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Sparatoria della polizia, ragazzino di 13 anni ucciso

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La polizia nello stato di New York ha sparato e ucciso un ragazzo di 13 anni dopo che, secondo loro, il giovane era fuggito dagli agenti e aveva puntato contro di loro quella che si è rivelata essere una pistola ad aria compressa. Le autorità di Utica hanno diffuso le riprese delle telecamere indossate dagli agenti durante la sparatoria avvenuta venerdì sera. Hanno anche tenuto una riunione pubblica accesa a cui hanno partecipato la famiglia della vittima e la comunità locale di rifugiati. L’ufficio del procuratore generale dello stato sta indagando e gli agenti coinvolti sono stati sospesi dal servizio, come da protocollo. La vittima è stata identificata come Nyah Mway, un rifugiato Karen nato in Myanmar che aveva appena terminato la scuola media.

Cosa è successo?

La sparatoria è avvenuta intorno alle 22:00 in una strada residenziale di Utica, una vecchia città industriale a circa 240 miglia (400 chilometri) a nord-ovest di Manhattan, lungo il fiume Mohawk ai piedi delle montagne Adirondack. Secondo la polizia, tre agenti in pattuglia avevano fermato due giovani per interrogarli. Uno dei due, Nyah Mway, è fuggito a piedi e ha puntato contro gli agenti quella che sembrava una pistola. Dopo una lotta a terra, uno degli agenti ha sparato un colpo al petto del giovane. Mway è stato portato in ospedale, dove è deceduto.

 Chi era la vittima?

Nyah Mway, il cui cognome è Nyah, era un rifugiato Karen nato in Myanmar. Aveva appena terminato la scuola media e si apprestava a iniziare le superiori in autunno. I suoi familiari e altri membri della comunità Karen locale hanno chiesto che la polizia sia ritenuta responsabile per quello che considerano un omicidio ingiusto, poiché Mway era già immobilizzato a terra quando è stato colpito.

Chi sono gli agenti?

La polizia ha reso noti i nomi dei tre agenti coinvolti nell’incidente, affermando che fanno parte di un’unità di prevenzione del crimine. Patrick Husnay, un veterano con sei anni di servizio, è l’agente che ha sparato. Bryce Patterson, che è nella polizia da quattro anni, e Andrew Citriniti, un veterano di due anni che aveva precedentemente prestato servizio presso l’ufficio dello sceriffo della contea di Oneida, sono gli altri due agenti coinvolti. Tutti e tre sono in congedo amministrativo retribuito, come da protocollo in caso di sparatorie che coinvolgono la polizia, ha confermato lunedì il portavoce del dipartimento, il tenente Michael Curley.

Cosa mostrano le riprese delle telecamere indossate dagli agenti?

Le riprese rilasciate sabato sera mostrano una scena caotica. Nel video, un agente dice di dover perquisire i due ragazzi per assicurarsi che non abbiano armi. Uno di loro scappa e sembra puntare una pistola contro gli agenti mentre fugge. Gli agenti urlano “pistola!” prima che uno di loro lo plachi a terra e lo colpisca. Un altro agente spara mentre i due lottano a terra. Nei video si sentono passanti che urlano contro la polizia. A un certo punto, un agente grida: “Stiamo cercando di salvarlo proprio ora!”.

Che arma è stata brandita?

La polizia afferma che la pistola ad aria compressa o a pallini che Mway ha puntato somigliava molto a una Glock 17 Gen 5 con caricatore staccabile. Il dipartimento ha rilasciato immagini che mostrano che l’arma non aveva la fascia arancione sul barile che molti produttori di pistole ad aria compressa hanno aggiunto negli ultimi anni per distinguerle dalle armi da fuoco reali.

Cosa hanno detto le autorità?

