La cattiva notizia viene dalla Gran Bretagna. E’ il Guardian a diffonderla. Alcune Università si avviano a ridurre i degree e, talune, perfino a chiudere i Dipartimenti di Storia, Linguistica, Letteratura. Insomma, le humanities vanno verso un ulteriore salasso in termini di posizioni istituzionali, di risorse finanziarie e tecnologiche, di programmi di ricerca, di corsi, cattedre, dottorati. E’ una notizia che viene dal Regno Unito e, considerato il nostro provincialismo accademico, c’è da temere che venga ripresa in chiave imitativa dal nostro sistema universitario.
Non vi aspetterete certo che mi metta a piangere per tutto ciò. E che mi dolga, e che vi dica quanto siano belli e necessari la Storia e lo studio del Rinascimento, e che vi spieghi di che grave errore si tratti. Dopo aver assistito, piangendo appunto, alla distruzione universitaria della mia disciplina, la Geografia umana, so che non servirebbe a niente portare, ancora una volta, tutti i (buoni) motivi per cui erodere ulteriormente la consistenza accademica e i contenuti didattici delle Scienze Sociali ha, per la specie umana, lo stesso significato della degradazione ecologica del Pianeta. Se volete qualche sintesi agile ma profonda, priva di sbavature retoriche, stringente e persino severa: ebbene, sfogliate i libri di M. Nussbaum, in specie Nonper profittoe Creare capacità (il Mulino, 2011 e 2012).
Non torno dunque, sul già detto. Vorrei portare, invece, un’argomentazione semplice e nuova sul perché questa è una delle più brutte notizie degli ultimi giorni. Colpisce, osservando lo svolgimento e la gestione della pandemia, il divario tra la capacità di risposta tecnica a quel che stava e sta succedendo –quelli che chiamerei gli “automatismi” di difesa immediati dei sistemi umani- e la consapevolezza strutturale degli eventi. L’intelligenza evolutiva della crisi, il senso che essa ha per la tenuta delle società e l’Essere-umani-sulla-terra come recita il titolo di un bellissimo libro di A. Berque appena uscito presso Mimesis. E ciò, alla scala globale come a quella locale.
Nel tanto parlare che si è fatto e si fa del Covid19, si è perso e tutt’ora si rischia di perdere l’essenziale, temo. E cioè la “coscienza storica” della pandemia. Sì, avete capito bene: la coscienza storica come la intende F. Châtelet, così faticosamente conquistata dalla cultura greca. E dunque no, non il deficit storiografico per cui basta una scorsa veloce su Wikipedia o la lettura di qualche compendio sulla storia delle epidemie (ve ne sono di eccellenti). Sto parlando del pensiero che riflette sui modi attraverso i quali gli eventi si legano tra loro nel tempo e nello spazio. La Storia e la Geografia, si capisce, sempre loro. E tra continuità e rotture, quegli eventi in qualche modo connessi, si svolgono “socialmente”, diventano i precipitati mobili eppure persistenti delle collettività insediate, le figure “incarnate” dell’uomo-abitante.
E’ stupefacente come questa pandemia abbia “sorpreso” tutti. Eppure tutti conoscono la Peste Nera, o la peste “manzoniana”. Tutti sapevano di che si trattava. O credevano di saperlo. Io stesso ho sentito il bisogno di riflettere -proprio su questo giornale- su una “Epistemologia della pandemia”, per cogliere i modi attraverso cui si capiva la crisi, si poteva capire la crisi –che sta succedendo?- prima di poter agire su di essa, prima di dar corso agli “automatismi” immediati (e in larga misura irriflessi) attraverso i quali i corpi vivi cercano di difendersi da ciò che può danneggiarli. Difendersi, intendo, in forme anche scomposte –chiusure/aperture- aggiungendo danno al danno.
Pensiamo alle cose che “non sono andate” nel corso di questo anno lungo della pandemia. Pensiamo alla povertà della risposta politica, così diffusa nel mondo. Pensiamo alla lentezza con cui procede l’impiego dell’arma risolutiva contro il virus, il vaccino, pur così tempestivamente approntato. Pensiamo allo sconvolgente paradosso per cui il Paese con la più grande capacità di produzione al mondo di vaccini, l’India, lascia incenerire sulle “orrende pire” del Gange migliaia di morti al giorno, a oltre un anno dall’inizio del flagello e a sei mesi dall’inizio della produzione vaccinale: non uno, ma almeno 10 farmaci in circolazione, operativi, sia pure con gradi variabili di efficacia e di sicurezza.
Come stupirsi se poi la rappresentazione degli eventi, il loro racconto, la loro penetrazione nella coscienza collettiva, sono avvenuti in modi così dissociati, confusi, arbitrari? Se l’informazione e la comunicazione sono andate in cortocircuito? Se l’epidemia è diventata epimedia? Se la politica ha rotto gli argini del proprio mestiere che poi fa tutt’uno con la propria responsabilità?
