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Sosteneva le proteste, arrestata la nipote di Khamenei

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La scure delle repressione della rivolta pacifica degli iraniani che chiedono diritti e libertà non guarda in faccia a nessuno. Tanto che a finire in manette è anche Farideh Moradkhani, nipote della Guida Suprema Ali Khamenei che da due mesi vede traballare il suo regime sotto i colpi di ciocche di capelli al vento e delle proteste coraggiose e determinate in ogni città. Attivista politica e per i diritti umani, è stata arrestata a Teheran per aver sostenuto i manifestanti che continuano, nonostante le centinaia di vittime e le migliaia di arresti, a ricordare Mahsa Amini la giovane morta a settembre mentre era in custodia della polizia per non aver indossato correttamente il velo. Secondo un tweet di suo fratello, Mahmoud Moradkhani – anche lui oppositore del regime che attualmente vive in Francia – la donna, 36 anni, sarebbe stata “arrestata e portata in carcere oggi, quando si è recata presso l’ufficio del procuratore per scontare un ordine del tribunale”.

L’intelligence dei guardiani della Rivoluzione ha reso noto di aver catturato anche un cittadino iraniano-britannico, con l’accusa di essere coinvolto nelle proteste che Teheran giudica coordinate dall’estero per destabilizzare il Paese e di essere “uno dei principali collegamenti tra le reti terroristiche e dissidenti Bbc e Iran International”. La tv in lingua persiana, basata a Londra, è da tempo nel mirino delle minacce del regime – che la considera finanziata dall’Arabia Saudita – che l’hanno raggiunta in terra britannica, tanto da costringere il governo di Rishi Sunak a convocare l’ambasciatore di Teheran e a schierare la polizia attorno alla sede della redazione nella capitale. Non è la prima volta che la nipote di Khamenei finisce in prigione: l’ultima lo scorso gennaio, incarcerata dopo essersi rivolta alla vedova dell’ultimo scià, Mohammad Reza Pahlavi deposto dalla Rivoluzione islamica del 1979, chiamandola “cara regina”.

In occasione dell’83esimo compleanno di Farah Diba, il 14 ottobre 2021, Farideh aveva inviato un messaggio con una poesia a lei dedicata: “Cara regina e madre della mia patria! So che tornerai e porterai la luce per spezzare l’oscurità della notte”, aveva detto lanciando una sfida allo zio e agli ayatollah. Pochi mesi prima del suo arresto aveva inoltre avviato una campagna a favore dei detenuti e contro la pena di morte. Rinchiusa nel famigerato carcere di Evin a Teheran, noto per le brutali condizioni di detenzione degli oppositori politici, era stata poi rilasciata su cauzione a maggio. Farideh è la figlia della sorella di Khamenei, Badri, e dello sceicco Ali Moradkhani (noto come Ali Teherani) che dopo la Rivoluzione guidata da Khomeini nel ’79 diventò un dissidente e trovò rifugio in Iraq. Al suo ritorno in Iran venne condannato a 20 anni di prigione, ma fu scarcerato dopo 10. Ali Teherani è morto lo scorso ottobre nella capitale iraniana all’età di 96 anni.

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Attacco di Hezbollah in Libano, feriti quattro militari italiani della missione UNIFIL

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Quattro militari italiani impegnati nella missione di pace UNIFIL in Libano sono rimasti feriti a seguito di un attacco alla base situata nel sud del Paese. Fonti governative assicurano che i soldati, che si trovavano all’interno di uno dei bunker della base italiana a Shama, non sono in pericolo di vita. Le autorità italiane e internazionali hanno espresso forte indignazione per l’accaduto, mentre proseguono le indagini per ricostruire la dinamica dell’attacco.

UNIFIL UNITED NATIONS INTERIM FORCE IN LIBANO. SOLDATI DELLE NAZIONI UNITE  (FOTO IMAGOECONOMICA)

La dinamica dell’attacco

Secondo le prime ricostruzioni, due razzi sarebbero stati lanciati dal gruppo Hezbollah durante un’escalation di tensioni con Israele. Al momento dell’attacco, la base italiana aveva attivato il livello di allerta 3, che impone ai militari l’utilizzo di elmetti e giubbotti antiproiettile. La decisione si era resa necessaria a causa della pericolosità crescente nell’area, teatro di scontri tra Israele e Hezbollah.

Un team di UNIFIL è stato inviato a Shama per verificare i dettagli dell’accaduto, mentre il governo italiano monitora attentamente la situazione.