Il capo della polizia Mark Williams ha dichiarato che gli agenti hanno fermato i ragazzi perché corrispondevano alla descrizione dei sospetti in recenti rapine nella zona. Ha detto che i sospetti in quei casi erano maschi asiatici, uno a piedi e l’altro in bicicletta, che avevano brandito un’arma nera. Il sindaco Michael Galime ha parlato sabato e ha incontrato privatamente la famiglia. Ha anche parlato alla comunità Karen durante una riunione accesa domenica in una chiesa locale, respingendo le insinuazioni che la sparatoria fosse motivata da pregiudizi. “Quello che ho visto nelle riprese delle telecamere indossate dagli agenti e in tutti i rapporti che ho letto prima dell’incidente, non c’era alcun riferimento o indicazione di razzismo,” ha detto Galime alla folla. L’ufficio del sindaco non ha risposto immediatamente a un’email inviata lunedì per un commento.

Cos’è la comunità Karen?

I Karen sono una minoranza etnica tra i gruppi che combattono contro i governanti militari del Myanmar, che una volta era conosciuto come Birmania. Utica, una città di oltre 65.000 residenti, ospita più di 4.200 persone provenienti dal Myanmar, secondo The Center, un’organizzazione no profit che aiuta a reinsediare i rifugiati. Fanno parte di migliaia di rifugiati provenienti da vari paesi che si sono stabiliti nell’area negli ultimi decenni e che ora costituiscono più del 20% della popolazione della città, secondo alcune stime.

L’ufficio del procuratore generale dello stato, Letitia James, sta conducendo una revisione per determinare se l’uso della forza da parte della polizia sia stato giustificato, come avviene di norma in caso di sparatorie che coinvolgono la polizia. Il suo ufficio ha detto lunedì che l’indagine è in corso e che non poteva fornire una tempistica per il completamento. La polizia sta conducendo una propria indagine per vedere se gli agenti hanno seguito le procedure, le politiche e la formazione appropriate. Curley ha detto lunedì che eventuali ulteriori dettagli sull’indagine penale saranno forniti dall’ufficio di James.

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Che succede se il presidente Usa abbandona la corsa

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Sono due i principali scenari nel caso Joe Biden decida di ritirarsi dalla corsa per la Casa Bianca. Il primo è che il presidente dia l’endorsement e passi il testimone – in una pacifica transizione di potere – alla sua vice Kamala Harris, che nei sondaggi è più impopolare di lui ma che appare solo 1-2 punti indietro (quindi nel margine di errore) in un ipotetico duello contro Donald Trump. Si tratta della scelta più ovvia e inevitabile, essendo Harris la sua erede naturale, anche in caso di morte o malattia durante la presidenza. Che si tratti della prima scelta lo confermano privatamente varie fonti della campagna di Biden e anche molti donatori che, pur non essendo entusiasti, ammettono come sia “impossibile ignorarla”.

Poi è vero che non è mai uscita dall’ombra di Biden, che non ha mai bucato lo schermo, ma è altrettanto vero che sta recuperando terreno e immagine su alcuni temi, come quello chiave dell’aborto. Inoltre potrebbe vantare il fattore età (59 anni) e la prospettiva di diventare la prima presidente donna e di colore, dopo aver toccato questo soffitto di cristallo come vicepresidente. Tra le possibili alternative Harris è anche la figura più nota, sia nel Paese che a livello internazionale, e potrebbe accedere subito ai fondi della campagna di Biden, oltre ad ereditare l’infrastruttura della sua campagna. Per lanciarla, il presidente dovrebbe però prima garantirsi l’appoggio di tutto il partito, proponendo quindi durante la convention di Chicago ai 3.894 delegati ottenuti nella primarie di votare per lei. In tal caso poi si porrebbe il problema di scegliere il suo vice. Se ci fossero invece forti e aperti contrasti su una candidatura Harris, si rischia lo scenario di una convention ‘brokered’, ossia aperta, dove – oltre alla vicepresidente – si sfidano vari candidati.

Tra i papabili i governatori della California Gavin Newsom, del Michigan Gretchen Whitmer e della Pennsylvania Josh Shapiro, nonché il segretario ai Trasporti Pete Buttigieg. Dovrebbero contendersi la maggioranza dei voti dei delegati di Biden e, se nessuno passasse al primo turno, entrerebbero in gioco i 700 super delegati, ossia dirigenti ed eletti del partito. Si rischiano caos e divisioni intestine per investire un candidato spuntato dal nulla e non selezionato dalle primarie, in un processo sicuramente meno trasparente e meno democratico. Ma forse nessuno dei papabili vuole rischiare una corsa in salita bruciando le proprie chance per il 2028. Resta in ogni caso un’incognita che rischia di anticipare i tempi della nomination rispetto alla convention che inizia il 19 agosto: il partito aveva in programma di fare una ‘roll call’ virtuale prima del 7 agosto per rispettare la scadenza elettorale in Ohio e certificare il candidato in modo che appaia sulle schede. Per cambiare cavallo quindi c’è poco più di un mese.

