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Tajani a messa in Cina, ‘tutelare la libertà religiosa’

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Appena atterrato in Cina, il ministro degli Esteri Antonio Tajani ha scelto “il dialogo e il rispetto della libertà religiosa” che sono “alla base della nostra civiltà e fondamento della convivenza pacifica” come primo messaggio da inviare durante la sua missione ufficiale nel Dragone. Lo ha fatto partecipando alla messa nella Cattedrale del Nord, dai padri salesiani, primo appuntamento del suo viaggio a Pechino, proprio mentre papa Francesco mandava dalla Mongolia “un caloroso saluto al nobile popolo cinese” con al fianco il vescovo di Hong Kong, ennesimo gesto di attenzione da parte del pontefice verso Pechino durante la sua trasferta. Al di là della messa, la giornata che ha aperto la visita del vicepremier è stata dedicata alla cultura come ponte che unisce e rilancia le relazioni tra Italia e Cina alla vigilia degli appuntamenti istituzionali che lo vedranno impegnato a co-presiedere insieme all’omologo cinese Wang Yi l’XI sessione plenaria del Comitato intergovernativo e negli incontri bilaterali con il capo della diplomazia cinese e il ministro del Commercio Wang Wentao.

Al centro dei colloqui, il nuovo impulso alla collaborazione con Pechino malgrado l’uscita soft che Roma sta preparando sulla Via della Seta. Sul rinnovo dell’intesa, in scadenza a dicembre, “valuteremo il da farsi, il Parlamento deciderà – ha ribadito Tajani -. Ma qualunque sarà la decisione, non pregiudicherà gli ottimi rapporti che abbiamo con la Cina. Il memorandum è soltanto una parte delle relazioni che abbiamo, c’è un partenariato strategico e dobbiamo rinvigorirlo. Noi siamo intenzionati ad andare avanti con il rafforzamento delle relazioni commerciali”, e in quest’ottica a Pechino il ministro ha incontrato decine di industriali italiani. “L’internazionalizzazione è fondamentale, le esportazioni sono di grande importanza e faremo di tutto affinché possa esserci una crescita delle esportazioni in questo Paese”.

“Quello che conta in questa visita è rafforzare i legami con la Cina e continuare ad essere presenti in un mercato così importante”, ha spiegato ancora il titolare della Farnesina. Legami che passano anche dalla cultura, un tema sul quale “possiamo fare di più”, ha sottolineato il ministro, indicando nella figura storica di Matteo Ricci la sintesi dell’incontro virtuoso tra la cultura italiana e quella cinese. Dopo aver visitato la tomba del missionario gesuita, Tajani ha evidenziato come ci sia “grande considerazione e affetto” per la sua figura in Cina, assieme ovviamente a Marco Polo: non a caso i due soli stranieri (entrambi italiani) raffigurati tra i 63 personaggi della millenaria storia cinese nel gigantesco bassorilievo voluto all’epoca da Jiang Zemin nel China Millennium Monument di Pechino.

“Entrambi hanno dato molto alle relazioni tra il nostro mondo e quello cinese” ed “è un modello attualissimo” di relazioni culturali, ha sottolineato il vicepremier, che poi ha visitato la mostra ‘The Light of Ancient Roman Civilization: masterpieces from the National Archaeological Museum of Naples’. Cultura e scambi commerciali sono insomma due chiavi della relazione tra Roma e Pechino, ma il viaggio del ministro passa anche dai rapporti politici di fronte alle grandi crisi internazionali. In quest’ottica, “punto fondamentale della missione è lavorare a costruire la pace in Ucraina convincendo i cinesi a far sì che i russi facciano qualche passo indietro” in Ucraina, ha detto Tajani. “Riteniamo che la Cina possa svolgere un ruolo importante per trovare una pace giusta, che è l’indipendenza e la libertà per l’Ucraina”. In questo senso, ha aggiunto il capo della diplomazia italiana, “credo che il governo cinese possa influire su Putin affinché torni a più miti consigli”. Guardando invece a sud dell’Italia, nei colloqui con Wang “parleremo di immigrazione e di stabilità dell’Africa, visto che c’è una presenza cinese. In questo momento mi sembra che i russi cerchino di approfittare dei colpi di Stato, soprattutto quello in Niger, mentre non mi pare che Pechino vada nella direzione di strumentalizzare questi eventi”, ha evidenziato il titolare della Farnesina.