Ecco, tutto questo ci narra di un accresciuto bisogno della Storia, della Geografia, delle Arti del racconto –testuali, visuali, musicali, giornalismo incluso- delle Etiche mediali, delle Scienze della politica. Insomma delle inutili “humanities” che invece proprio ora, e forse non per colpa di un “cieco destino”, debbono subire i colpi d’ariete di una razionalità contabile ripiegata su se stessa e incapace di preoccuparsi di faccende come la tenuta sociale e la solidarietà intergenerazionale. A dispetto di un Piano di rinascita europeo intitolato -forse proprio a caso ahimé!- alla next generation.
Angelo Turco, africanista, è uno studioso di teoria ed epistemologia della Geografia, professore emerito all’Università IULM di Milano, dove è stato Preside di Facoltà, Prorettore vicario e Presidente della Fondazione IULM.
Dopo sei anni di chiusura, la Casa della Fontana Piccola di Pompei riapre al pubblico, rivelando nuovamente tutta la sua bellezza. Questo straordinario esempio di architettura pompeiana torna a incantare i visitatori con i suoi affreschi, i colori vividi e una fontana unica, simbolo dell’arte e della cultura dell’antica città.
Un esempio di eleganza pompeiana
La Casa della Fontana Piccola è un autentico capolavoro. I suoi affreschi murari, con il celebre rosso pompeiano, e le decorazioni ricche di dettagli, raccontano la vita e i costumi dell’epoca. Ma ciò che rende davvero speciale questa dimora è la fontana visibile già dall’ingresso. Si tratta di un’opera d’arte decorata con tessere di pasta vitrea e valve di mollusco, con un sistema che faceva sgorgare acqua dalla bocca di una maschera tragica in marmo e dal becco di un’oca tenuta da un amorino in bronzo.
Storia e particolarità della domus
Costruita unendo due abitazioni precedenti, la casa aveva due ingressi su via di Mercurio, simbolo dello stato sociale elevato dei proprietari. Danneggiata dal terremoto del 62 d.C., fu quasi completamente affrescata in IV stile pompeiano, pochi anni prima dell’eruzione del Vesuvio. Le pareti laterali del peristilio presentano paesaggi mozzafiato, tra cui una veduta di città marittima, un tema molto in voga nella decorazione di giardini.
Esplorata tra il 1826 e il 1827 dall’architetto Antonio Bonucci, direttore degli scavi, la casa sarebbe appartenuta a Helvius Vestalis, un pomarius (mercante di frutta), secondo un’iscrizione elettorale trovata sulla facciata.
I restauri e gli interventi strutturali
La casa è stata oggetto di importanti lavori di restauro per preservarne la struttura e garantirne la sicurezza. Tra gli interventi principali:
Rinforzo strutturale delle travi in calcestruzzo dell’atrio principale, utilizzando materiali innovativi come il fibrorinforzo (FRP).
Impermeabilizzazione dei solai per prevenire infiltrazioni.
Revisione delle coperture, inclusa quella del peristilio, per proteggere la casa dagli agenti atmosferici.
Le coperture, già restaurate nel 1971, sono state riportate all’altezza originaria per restituire l’antica volumetria della dimora.
L’iniziativa “Raccontare i cantieri”
Con la riapertura della Casa della Fontana Piccola, prende il via una nuova stagione di “Raccontare i cantieri”, giunta alla sua quarta edizione. Ogni giovedì, fino al 17 aprile 2025, i possessori della MyPompeii Card potranno visitare i cantieri di restauro in corso nel Parco Archeologico, iniziando proprio dalla Casa della Fontana Piccola.
Conclusione
La riapertura della Casa della Fontana Piccola rappresenta non solo un recupero storico di grande valore, ma anche un’occasione per riflettere sulla continua necessità di valorizzare e preservare il nostro patrimonio culturale. Un appuntamento imperdibile per tutti gli amanti della storia e dell’archeologia.
Il Gruppo del Gusto della Stampa Estera ha scelto L’Aquila per celebrare il 20° Premio dedicato all’eccellenza agroalimentare italiana, un traguardo prestigioso che quest’anno rende omaggio a Marino Niola, antropologo e divulgatore scientifico, nella categoria “Divulgatore dell’autenticità agroalimentare italiana”.
Il contributo di Marino Niola all’antropologia della gastronomia
Marino Niola (nella foto Imagoconomica in evidenza) , nato a Napoli nel 1953, è un antropologo della contemporaneità, noto per i suoi studi sulle pratiche devozionali, le trasformazioni culturali legate alla globalizzazione e, soprattutto, per il suo contributo alla comprensione dei riti e simboli della gastronomia contemporanea.
