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Telefonata Usa-Russia, paura per la diga di Kakhovka

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Con l’Ucraina in ginocchio sotto il peso delle bombe sulle infrastrutture energetiche e dei timori di un attacco alla maxi-diga Kakhovka a Kherson, Russia e Stati Uniti tornano a parlarsi. Una telefonata tra i ministri della Difesa Serghei Shoigu e Lloyd Austin – la seconda dall’inizio dell’invasione, ormai quasi otto mesi fa – incentrata tutta su un conflitto che sempre più minaccia di trasformarsi in uno scontro diretto tra le due grandi potenze e le rispettive aree di influenza. “Austin ha enfatizzato l’importanza di mantenere linee di comunicazione nell’ambito della guerra in Ucraina”, ha spiegato il Pentagono in una nota. Altrettanto concisa la comunicazione di Mosca, che ha riferito di un colloquio su “temi di attualità della sicurezza internazionale, compresa la situazione in Ucraina”. L’importanza di un ‘telefono rosso’ tra Mosca e la Nato è testimoniata dalla tensione sempre alta sul fianco est dell’Alleanza. Due Eurofighter dell’Aeronautica Militare italiana, impegnati in attività di ‘air policing’ in Polonia, sono decollati ieri e oggi per intercettare aerei russi in volo a ridosso dei confini Nato. Un quadro in cui lo spazio per la diplomazia resta ai minimi. Eppure, il più attivo mediatore della crisi, il presidente turco Recep Tayyip Erdogan, continua a dirsi fiducioso su un possibile ritorno al tavolo negoziale. Anzi, secondo il leader di Ankara, Vladimir Putin sarebbe ora “molto più morbido e più aperto al dialogo rispetto al passato”. Parole a cui ha subito reagito il Cremlino, affermando che il presidente russo “è stato aperto ai colloqui fin dall’inizio”. Erdogan, dal canto suo, continua a fare da pendolo tra Putin e l’Occidente, dando il via libera ad un incontro con il premier svedese Ulf Kristersson per discutere le obiezioni turche all’ingresso di Stoccolma nella Nato per il suo sostegno ai ribelli curdi. E anche sul rinnovo dell’accordo sui corridoi del grano ha detto di non vedere “ostacoli”. Ma per Zelensky, la Russia sta “ritardando deliberatamente” le esportazioni dei cereali dall’Ucraina. Il contatto tra Mosca e Washington è giunto nel pieno dell’ulteriore escalation seguita alle annessioni russe delle quattro regioni ucraine di Donetsk, Lugansk, Kherson e Zaporizhzhia, non riconosciute dalla comunità internazionale, e ai raid a tappeto sulle infrastrutture energetiche. Bombardamenti che hanno ridotto di almeno il 40% la capacità della rete elettrica ucraina. Blackout a rotazione per diverse ore al giorno sono ormai una costante in molte regioni, compresa Kiev, mentre le autorità continuano a invocare la collaborazione della popolazione per ridurre i consumi. L’ultima emergenza riguarda la diga di Kakhovka, nell’oblast meridionale di Kherson da cui le autorità filorusse stanno cercando di evacuare decine di migliaia di persone in vista della controffensiva ucraina. “Ci risulta che i terroristi russi abbiano minato la diga e le unità della centrale idroelettrica di Kakhovka – ha denunciato al Consiglio europeo il presidente ucraino Volodymyr Zelensky -. La diga di questa centrale idroelettrica contiene circa 18 milioni di metri cubi d’acqua. Se i terroristi russi la faranno saltare, più di 80 insediamenti, tra cui Kherson, si troveranno nella zona di rapida inondazione. Centinaia di migliaia di persone potrebbero essere colpite”. Una possibile “catastrofe” anche per l’eventuale contraccolpo alle forniture energetiche per l’inverno, ha avvertito, mentre il premier Denys Shmyhal ha chiesto “alle Nazioni Unite, all’Ue e ad altre organizzazioni” l’invio di “una missione di osservazione internazionale”. Le autorità filorusse hanno però respinto le accuse, sottolineando di non avere interesse a un sabotaggio nell’area sotto il loro controllo e puntando invece il dito contro Kiev per raid che avrebbero ucciso quattro civili durante le evacuazioni. Ma di fronte ai “buoni risultati” della controffensiva, rivendicati da Zelensky, il timore ucraino resta quello di una “vendetta”. Proprio come a Kharkiv.

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Attacco di Hezbollah in Libano, feriti quattro militari italiani della missione UNIFIL

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Quattro militari italiani impegnati nella missione di pace UNIFIL in Libano sono rimasti feriti a seguito di un attacco alla base situata nel sud del Paese. Fonti governative assicurano che i soldati, che si trovavano all’interno di uno dei bunker della base italiana a Shama, non sono in pericolo di vita. Le autorità italiane e internazionali hanno espresso forte indignazione per l’accaduto, mentre proseguono le indagini per ricostruire la dinamica dell’attacco.

UNIFIL UNITED NATIONS INTERIM FORCE IN LIBANO. SOLDATI DELLE NAZIONI UNITE  (FOTO IMAGOECONOMICA)

La dinamica dell’attacco

Secondo le prime ricostruzioni, due razzi sarebbero stati lanciati dal gruppo Hezbollah durante un’escalation di tensioni con Israele. Al momento dell’attacco, la base italiana aveva attivato il livello di allerta 3, che impone ai militari l’utilizzo di elmetti e giubbotti antiproiettile. La decisione si era resa necessaria a causa della pericolosità crescente nell’area, teatro di scontri tra Israele e Hezbollah.

