Naim Qassem era finito nel mirino di Israele già prima di essere annunciato come nuovo leader di Hezbollah, succeduto al defunto Hassan Nasrallah, ucciso dallo Stato ebraico un mese fa. Qassem, la cui elezione sarebbe avvenuta due giorni fa, è da più parti descritto come un segretario generale a termine: o perché sarà raggiunto presto da un missile israeliano (come ha già minacciato il ministro della Difesa Yoav Gallant definendo la sua nomina “temporanea”); o perché sarà sostituito da una personalità di maggior peso politico, su scala locale e regionale. Il 71enne Qassem non è infatti considerato un esponente di spicco della struttura di Hezbollah. Il fatto che da anni ricoprisse la carica di vice segretario generale, all’ombra di Nasrallah, non corrispondeva alla statura modesta della sua figura. E questo a partire dal rango secondario di shaykh, personalità religiosa a cui si deve rispetto ma non certo paragonabile a un sayyid, un discendente del profeta Maometto, come era Nasrallah, secondo la tradizione dello sciismo.
Eppure da quattro settimane Qassem, barba bianca e tunica nera, ci ha messo letteralmente la faccia. Mentre non erano ancora confermate le sempre più insistenti voci dell’uccisione, sempre da parte di Israele, di Hashem Safieddine, cugino materno di Nasrallah, anch’egli un sayyid e da 15 anni indicato come il successore del defunto leader, Qassem è apparso tre volte sugli schermi televisivi per parlare alla gente di Hezbollah e per lanciare moniti ai nemici esterni e ai rivali libanesi. Anche perché il vuoto di potere ai vertici del partito non poteva durare oltre. Soprattutto per non lasciare sguarnita la posizione, riservata a Hezbollah, all’interno della cupola istituzionale e clientelare libanese che domina il Libano. Due dei membri più illustri di questa cupola, come il presidente del parlamento Nabih Berri e il premier uscente Najib Miqati, stanno da settimane tentando di capire quanto sia indebolito Hezbollah per estendere le rispettive influenze: lasciandosi tentare, sopra o sotto il tavolo, dalle tentazioni occidentali e dei Paesi arabi del Golfo di abbandonare Hezbollah al suo destino per disegnare un Libano assai più vicino agli Stati Uniti e a Israele.
Proprio a Berri si era rivolto con decisione Naim Qassem in uno dei suoi discorsi televisivi di metà ottobre: senza di noi non ci sarà nessun accordo politico dopo il cessate il fuoco, aveva detto tirando fuori dalla sua consueta flemma un insolito piglio determinato. Autore nel 2006 di un saggio su Hezbollah (‘La storia dall’interno’) e figlio di una famiglia di Kafr Kila, in quel profondo sud del Libano nuovamente trasformato in una landa desolata dall’esercito israeliano, il nuovo leader di Hezbollah è considerato assai meno legato a doppio filo all’Iran rispetto a Nasrallah e, soprattutto, a Safieddine. Certamente, affermano gli osservatori libanesi, dalla sua leadership non bisognerà attendersi nessun cambiamento significativo delle scelte politiche del partito. “Sempre che riesca a sopravvivere ai prossimi raid israeliani”, scrivono alcuni commentatori a Beirut. In un comunicato diffuso assieme all’annuncio della sua elezione, da parte del consiglio consultivo di Hezbollah, il movimento armato ha ribadito in serata che il nuovo segretario generale terrà accesa “la fiamma della resistenza” armata contro Israele.