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Esteri

Storica condanna per Trump per i soldi alla pornostar

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“Guilty”, colpevole, per tutti i 34 capi di imputazione: Donald Trump è rimasto impassibile alla lettura dello storico verdetto raggiunto all’unanimità dopo due giorni di camera di consiglio dai 12 membri della giuria sul caso pornostar, aggrottando le sopracciglia solo quando il giudice Juan Merchan ha chiesto ufficialmente alla giuria se quella fosse la sua decisione. “E’ stato un processo farsa, è una vergogna. Sono un uomo innocente”, il primo commento del tycoon fuori dall’aula, dove ha annunciato che “continuerà a combattere”.

“Il vero verdetto sarà il 5 novembre”, ha aggiunto, riferendosi all’ Election Day. “C’è un solo modo per tenere Donald Trump fuori dallo Studio Ovale: andare alle urne”, ha replicato su X Joe Biden. “Il verdetto di colpevolezza dimostra che nessuno è al di sopra della legge”, gli ha fatto eco la sua campagna. Il tycoon diventa così il primo ex presidente americano condannato in un processo penale e anche il primo candidato presidenziale a correre come pregiudicato, uno status che comunque non gli impedisce di essere eletto e fare il commander in chief. Da vedere l’effetto sulla campagna elettorale, in un duello testa a testa che potrebbe essere deciso da poche migliaia di preferenze negli stati in bilico: secondo i sondaggi una fetta di elettori moderati e indipendenti non è disposto a votare un ‘nominee’ condannato. Intanto il suo social Truth è crollato in Borsa nelle contrattazione after hours.

La pena sarà stabilita in un’udienza fissata per l’11 luglio, alla vigilia della convention repubblicana che lo incoronerà candidato per la Casa Bianca, probabilmente non senza qualche imbarazzo. La condanna potrà variare da un massimo di 4 anni di carcere alla messa in prova sino ad una multa. La galera appare improbabile perchè è anziano ed incensurato, oltre alle complicazioni logistiche di dover prevedere agenti del Secret Service in prigione per difenderlo. In ogni caso il tycoon farà appello e quindi ci vorranno mesi, se non anni per la conclusione della vicenda.

Nel frattempo resterà a piede libero. Il verdetto è arrivato relativamente veloce, dopo due giorni di camera di consiglio in cui i giurati avevano chiesto la rilettura di alcune istruzioni del giudice e di alcune testimonianze, tra cui quella di Michael Cohen: segno forse che qualcuno aveva dei dubbi o voleva approfondire, ma alla fine è stata raggiunta l’unanimità richiesta, evitando il rischio di uno stallo e di un annullamento del procedimento.

Trump era accusato di 34 capi di imputazione per aver falsificato altrettanti documenti contabili della sua holding per occultare i 130 mila dollari pagati alla pornostar Stormy Daniels perchè non rivelasse durante la sua precedente campagna elettorale del 2016 la notte di sesso che aveva avuto con lui dieci anni prima. Soldi pagati dal suo ex avvocato tuttofare Michael Cohen – reo confesso già condannato per vari reati, diventato testimone chiave dell’accusa – e poi rimborsati come spese legali fittizie, violando anche la legge sui finanziamenti elettorali e quindi l’integrità del voto. Questo caso riguarda “un complotto e un insabbiamento”, il primo “per corrompere le elezioni del 2016”, il secondo “per nascondere il complotto e mascherarlo falsificando i documenti aziendali”, aveva accusato il pm nella sua requisitoria.

“I documenti non sono falsi, Trump è innocente, non aveva alcuna intenzione di truffare”, aveva sostenuto la difesa, dopo aver cercato di minare la credibilità sia di Cohen che di Stormy Daniels, dipinti come due “mentitori” mossi dalla sete di denaro, fama e vendetta. Il processo, iniziato oltre un mese fa, è stato teso, con Trump silenziato da un ‘gag order’ per i suoi ripetuti attacchi a giudice, procuratori e testimoni. Non sono mancati i colpi di scena e i particolari piccanti.

Come quando la pornostar ha raccontato la fugace notte di sesso in una suite d’albergo durante il torneo di golf a Lake Tahoe. Con Trump deriso dall’attrice hard per il suo pigiama da Hefner (il fondatore di Playboy) e sculacciato con la rivista dove si era appena vantato di essere in copertina, prima di consumare “nella posizione del missionario” il tradimento di Melania, all’epoca in dolce attesa di Barron. Non l’unico, come dimostra l’altro affair quasi contemporaneo evocato in aula con la coniglietta di Playboy Karen McDougal, anch’esso messo a tacere con i soldi.