Docente all’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli, Niola insegna discipline come Antropologia dei Simboli, Antropologia delle arti e della performance e Miti e riti della gastronomia contemporanea. È inoltre editorialista de La Repubblica, dove cura la rubrica “Miti d’oggi” sul Venerdì, e collabora con testate nazionali e internazionali come Il Mattino e Le Nouvel Observateur.
Tra i suoi numerosi saggi, si ricordano titoli come:
Si fa presto a dire cotto. Un antropologo in cucina (2009)
Homo dieteticus. Viaggio nelle tribù alimentari (2015)
Andare per i luoghi della dieta mediterranea (2017)
Mangiare come Dio comanda (2023).
Queste opere riflettono il suo impegno nel valorizzare la cultura alimentare italiana, esplorando le radici antropologiche e culturali che legano il cibo alle identità locali e nazionali.
Il Premio del Gruppo del Gusto
Il Premio del Gruppo del Gusto, giunto alla sua 20ª edizione, si propone di valorizzare e promuovere l’agroalimentare italiano a livello internazionale, grazie alla partecipazione di giornalisti esteri provenienti da 34 Paesi e 5 continenti. Marino Niola è stato selezionato per la sua capacità di divulgare l’autenticità e la tradizione agroalimentare italiana, combinando rigore scientifico e passione narrativa.
La cerimonia a L’Aquila
La premiazione si terrà sabato 23 novembre, alle ore 18, nella Sala ipogea del Consiglio Regionale d’Abruzzo, a L’Aquila. Durante l’evento, verranno premiate altre eccellenze del settore, tra cui:
Tenuta Vannulo (categoria “Esercizio legato all’alimentare da almeno 100 anni della stessa famiglia”);
Cooperativa Altopiano di Navelli (categoria “Consorzio/cooperative a difesa dei valori agroalimentari italiani”);
Associazione PIZZAUT (Premio speciale della giuria per l’inclusione lavorativa di giovani autistici).
L’importanza del riconoscimento
Il premio a Marino Niola sottolinea l’importanza di valorizzare le eccellenze italiane, non solo nella produzione agroalimentare, ma anche nella capacità di raccontare il legame profondo tra cibo, cultura e identità. L’impegno di Niola nel promuovere la dieta mediterranea e nel raccontare le tradizioni culinarie italiane lo rende una figura chiave nella diffusione internazionale del patrimonio enogastronomico italiano.
Grazie al suo lavoro, il professor Niola contribuisce a consolidare l’immagine dell’Italia come culla di tradizioni culinarie uniche e radicate nella storia. Questo premio rappresenta un ulteriore riconoscimento del suo ruolo cruciale come ponte tra antropologia, cultura e divulgazione enogastronomica.
Centotré sindaci in fascia tricolore hanno sfilato in corteo a sostegno della candidatura di Pompei a Capitale della Cultura 2027. Una manifestazione che ha sorpreso i turisti e i cittadini che questa mattina erano fermi ai bar del centro della città degli Scavi e del Santuario. Passare dalla logica dei confini alla logica dei contenuti senza confini è l’aspirazione del progetto ‘Pompei Continuum’ presentato dal sindaco Carmine Lo Sapio ai suoi colleghi al termine della breve marcia dal Comune al teatro Di Costanzo-Mattiello. Il sostegno alla candidatura è ampio: 103 sindaci del territorio, assieme a istituzioni, associazioni, la Curia di Pompei e ovviamente il Parco Archeologico nel suo vasto orizzonte dei cosiddetti ‘siti minori’ e della buffer zone, che includerà anche i castelli medievali della vasta area. Non a caso Pompei ha legato il suo nome anche al nascente Maximall più grande d’Europa e al Marina di Stabia, che offre un elegante sbocco a mare. Da domani, ha poi ricordato il dg del Parco Archeologico, parte il biglietto nominativo e il numero chiuso per l’ingresso agli Scavi (20mila al giorno) che spingeranno i visitatori anche alla scoperta dei luoghi di interesse storico e archeologico che circondano Pompei. Il progetto Pompei Continuum prevede una forte presenza dell’aspetto spirituale della città e si apre con una frase del beato Bartolo Longo, fondatore della nuova Pompei con le sue numerose opere di carità, per proseguire elencando i numeri.
“Numeri che – ha spiegato Leonardo Valle, presidente di Cethegus, società di consulenza che ha prodotto il progetto – meritano di farci diventare Capitale della Cultura, perché si realizza un processo di miglioramento misurabile e che resterà sul territorio. Esso prevede per ogni milione di euro investito, una ricaduta pari a 1,5 milioni di euro”. Spazio all’arte, con opere del ‘700 veneziano che saranno in mostra con ingresso gratuito per un anno e pop art di Marco Lodola, e installazioni luminose di 3 metri d’altezza nelle periferie. Tra cui la ‘Passeggiata dei Beatles’. “Abbiamo la possibilità di vincere – è stato detto – per i contenuti di altissimo livello, perché siamo coesi e perché questo territorio è stato già Capitale”.