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Tajani accelera su ius scholae, è muro della Lega

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Non è ancora nato e già divide, soprattutto il centrodestra. E’ lo ius scholae che, per Antonio Tajani, non è una priorità di governo ma “i programmi si possono arricchire”. Non è una moda estiva – continua – perché “lo voleva già Berlusconi” ed “è quello di cui ha bisogno l’Italia, che è cambiata”. Al grido di “Svegliamoci!”, il segretario di Forza Italia smonta obiezioni e critiche e in un’intervista a Repubblica dà la spinta a una nuova legge sulla cittadinanza. Lo status può essere riconosciuto ai minori stranieri che faranno “un percorso di studi completo”, è la traccia di una proposta di legge su cui FI si confronterà a settembre. Tira il freno a mano invece l’altro vicepremier, il leghista Matteo Salvini.

“Non è una priorità, non è nell’agenda di governo”, replica dal Meeting di Rimini. Categorico, la archivia a “un’idea legittima di FI e tale rimarrà”, perché “una legge che funziona non si cambia”. E infine esclude che FI voti con il Pd e con i 5 Stelle su temi legati all’immigrazione. Resta quindi alta la tensione su una legge tornata d’attualità dopo le performance olimpioniche delle atlete italiane di seconda generazione, e che anni fa si arenò al Senato nel tentativo di modificarla verso un cosiddetto ‘ius temperato’. Quella era una variante al principio classico dello ius soli, per cui la cittadinanza passa dal luogo in cui si nasce. Un traguardo che tenta ancora il Pd, almeno la vecchia guardia. Ma da cui si è smarcato nettamente il M5s di Giuseppe Conte. Entrambi i partiti, però, concordano sulla disponibilità a confrontarsi con i forzisti su una proposta di legge “se non è una boutade agostana e se loro fanno sul serio”, rimarca il Dem, Alessandro Alfieri. Tajani risponde dicendo dicendo: “se il Pd si dice d’accordo con me, non posso essere io a cambiare idea”.

Ma garantisce il no assoluto allo ius soli e si smarca così da eventuali sospetti: “Mica ho sentito Schlein per fare un inciucio. Né lavoro a un accordo sottobanco con il Pd”. Quindi assicura: zero inciuci con le opposizioni e zero tradimenti degli alleati. Il messaggio è per Fratelli d’Italia e Lega. “Le priorità sono altre: l’economia e l’emergenza carceri”, ribadisce. Tuttavia rivendica: “Non è che cade il governo se abbiamo votato diversamente su Ursula von der Leyen o se portiamo avanti le nostre idee sulla cittadinanza”. Con un tono netto, Tajani ne fa una questione di “identità” del partito. Quasi un naturale diritto a distinguersi rispetto agli altri due alleati. E nega che la ‘svolta’ sul tema abbia a che fare con la bacchettata di Marina Berlusconi sui diritti (mesi fa disse di essere in sintonia con la sinistra, su questo).

“La famiglia Berlusconi non mi hai mai imposto niente”, ribadisce il leader azzurro. Ma a parte l’ennesima chiusura di Salvini, dalla Romagna arriva pure il pensiero apparentemente controcorrente di Matteo Piantedosi: “Non vorrei anticipare discussioni che in questi giorni sono un po’ complicate, ma bisogna porsi il problema di come rendiamo” i migranti “nostri cittadini”, dice il ministro dell’Interno voluto dalla Lega sul palco del Meeting. Parole che spiazzano un po’ il suo partito di riferimento. Salvo un chiarimento successivo del Viminale sul senso di contrarierà allo ius scholae essendo, l’Italia, il paese che dà più cittadinanze in Europa, fermo restando il rispetto della sovranità del Parlamento.

Smuove un po’ il dibattito anche il numero due di FdI al Senato, Raffaele Speranzon: “Noi non abbiamo un approccio dogmatico né preconcetto sulla legge sulla cittadinanza, ma entreremo nel merito quando e se ci sarà una proposta di legge scritta, per valutarla nel dettaglio”. E ricorda che è lo stesso iter seguito quando la Lega ha puntato i piedi sulla deroga ai due mandati per i governatori: “Non era nel programma del centrodestra ma una volta che abbiamo letto la proposta, abbiamo detto la nostra”.