Il verdetto spaccherà nuovamente il Paese. I repubblicani hanno già cominciato a fare quadrato intorno al loro leader: “Oggi è un giorno vergognoso nella storia americana. I democratici esultano per la condanna del leader del partito avversario con accuse ridicole, basate sulla testimonianza di un criminale radiato dall’albo e condannato”, ha scritto su X lo speaker della Camera Usa, il repubblicano Mike Johnson, accusando Joe Biden di “aver strumentalizzato la giustizia” contro Donald Trump.

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Governatori dem, ‘siamo tutti con Biden per vincere’

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“Tutti i governatori democratici sono dalla parte di Joe Biden e tutti noi vogliamo vincere a novembre”. Lo ha detto il governatore del Minnesota, Tim Waltz, dopo l’incontro con il presidente e i suoi circa 30 colleghi alla Casa Bianca. “E’ stato un dialogo schietto e franco”, ha affermato Awltz. “Il presidente ci ha assicurato che è in corsa per vincere”, ha aggiunto la governatrice dello Stato di New York, Kathy Hochul.

In rappresentanza di tutti i loro colleghi la governatrice di New York Kathy Hochul, quello del Minnesora, Tim Waltz, e quello del Maryland, Wes Moore, hanno sottolineato i rischi di una seconda presidenza di Donald Trump e hanno sottolineato che il presidente “è qui per vincere e noi gli abbiamo promesso il nostro sostegno”. Alla domanda dei reporter se considerassero Biden “idoneo” alla carica Walz ha risposto con un secco “sì”.

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Aggredita la portavoce del governo francese Prisca Thevenot, 4 fermi

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A quattro giorni dal secondo turno delle elezioni politiche anticipate della Francia, la portavoce del governo, Prisca Thevenot, e la sua equipe elettorale denunciano di essere stati aggredite “durante un sopralluogo per l’affissione di manifesti elettorali” a Meudon-la-Forêt, nel dipartimento di Hauts-de-Seine, alle porte di Parigi. Secondo il giornale Le Parisien, sarebbero quattro le persone fermate in serata. Thévenot e la sua vice, Virginie Lanlo, precisa il giornale parigino sul suo sito web, erano accompagnate da due militanti del partito Renaissance, la formazione centrista del presidente Emmanuel Macron, quando sono stati attaccati da quattro o cinque persone. In precedenza, Radio Europe 1 aveva addirittura evocato un branco di 20 persone con pugni e lancio di monopattini.

“Questa sera, una candidata, Prisca Thévenot, e alcuni membri della sua equipe elettorale sono stati aggrediti da quattro persone a Meudon mentre affiggevano manifesti elettorali. La violenza e l’intimidazione non hanno posto nella nostra democrazia. Non hanno posto nella nostra Repubblica. Esprimo la mia totale solidarietà alla candidata e alla sua equipe. Rigettiamo il clima di violenza e odio che si sta diffondendo”, ha scritto in un messaggio su X il premier, Gabriel Attal. ”Sono profondamente scioccato per l’aggressione subita da Prisca Thévenot e la sua supplente a Meudon”, ha sottolineato da parte sua il ministro degli Esteri Stéphane Sejourné, riferendo in un altro tweet che il “partito Renaissance rimane a disposizione delle vittime per un sostegno psicologico e giuridico”. Secondo fonti citate dall’agenzia France Presse, l’aggressione sarebbe scattata intorno alle 20 mentre la deputata di doppia nazionalità franco-mauriziana, candidata ad un secondo mandato da deputata nel collegio di zona, appendeva gli ultimi manifesti elettorali in vista del voto.

Thévenot non è stata colpita direttamente, mentre la sua collaboratrice, Virginie Lanlo, sarebbe rimasta ferita a un braccio. Intanto, mentre si moltiplicano i messaggi di solidarietà alle due politiche, la ministra ha potuto sporgere denuncia e, come previsto, continuerà la sua campagna fino a venerdì sera. Questa mattina, anche una candidata del Rassemblement National nel terzo collegio di Savoia, Marie Dauchy, ha annunciato su X di essere stata ”violentemente aggredita” al mercato di La Rochette, senza fornire maggiori dettagli. L’europarlamentare ha comunque deciso di sospendere la sua campagna elettorale.

