo intervento nell’ex Stabilimento Florio di Favignana ed è già al vaglio degli archeologi della Soprintendenza del Mare della Regione Siciliana.

Le sue caratteristiche sono simili a quelle degli altri già recuperati nelle precedenti campagne di ricerca: nella parte anteriore una decorazione a rilievo che raffigura un elmo del tipo Montefortino con tre piume nella parte superiore, mentre le numerose concrezioni marine non consentono ancora di verificare la presenza di iscrizioni. Le attività di ricerca nel tratto di mare tra Levanzo e Favignana sono condotte da circa 20 anni da un team formato dalla Soprintendenza del Mare, dalla statunitense Rpm Nautical Foundation e dalla Sdss.

“I fondali delle Egadi sono sempre una fonte preziosa di informazioni per aggiungere ulteriori conoscenze sulla battaglia navale tra la flotta romana e quella cartaginese. L’intuizione di Sebastiano Tusa continua ancora oggi a ricevere conferme sempre più puntuali, avvalorando gli studi dell’archeologo che avevano consentito l’individuazione del teatro della battaglia” ha commentato l’assessore regionale ai Beni culturali, Francesco Paolo Scarpinato. “Con quest’ultimo rostro – sottolinea l’assessore -, salgono a 27 quelli ritrovati a partire dai primi anni Duemila. Negli ultimi 20 anni sono stati individuati anche 30 elmi del tipo Montefortino, appartenuti ai soldati romani, due spade, alcune monete e un considerevole numero di anfore”. La battaglia delle Egadi, descritta da Polibio e da molti altri storici antichi, concluse la lunga prima guerra punica grazie ad una svolta impressa dall’audace ammiraglio Lutazio Catulo che sbloccò una situazione di stallo anche grazie a un’arma micidiale come quella rappresentata dal rostro.

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