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M5s, interrogazione a Giuli, ‘chiarezza sul caso Maccanico’

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“È fondamentale fare luce su quanto ruota attorno al caso di Nicola Maccanico, il manager che dopo le sue le dimissioni dalla carica di amministratore delegato e direttore generale di Cinecittà S.p.A. è stato nominato – a distanza di poche settimane – Ceo del colosso privato della produzione tv Fremantle Italia, che in questi anni è stato uno dei principali clienti di Cinecittà S.p.A. e l’unico con il quale la società abbia sottoscritto un accordo per l’utilizzo ‘continuativo’ degli studios romani”. Così gli esponenti M5S in commissione cultura alla Camera Antonio Caso, Anna Laura Orrico e Gaetano Amato.

“Il mese scorso – affermano in una nota – il quotidiano Domani ha scoperto una nota di credito di tre milioni di euro proprio per Fremantle, la quale non era stata resa nota da Maccanico, in quanto non risultano comunicazioni al consiglio di amministrazione.

Oggi Il Fatto Quotidiano rivela che l’intero rapporto finanziario con il colosso britannico sia attualmente sotto la lente d’ingrandimento del nuovo cda, poiché, da un lato, Fremantle assicura che in questi due anni e mezzo ‘la società ha versato nelle casse di Cinecittà 50 milioni di euro, assicurando un fatturato costante’, mentre a Cinecittà sospettano che l’accordo, siglato nel 2022, non sia stato del tutto redditizio. Abbiamo presentato una interrogazione ad Alessandro Giuli su tutto questo, anche perché ci chiediamo se un simile salto sia compatibile con quanto disposto dalla legge. Il neoministro ha il dovere di intervenire su situazioni opache come queste: cosa farà affinché vengano evitate situazioni di conflitti di interesse e per preservare i principi di imparzialità e trasparenza? Se davvero vuole prendere le distanze dal suo disastroso predecessore, dovrà occuparsi con urgenza di questo caso”, concludono. 782c549d8f04ff01b46d94bf0f10d57473e

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Palazzo Reale verso il G7, torna arazzo dei Gobelins ‘Il Fuoco’

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Preparativi in corso per il G7 della Cultura a Palazzo Reale che coincidono con un periodo di lavori e restauri del sito: è stato riposizionato il secondo dei due arazzi della prestigiosa manifattura francese dei Gobelins, raffigurante ‘Il Fuoco’, a completamento degli interventi nella Prima Anticamera, una delle sale in cui si attendeva di essere ricevuti dal re. Dei due arazzi è stato restaurato ad aprile quello esposto sulla parete sud, che rappresenta L’Aria. Sono in tutto quattro gli arazzi che compongono la serie degli Elementi acquistata nel 1814 dal re di Napoli Gioacchino Murat per arredare le sale di Palazzo Reale: gli altri due sono La Terra e L’Acqua, esposti nella Galleria. Gli arazzi francesi, tessuti nel 1703, costituiscono la settima edizione della serie tessuta a partire dai cartoni che Charles Le Brun, pittore di corte di Luigi XIV, aveva dipinto nel 1664 e sono caratterizzati da un esuberante gusto barocco nelle parti figurate e dalla grande qualità delle nature morte ornamentali che, lungo il bordo, richiamano il tema iconografico.

Per il restauro di entrambi si è proceduto all’eliminazione dello strato di sporco particellare in superficie, sono state risarcite le scuciture ed è stato applicato un supporto in tela di lino nella parte posteriore, così da sostenere l’arazzo durante la sospensione a parete. Per il secondo arazzo, che rappresenta Il Fuoco, è stato possibile, dopo alcuni saggi, sottoporlo addirittura a un lavaggio, a completamento del lavoro realizzato dalla ditta Conservazione e restauro opere tessili di Graziella Palei. Intanto è partito alla volta del Centro Conservazione e Restauro La Venaria Reale il trono che grazie al progetto “Restituzioni” di Intesa Sanpaolo sarà restaurato per ritornare al suo posto nel febbraio 2026. È stato sostituito da una seduta borbonica settecentesca. Le fasi del restauro saranno illustrate da video e clip disponibili anche sui social. Proseguono poi i lavori di pulitura e restauro dello Scalone d’Onore, iniziati nel mese di luglio, che si concluderanno a ottobre e saranno temporaneamente sospesi in occasione del G7 della Cultura.