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Bocchino: dall’Italia verso un’internazionale conservatrice

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La vittoria elettorale della destra “avviene perché la sinistra prima è stata considerata inaffidabile per paura del comunismo, oggi è considerata inaffidabile perché si prende a cuore temi come l’immigrazione irregolare, che gli italiani non vogliono, o i diritti delle comunità LGBTQI+, che certo devono essere garantiti ma che riguardano comunque una minoranza dell’1,6% della popolazione, e perchè ha abbracciato la globalizzazione selvaggia, che è una cosa che fa paura agli italiani”.

Lo ha detto Italo Bocchino (foto imagoeconomica in evidenza) a margine della presentazione del suo libro “Perchè l’Italia è di destra” a Napoli, a cui hanno assistito anche il capo della procura partenopea Nicola Gratteri e l’ex ministro della cultura Gennaro Sangiuliano, mentre sul palco sono intervenuti il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi e il viceministro degli Esteri Edmondo Cirielli.

“Giorgia Meloni – ha proseguito Bocchino – ha fatto da apripista in Italia, dando vita a una destra che ha stupito, perché tutti si aspettavano una destra neofascista mentre si sono trovati una destra che rappresenta un conservatorismo nazionalpopolare.

E così si resta stupiti anche dal risultato degli Stati Uniti, che un po’ ricalca quel modello, e di quello che accade in alcuni paesi europei e in Sudamerica. Quindi c’è l’ipotesi che nasca nel prossimo decennio un’internazionale conservatrice e che abbia un grandissimo peso nella politica mondiale: in questo contesto, tra i leader sicuramente ci sarà Giorgia Meloni. Immaginiamo il prossimo G7, guardate la foto del prossimo G7: ci sono Scholz e Macron zoppicanti, lo spagnolo che ha problemi in casa, il giapponese che ha problemi in casa, il canadese che ha problemi in casa e due in splendida salute che sono Giorgia Meloni e Trump. Questo è il mondo oggi”.

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La versione di Conte: o il M5s resta progressista o avrà un altro leader

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“Da oggi a domenica i nostri iscritti potranno votare online e decidere quel che saremo. Abbiamo un obiettivo ambizioso, che culminerà con l’assemblea costituente di sabato e domenica: rigenerarci, scuoterci, dare nuove idee al Movimento. Nessuno lo ha fatto con coraggio e umiltà, come stiamo facendo noi”. Così a Repubblica il leader del M5s Giuseppe Conte (foto Imagoeconomica in evidenza).

“Se dalla costituente dovesse emergere una traiettoria politica opposta a quella portata avanti finora dalla mia leadership – aggiunge – mi farei da parte. Si chiama coerenza. Se questa scelta di campo progressista venisse messa in discussione, il Movimento dovrà trovarsi un altro leader”.

Sull’alleanza col Pd “la mia linea è stata molto chiara. Non ho mai parlato di alleanza organica o strutturata col Pd. Nessun iscritto al M5S aspira a lasciarsi fagocitare, ma la denuncia di questo rischio non può costituire di per sé un programma politico”. “Gli iscritti sono chiamati a decidere e hanno la possibilità di cambiare tante cose. Anche i quesiti sul garante (Grillo, ndr) sono stati decisi dalla base. Io non ho mai inteso alimentare questo scontro. Sono sinceramente dispiaciuto che in questi mesi abbia attaccato il Movimento. Se dovesse venire, potrà partecipare liberamente all’assemblea. Forse la sensazione di isolamento l’avverte chi pontifica dal divano vagheggiando un illusorio ritorno alle origini mentre ha rinunciato da tempo a votare e portare avanti il progetto del Movimento. L’ultimo giapponese rischia di essere lui, ponendosi in contrasto con la comunità”.