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Nuovi spiragli di tregua, ‘per Israele progressi’

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Si apre un nuovo spiraglio per un accordo sul cessate il fuoco e sugli ostaggi a Gaza. L’ufficio del premier Benyamin Netanyahu, per conto del Mossad, ha fatto sapere che i mediatori dell’intesa hanno trasmesso a Israele “il riferimento” di Hamas sulle linee generali dell’intesa. Un riferimento – hanno sottolineato i miliziani palestinesi – che contiene “nuove idee” per porre fine alla guerra che dura da quasi nove mesi. E stando a quanto scrive Axios, che cita due alti funzionari israeliani, lo Stato ebraico avrebbe colto importanti progressi nella nuova risposta di Hamas. Secondo le fonti, aprirebbe infatti la porta a negoziati più dettagliati che potrebbero sfociare in un accordo sul cessate il fuoco e il nodo degli ostaggi nella Striscia. Israele – ha sottolineato l’ufficio di Netanyahu – “sta esaminando il riferimento e darà la sua risposta ai mediatori”.

Con il bilancio delle vittime in aumento e le ostilità che non cessano, entrambe le parti sono sotto una crescente pressione internazionale per concordare un cessate il fuoco nella Striscia. E nel frattempo, la guerra non dichiarata tra Israele e Hezbollah scivola ogni giorno di più verso una escalation militare totale. Solo oggi dal Libano sono arrivati, in una unica tornata, oltre 100 razzi dopo l’uccisione da parte di Israele di un alto comandante dei miliziani sciiti, alleati dell’Iran, che hanno aperto le ostilità l’8 ottobre scorso a distanza di un giorno dall’attacco di Hamas. Il comandante ucciso, come ha confermato l’Idf, è Abu Ali (o Muhammad Nimah) Nasser, responsabile di uno dei tre settori del Libano sud. Comandava, secondo le stesse fonti, il gruppo Aziz, una delle 3 divisioni regionali di Hezbollah al confine con Israele. E’ stato colpito in un attacco con un drone ad al Hawsh, a est di Tiro, 90 chilometri a sud di Beirut. Ricopriva un incarico, ha spiegato l’esercito, pari a quello di Taleb Abdallah, altro comandante militare di Hezbollah ucciso l’11 giugno scorso.

“Nasser – ha detto il portavoce militare – era responsabile del lancio dei missili anti tank e dei razzi dal sud-ovest del Libano verso Israele”. A dare il quadro sempre più pericolante della situazione è stato lo stesso ministro della difesa israeliana Yoav Gallant. I tank in uscita dall’operazione di terra a Rafah “possono arrivare fino al fiume Litani”, ha detto, riferendosi al fiume in Libano a circa 16 chilometri a nord della frontiera con Israele. “Stiamo colpendo duramente Hezbollah e – ha aggiunto – siamo in grado di intraprendere qualsiasi azione necessaria in Libano o a raggiungere un accordo da una posizione di forza. Preferiamo un accordo, ma se la realtà ce lo impone, sapremo combattere”.

La linea del fiume Litani è quella oltre la quale Israele vuole ritornino gli Hezbollah. “Il Libano diventerà sicuramente un inferno senza ritorno per i sionisti, in caso portassero avanti qualunque aggressione contro il Paese”, ha minacciato invece il ministro degli esteri dell’Iran, Ali Bagheri, aggiungendo che “la resistenza libanese ha giocato un ruolo attivo sul piano operativo e diplomatico, con la conseguente formazione di una forza deterrente nel caso in cui scoppiasse una guerra”.

La situazione di conflitto a Gaza, dove l’Idf continua ad operare nel sud della Striscia, e la crescente tensione al nord, senza dimenticare l’attentato terroristico che a Karmiel è costato la vita ad un soldato, non ha impedito ad Israele, secondo l’ong Peace Now, di prendere due provvedimenti molto contestati. Il primo riguarda la designazione di “terra statale” di 2.965 acri nella Valle del Giordano, idonei dunque per lo sviluppo futuro: il maggiore intervento di questo tipo dalla firma degli Accordi di Oslo del 1993. Al tempo stesso, l’ong ha fatto sapere che a giorni il Consiglio di pianificazione discuterà piani per la costruzione di 6.016 unità abitative in dozzine di insediamenti ebraici in Cisgiordania.

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