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Sfuma la maggioranza per l’ultradestra, Le Pen furiosa

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“Grottesco”: a quattro giorni dal secondo turno delle elezioni politiche anticipate, Marine Le Pen attacca il cosiddetto Fronte repubblicano, l’accordo riesumato al fotofinish da macroniani, gauche e destra moderata per scongiurare l’ipotesi che il Rassemblement National possa arrivare al potere nella seconda economia dell’Unione europea. Una strategia, quella delle desistenze anti-estrema destra, che sembra però rivelarsi molto efficace. L’ultimo sondaggio Harris vede il Rn allontanarsi dalla maggioranza assoluta, e di molto: il partito di Le Pen e del candidato premier Jordan Bardella dovrebbe ottenere al ballottaggio di domenica fra 190 e 220 seggi, lontanissimo dai 289 necessari.

Mentre le altre due coalizioni che si sono accordate per lo sbarramento repubblicano traggono vantaggio dalla situazione: il Nuovo Fronte Popolare della gauche otterrebbe fra 159 e 183 seggi; mentre Ensemble, l’arco dei partiti macronisti, conquisterebbe 110-135 deputati, una sconfitta comunque pesante, con una diminuzione di quasi la metà dei seggi. Ai Républicains andrebbero fra i 30 e i 50 scranni, un buon risultato considerata la scissione di Eric Ciotti, passato ad appoggiare il Rn. “La classe politica dà di sé stessa un’immagine sempre più grottesca”, ha tuonato in un messaggio pubblicato su X Marine Le Pen, evidentemente furiosa per il fatto che l’arco repubblicano possa sfilargli una vittoria che sentiva già in tasca. Nel rush finale, il paesaggio politico d’Oltralpe appare comunque più che mai imprevedibile: una volta superato lo scoglio delle desistenze – sono stati ben 218 i candidati di diverso colore politico che hanno accettato di ritirarsi dalle triangolari in funzione anti-Le Pen – resta il rompicapo di una coalizione anti-Rn pressoché introvabile, in un Paese per giunta poco incline alla cultura del compromesso.

“Non governeremo con La France Insoumise, una desistenza non significa una coalizione”, ha avvertito durante l’ultimo consiglio dei ministri di questo governo Emmanuel Macron, tornando a tracciare la sua linea rossa rispetto ad un esecutivo con il partito di Mélenchon, l’ala più radicale del Nouveau Front Populaire, considerata dai macroniani pericolosa almeno quanto il Rn. Sulla stessa linea il premier Gabriel Attal – responsabile della campagna della maggioranza uscente -, sempre più orientato verso una soluzione da trovare “in Parlamento”: “Né la France Insoumise, né il Nuovo Fronte Popolare né i nostri candidati – ha detto il primo ministro – sono in grado di formare una maggioranza assoluta. Al termine del ballottaggio, o ci sarà un governo di estrema destra o il potere passerà al Parlamento. Io mi batto per questo secondo scenario”. Una sorta di governo di unione nazionale, insomma, sul quale resta però il dilemma Mélenchon. Del resto è stato lo stesso leader Insoumis a dire che “solo due progetti sono sul tavolo, il Rassemblement National oppure il Nuovo Fronte Popolare”, mettendo all’angolo i macroniani.

Intervistato da Le Figaro, da parte sua Bardella ha denunciato alleanze anti-Rn destinate a “paralizzare il Paese” alla vigilia delle Olimpiadi di Parigi, dicendosi “pronto alla mano tesa” per ampliare la sua maggioranza. Oggi il ventottenne ha tentato di minimizzare l’impatto delle rivelazioni su alcuni candidati impresentabili, tra filo nazi, razzisti e antisemiti, ma anche un settantenne condannato nel 1995 per una presa d’ostaggi a mano armata. “Quando ci sono delle pecore nere, non tentenno”, ha assicurato il politico di origini italiane, evocando il ritiro delle candidature più imbarazzanti per il suo partito. Se riusciranno a fermare l’avanzata lepenista, macroniani, gauche e alcuni eletti repubblicani potrebbero avere il difficile compito di formare un governo tecnico, basato su una grande coalizione.