UNIFIL UNITED NATIONS INTERIM FORCE IN LEBANON. FOTO IMAGOECONOMICA ANCHE IN EVIDENZA

Le dichiarazioni del ministro Crosetto

Il ministro della Difesa Guido Crosetto ha commentato con durezza l’attacco, definendolo “intollerabile”:

“Cercherò di parlare con il nuovo ministro della Difesa israeliano per chiedergli di evitare l’utilizzo delle basi UNIFIL come scudo. Ancor più intollerabile è la presenza di terroristi nel Sud del Libano che mettono a repentaglio la sicurezza dei caschi blu e della popolazione civile”.

Crosetto ha inoltre sottolineato la necessità di proteggere i militari italiani, impegnati in una missione delicata per garantire la stabilità nella regione.


La solidarietà del Presidente Meloni

Anche la Presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha espresso solidarietà ai militari feriti e alle loro famiglie, dichiarando:

“Apprendo con profonda indignazione e preoccupazione la notizia dei nuovi attacchi subiti dal quartier generale italiano di UNIFIL. Desidero esprimere la solidarietà e la vicinanza mia e del Governo ai feriti, alle loro famiglie e sincera gratitudine per l’attività svolta quotidianamente da tutto il contingente italiano in Libano. Ribadisco che tali attacchi sono inaccettabili e rinnovo il mio appello affinché le parti sul terreno garantiscano, in ogni momento, la sicurezza dei soldati di UNIFIL”.


Unifil: una missione per la pace

La missione UNIFIL, operativa dal 1978, ha il compito di monitorare il cessate il fuoco tra Israele e il Libano, supportare le forze armate libanesi e garantire la sicurezza nella regione. L’attacco alla base italiana evidenzia la crescente instabilità nell’area e i rischi a cui sono esposti i caschi blu impegnati nella missione di pace.

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La trumpiana Greene lavorerà con Musk e Ramaswamy a taglio costi

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La trumpiana di ferro Marjorie Taylor Greene collaborerà con Elon Musk e Vivek Ramaswamy come presidente di una commissione della Camera incaricata di lavorare con il Dipartimento dell’efficienza. “Sono contenta di presiedere questa nuova commissione che lavorerà mano nella mano con il presidente Trump, Musk, Ramaswamy e l’intera squadra del Doge”, acronimo del Department of Government Efficiency, ha detto Greene, spiegando che la commissione si occuperà dei licenziamenti dei “burocrati” del governo e sarà trasparente con le sue audizioni. “Nessun tema sarà fuori dalla discussione”, ha messo in evidenza Greene.

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Pam Bondi, fedelissima di Trump a ministero Giustizia

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Donald Trump nomina la fedelissima Pam Bondi a ministra della Giustizia. L’ex procuratrice della Florida ha collaborato con il presidente eletto durante il suo primo impeachment. “Come prima procuratrice della Florida si è battuta per fermare il traffico di droga e ridurre il numero delle vittime causate dalle overdosi di fentanyl. Ha fatto un lavoro incredibile”, afferma Trump sul suo social Truth annunciando la nomina, avvenuta dopo il ritito di Matt Gaetz travolto da scandali a sfondo sessuale. “Per troppo tempo il Dipartimento di Giustizia è stato usato contro di me e altri repubblicani. Ma non più. Pam lo riporterà al suo principio di combattere il crimine e rendere l’America sicura.

E’ intelligente e tosta, è una combattente per l’America First e farà un lavoro fantastico”, ha aggiunto il presidente-eletto. Bondi è stata procuratrice della Florida fra il 2011 e il 2019, quando era governatore Rick Scott. Al momento presiede il Center for Litigation all’America First Policy Institute, un think tank di destra che sta lavorando con il transition team di Trump sull’agenda amministrativa. Come procuratrice della Florida si è attirata l’attenzione nazionale per i suoi tentativi di capovolgere l’Obamacare, ma anche per la decisione di condurre un programma su Fox mentre era ancora in carica e quella di chiedere al governatore Scott di posticipare un’esecuzione per un conflitto con un evento di raccolta fondi.

La nomina di Bondi arriva a sei ore di distanza dal ritiro di Gaetz dalla corsa a ministro della Giustizia dopo le nuove rivelazioni sullo scandalo sessuale che lo ha travolto. Prima dell’annuncio, l’ex deputato della Florida era stato contattato da Trump che gli aveva riferito che la sua candidatura non aveva i voti necessari per essere confermata in Seanto. Almeno quattro senatori repubblicani, infatti, si era espressi contro e si erano mostrati irremovibili a cambiare posizione. Il nome di Bondi, riporta Cnn, era già nell’iniziale lista dei papabili ministro alla giustizia stilata prima di scegliere Gaetz. Quando l’ex deputato ha annunciato il suo passo indietro, il nome di Bondi è iniziato a circolare con insistenza fino all’annuncio.

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