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Ursula prova a mediare su Fitto, il Ppe fa quadrato

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Come spesso accade, ai giorni del grande scontro è subentrata l’ora della trattativa silenziosa, discreta. E forse decisiva. Ursula von der Leyen si prepara ad affrontare l’ultima curva che dovrebbe portarla, martedì prossimo a Strasburgo, a presentare la sua nuova squadra di commissari.

La strada resta strettissima, i malumori nella maggioranza da striscianti si sono fatti assordanti, l’ipotesi di Raffaele Fitto come vicepresidente esecutivo, se non adeguatamente controbilanciata, rischia di far deflagrare il sostegno di socialisti, liberali e verdi. Con un rischio, quello di un ennesimo rinvio e del conseguente indebolimento della stessa von der Leyen. Finora l’ex ministra tedesca non ha sbagliato un colpo, uscendo dal catino dell’Eurocamera di Strasburgo a luglio con una maggioranza più ampia di quella del 2019, ma con il voto contrario di Giorgia Meloni al Consiglio europeo e poi di Fdi in Parlamento. Una mossa che ha complicato la strategia del Ppe di avvicinare i conservatori alla maggioranza. D’altra parte – e questa è la convinzione dei vertici popolari, Ursula inclusa – non dare all’Italia il giusto peso significherebbe relegarla in posizione di semi-isolamento, che danneggerebbe la stessa macchina dell’esecutivo Ue.

Da qui la scelta di concedere a Fitto il ruolo di vicepresidente esecutivo. Al pari del liberale Thierry Breton, del popolare Valdis Dombrovskis e della socialista Teresa Ribera. Von der Leyen, nei suoi incontri, ha sempre affermato di voler seguire il criterio dell’equilibrio: geografico, di genere e di affiliazione politica. E’ il primo, nel caso di Fitto, ad aver dettato la scelta della presidente laddove S&D, Renew e Greens puntano sul terzo proprio per bocciare un esponente di un partito che, da quelle parti, è considerato di estrema destra anti-Ue. Per tenere il punto von der Leyen ha due strade: limitare le deleghe che fanno capo direttamente al ministro italiano, assegnando altrove quella agli Affari economici; o venire incontro alle richieste socialiste convincendo i lussemburghesi a cambiare il proprio candidato – il popolare Christophe Hansen con Nicolas Schmit, commissario uscente e Spiztenkandidat del Pse alle Europee.

“Stiamo negoziando, vedremo. Abbiamo delle richieste che vogliamo siano ascoltate. E’ una questione generale non un problema di singoli temi”, ha spiegato la presidente del gruppo S&D Iratxe Gracia Perez. Da qui ai prossimi giorni la presidente della Commissione tornerà a vedere i gruppi della maggioranza. Martedì sera, assieme ai commissari popolari, ha fatto invece il punto con il Ppe. Nel gruppo di Manfred Weber la difesa di Fitto è ferrea sebbene, viene riferito da fonti parlamentari, cominci a serpeggiare il timore di fare eccessive concessioni ai socialisti. “Per il Ppe l’Italia deve essere ben rappresentata nella prossima Commissione. L’Europa deve rispettare i risultati ottenuti dal governo italiano su molte questioni europee”, ha tuttavia ammonito Weber. Tra gli eurodeputati italiani, finora, ad aver annunciato il proprio no a Fitto sono invece i Verdi – per bocca del portavoce nazionale Angelo Bonelli – e il M5s.

“Nel 2019 Fdi non ha votato Paolo Gentiloni perché non ci fu votazione facendo prevalere l’interesse nazionale”, ha attaccato Gaetano Pedullà ricordando che Meloni “definì un inciucio” la nomina dell’ex premier. Fonti di Ecr, tuttavia, hanno respinto l’accusa: “Nella riunione dei coordinatori della commissione Econ del Pe il voto ci fu, e il rappresentante dei conservatori, Van Overtveldt, si espresse a favore dopo aver sentito il parere proprio di Fitto”, viene spiegato. La lista dei commissari è un cantiere semi aperto. Le vice presidenze esecutive dovrebbero essere sei. I greci (che hanno un peso nel Ppe) e i cechi (per la riconosciuta stima a Bruxelles del loro candidato, Jozef Sikela) puntano a deleghe forti, così come polacchi, olandesi e austriaci. Per tutti ci sarà la prova delle commissioni parlamentari. Non è detto che all’audizione segua una votazione. Ma per respingerne la richiesta, al Ppe, potrebbe servire lo scomodo aiuto di gruppi come quello dei Patrioti.

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