Un team di UNIFIL è stato inviato a Shama per verificare i dettagli dell’accaduto, mentre il governo italiano monitora attentamente la situazione.

UNIFIL UNITED NATIONS INTERIM FORCE IN LEBANON. FOTO IMAGOECONOMICA ANCHE IN EVIDENZA

Le dichiarazioni del ministro Crosetto

Il ministro della Difesa Guido Crosetto ha commentato con durezza l’attacco, definendolo “intollerabile”:

“Cercherò di parlare con il nuovo ministro della Difesa israeliano per chiedergli di evitare l’utilizzo delle basi UNIFIL come scudo. Ancor più intollerabile è la presenza di terroristi nel Sud del Libano che mettono a repentaglio la sicurezza dei caschi blu e della popolazione civile”.

Crosetto ha inoltre sottolineato la necessità di proteggere i militari italiani, impegnati in una missione delicata per garantire la stabilità nella regione.


La solidarietà del Presidente Meloni

Anche la Presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha espresso solidarietà ai militari feriti e alle loro famiglie, dichiarando:

“Apprendo con profonda indignazione e preoccupazione la notizia dei nuovi attacchi subiti dal quartier generale italiano di UNIFIL. Desidero esprimere la solidarietà e la vicinanza mia e del Governo ai feriti, alle loro famiglie e sincera gratitudine per l’attività svolta quotidianamente da tutto il contingente italiano in Libano. Ribadisco che tali attacchi sono inaccettabili e rinnovo il mio appello affinché le parti sul terreno garantiscano, in ogni momento, la sicurezza dei soldati di UNIFIL”.


Unifil: una missione per la pace

La missione UNIFIL, operativa dal 1978, ha il compito di monitorare il cessate il fuoco tra Israele e il Libano, supportare le forze armate libanesi e garantire la sicurezza nella regione. L’attacco alla base italiana evidenzia la crescente instabilità nell’area e i rischi a cui sono esposti i caschi blu impegnati nella missione di pace.

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La trumpiana Greene lavorerà con Musk e Ramaswamy a taglio costi

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La trumpiana di ferro Marjorie Taylor Greene collaborerà con Elon Musk e Vivek Ramaswamy come presidente di una commissione della Camera incaricata di lavorare con il Dipartimento dell’efficienza. “Sono contenta di presiedere questa nuova commissione che lavorerà mano nella mano con il presidente Trump, Musk, Ramaswamy e l’intera squadra del Doge”, acronimo del Department of Government Efficiency, ha detto Greene, spiegando che la commissione si occuperà dei licenziamenti dei “burocrati” del governo e sarà trasparente con le sue audizioni. “Nessun tema sarà fuori dalla discussione”, ha messo in evidenza Greene.

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Pam Bondi, fedelissima di Trump a ministero Giustizia

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Donald Trump nomina la fedelissima Pam Bondi a ministra della Giustizia. L’ex procuratrice della Florida ha collaborato con il presidente eletto durante il suo primo impeachment. “Come prima procuratrice della Florida si è battuta per fermare il traffico di droga e ridurre il numero delle vittime causate dalle overdosi di fentanyl. Ha fatto un lavoro incredibile”, afferma Trump sul suo social Truth annunciando la nomina, avvenuta dopo il ritito di Matt Gaetz travolto da scandali a sfondo sessuale. “Per troppo tempo il Dipartimento di Giustizia è stato usato contro di me e altri repubblicani. Ma non più. Pam lo riporterà al suo principio di combattere il crimine e rendere l’America sicura.

E’ intelligente e tosta, è una combattente per l’America First e farà un lavoro fantastico”, ha aggiunto il presidente-eletto. Bondi è stata procuratrice della Florida fra il 2011 e il 2019, quando era governatore Rick Scott. Al momento presiede il Center for Litigation all’America First Policy Institute, un think tank di destra che sta lavorando con il transition team di Trump sull’agenda amministrativa. Come procuratrice della Florida si è attirata l’attenzione nazionale per i suoi tentativi di capovolgere l’Obamacare, ma anche per la decisione di condurre un programma su Fox mentre era ancora in carica e quella di chiedere al governatore Scott di posticipare un’esecuzione per un conflitto con un evento di raccolta fondi.

La nomina di Bondi arriva a sei ore di distanza dal ritiro di Gaetz dalla corsa a ministro della Giustizia dopo le nuove rivelazioni sullo scandalo sessuale che lo ha travolto. Prima dell’annuncio, l’ex deputato della Florida era stato contattato da Trump che gli aveva riferito che la sua candidatura non aveva i voti necessari per essere confermata in Seanto. Almeno quattro senatori repubblicani, infatti, si era espressi contro e si erano mostrati irremovibili a cambiare posizione. Il nome di Bondi, riporta Cnn, era già nell’iniziale lista dei papabili ministro alla giustizia stilata prima di scegliere Gaetz. Quando l’ex deputato ha annunciato il suo passo indietro, il nome di Bondi è iniziato a circolare con insistenza fino all’annuncio.

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