Sui risultati elettorali “in un contesto di forte astensionismo, sicuramente è il voto di opinione sui territori, non collegato a strutture di potere e logiche clientelari, ad essere maggiormente penalizzato. Dobbiamo tornare ad ascoltare i bisogni delle comunità locali. E poi c’è la formazione delle liste: dobbiamo sperimentare nuove modalità di reclutamento, senza cadere nelle logiche clientelari che aborriamo”.

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Alessandro Piana: “Perdono, ma non dimentico” – La fine di un incubo giudiziario

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Alessandro Piana (nella foto in evidenza), esponente della Lega e vicepresidente della Regione Liguria, tira un sospiro di sollievo dopo la conclusione di un’inchiesta giudiziaria che per oltre un anno lo ha visto al centro di pesanti sospetti. Accusato ingiustamente di coinvolgimento in un presunto giro di squillo e party con stupefacenti, Piana è stato ufficialmente escluso dall’elenco dei rinviati a giudizio, mettendo fine a un incubo personale e politico.


Un’accusa infondata che ha segnato una campagna elettorale

Alessandro Piana racconta di aver vissuto un periodo estremamente difficile, aggravato dalla tempistica dell’inchiesta, che ha coinciso con la campagna elettorale.

«L’indagine era chiusa da tempo, ma si è voluto attendere per renderne noto l’esito. Mi sarei aspettato maggiore attenzione, considerato il mio ruolo pubblico. Per mesi sono stato bersaglio di accuse infondate, che sui social si sono trasformate in attacchi personali».

Nonostante il clamore mediatico, Piana ha affrontato con determinazione la situazione, ricevendo il sostegno del partito e del leader regionale della Lega, Edoardo Rixi.


Le accuse e il chiarimento

Piana spiega di essere venuto a conoscenza del suo presunto coinvolgimento attraverso i media, vivendo quello che definisce un “incubo”:

«Ero al lavoro quando ho saputo del mio presunto coinvolgimento. Credevo fosse uno scherzo, invece era terribilmente vero».

L’esponente leghista si è immediatamente messo a disposizione della magistratura, fornendo tutte le prove necessarie per dimostrare la sua estraneità ai fatti:

«Non ero presente dove si sosteneva che fossi. Ero a casa mia, a 150 chilometri di distanza, con testimoni pronti a confermarlo. Non ho mai frequentato certi ambienti, nemmeno da giovane».

Secondo Piana, il suo nome sarebbe stato tirato in ballo per millanteria durante un’intercettazione telefonica che citava genericamente un “vicepresidente della Regione”.


Una vicenda che lascia il segno

Nonostante la sua assoluzione dai sospetti, Piana non nasconde l’amarezza per i danni subiti:

«Ho pagato un prezzo molto salato, gratuito e ingiusto. Per mesi sono stato additato come vizioso. Perdono chi ha sbagliato, ma non dimentico».

Il vicepresidente auspica che casi simili siano gestiti con maggiore rapidità in futuro, per evitare che accuse infondate possano danneggiare ingiustamente la reputazione di figure pubbliche.


Conclusione

La vicenda di Alessandro Piana solleva interrogativi sul delicato equilibrio tra diritto di cronaca e tutela dell’immagine pubblica, in particolare quando si tratta di accuse che si rivelano infondate. Oggi, il vicepresidente della Regione Liguria guarda avanti con serenità, forte del sostegno ricevuto e con la determinazione di proseguire il suo impegno politico senza lasciarsi scoraggiare dagli eventi passati.

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