Concetti familiari in grandi Paesi europei come l’Italia o la Germania ma pressoché sconosciuti nella Quinta Repubblica francese, tradizionalmente poco incline alle larghe intese. La leader ecologista, Marine Tondelier, tra le figure in crescita di questi giorni e membro del Nouveau Front Populaire, ha riassunto la situazione in una formula: “Bisogna fare cose che nessuno ha mai fatto prima”. Mentre l’ex premier Edouard Philippe, tra le personalità di riferimento del centrodestra moderato, si è spinto fino ad annunciare che voterà per un candidato comunista, di cui rispetta “l’impegno democratico”, pur di fermare l’estrema destra lepenista.

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Israele uccide un capo di Hezbollah, cento razzi dal Libano

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La guerra non dichiarata tra Israele e Hezbollah scivola ogni giorno di più verso una escalation militare totale. Solo oggi dal Libano sono arrivati, in una unica tornata, oltre 100 razzi dopo l’uccisione da parte di Israele di un alto comandante dei miliziani sciiti, alleati dell’Iran, che hanno aperto le ostilità l’8 ottobre scorso a distanza di un giorno dall’attacco di Hamas. Il comandante ucciso, come ha confermato l’Idf, è Abu Ali (o Muhammad Nimah) Nasser, responsabile di uno dei tre settori del Libano sud. Comandava, secondo le stesse fonti, il gruppo Aziz, una delle 3 divisioni regionali di Hezbollah al confine con Israele. E’ stato colpito in un attacco con un drone ad al Hawsh, a est di Tiro, 90 chilometri a sud di Beirut. Ricopriva un incarico, ha spiegato l’esercito, pari a quello di Taleb Abdallah, altro comandante militare di Hezbollah ucciso l’11 giugno scorso.

“Nasser – ha detto il portavoce militare – era responsabile del lancio dei missili anti tank e dei razzi dal sud-ovest del Libano verso Israele”. A dare il quadro sempre più pericolante della situazione è stato lo stesso ministro della difesa israeliana Yoav Gallant. I tank in uscita dall’operazione di terra a Rafah “possono arrivare fino al fiume Litani”, ha detto, riferendosi al fiume in Libano a circa 16 chilometri a nord della frontiera con Israele.

“Stiamo colpendo duramente Hezbollah e – ha aggiunto – siamo in grado di intraprendere qualsiasi azione necessaria in Libano o a raggiungere un accordo da una posizione di forza. Preferiamo un accordo, ma se la realtà ce lo impone, sapremo combattere”. La linea del fiume Litani è quella oltre la quale Israele vuole ritornino gli Hezbollah. “Il Libano diventerà sicuramente un inferno senza ritorno per i sionisti, in caso portassero avanti qualunque aggressione contro il Paese”, ha minacciato invece il ministro degli esteri dell’Iran, Ali Bagheri, aggiungendo che “la resistenza libanese ha giocato un ruolo attivo sul piano operativo e diplomatico, con la conseguente formazione di una forza deterrente nel caso in cui scoppiasse una guerra”.

La situazione di conflitto a Gaza, dove l’Idf continua ad operare nel sud della Striscia, e la crescente tensione al nord, senza dimenticare l’attentato terroristico che a Karmiel è costato la vita ad un soldato, non ha impedito ad Israele, secondo l’ong Peace Now, di prendere due provvedimenti molto contestati. Il primo riguarda la designazione di “terra statale” di 2.965 acri nella Valle del Giordano, idonei dunque per lo sviluppo futuro: il maggiore intervento di questo tipo dalla firma degli Accordi di Oslo del 1993. Al tempo stesso, l’ong ha fatto sapere che a giorni il Consiglio di pianificazione discuterà piani per la costruzione di 6.016 unità abitative in dozzine di insediamenti ebraici in Cisgiordania.

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