Lo stop ai motori endotermici dal 2035 è tornato improvvisamente a rischio e porterà l’Ue a un supplemento di mediazione. Il voto sul regolamento, previsto mercoledì mattina alla riunione dei Rappresentanti Permanenti aggiunti dei 27 (Coreper I) è stato rinviato a venerdì dopo che l’Italia ha messo per iscritto la sua posizione contraria e la Germania ha avanzato corpose riserve al via libera senza adeguate contropartite sugli e-fuels. Il nodo è, innanzitutto, economico. E in una dichiarazione inviata nei circuiti europei per motivare il suo no il governo italiano lo ha messo in chiaro: non si può stabilire “l’obiettivo di riduzione delle emissioni del 100% nel 2035 e non prevedere alcun incentivo per l’uso di carburanti rinnovabili”, ha sottolineato Roma. Per la Commissione il problema è che non c’è solo l’Italia a mettersi di traverso. Già al Coreper di novembre la Polonia aveva votato contro e la Bulgaria si era astenuta (che per regolamento equivale a un voto contrario). L’aggiunta di Germania e Italia renderebbe concreta la minoranza di blocco necessaria per affossare il regolamento.
E la Commissione dopo mesi di delicati negoziati e dopo l’approvazione definitiva dell’Eurocamera a febbraio, non può permetterselo. E’ su Berlino che si starebbe indirizzando la moral suasion dell’esecutivo europeo. I punti a favore della Commissione sono due. Un intervento sugli e-fuels è percorribile, visto che diverse misure del pacchetto del Fit for 55 sono ancora in via di approvazione. Inoltre, la posizione della Germania, per la natura del suo esecutivo, è ambigua. L’ala liberale rema contro ma i Verdi e anche i Socialisti finora sono stati convinti fautori dello stop a benzina e diesel. La posizione italiana appare invece fermissima. “Bruxelles deve agire con maggiore pragmatismo, secondo una visione più adeguata alla realtà, nella sfida della transizione ecologica e industriale”, ha sottolineato il ministro per le Imprese e il made in Italy, Adolfo Urso, lanciando un ulteriore messaggio all’Ue: l’Italia sarà “assertiva anche sulla riduzione della CO2 per i veicoli pesanti e soprattutto sul regolamento sull’euro 7”. C’è poi anche una motivazione strategica che muove lo scetticismo l’Italia: la spinta all’elettrico che contiene il Regolamento è una sponda per l’industria e le batterie cinesi.
Di tutto ciò se ne parlerà venerdì per un voto che a Bruxelles davano per scontato ma che scontato non lo è più. In caso di via libera, il 7 marzo, il Consiglio Ue darà l’ok formale. Ad alzare la temperatura, del resto, è tutta la partita europea sull’industria verde, non solo quella delle auto. In vista del summit dei 27 di fine marzo e della piano Net Zero che la Commissione presenterà il 14 marzo assieme alla legge sulle materie prime critiche, dieci leader hanno scritto a Ursula von der Leyen e Charles Michel per chiedere con nettezza prudenza sull’allentamento delle regole sugli aiuti di Stato. “Potrebbe esserci il rischio che l’effetto combinato delle misure a breve termine distorca le condizioni di parità e indebolisca i fondamenti della nostra economia”, hanno avvertito i dieci leader, dall’olandese Mark Rutte ai baltici, fino al belga Alexander De Croo. E la loro è una posizione non dissimile da quella italiane e molto distante da Francia e Germania. Il quadro delle alleanze interne ai 27, nel solco della transizione verde, potrebbe riservare più di un colpo di scena.