Il rebus della Brexit all’indomani dell’oceanico corteo a Londra del popolo del remain torna a pesare sul destino della primo ministro Theresa May e si torna a parlare di una sua possibile uscita di scena, con indiscrezioni che tratteggiano anche scenari completamente nuovi. E le immagini del ‘popolo in piazza’ – così come gli oltre cinque milioni di firme (è record) della petizione che chiede la revoca dell’articolo 50 – impongono intanto un’apertura all’idea di un secondo referendum che, pur tenendo conto di freni e lacci istituzionali, non sembra più un tabù. Almeno nelle parole del cancelliere dello Scacchiere Philip Hammond, secondo cui una seconda consultazione popolare “merita di essere considerata”. Hammond è però altrettanto chiaro nell’instillare i dubbi sulla fattibilità di tale percorso.
Theresa May. Non c’è accordo su Brexit nel suo governo e ora lei rischia di dover lasciare
“Non sono certo ci sia una maggioranza in parlamento a sostegno di un secondo referendum – ha detto – ma e’ una posizione perfettamente coerente e merita di essere considerata”. Mentre si dice certo che un cambio di leadership non aiuterebbe a superare l’impasse. Eppure il ‘balletto’ e’ cominciato, con tanto di toto-nomi per i possibili successori di May: Michael Gove e David Lidington. Quest’ultimo il piu’ accreditato nel resoconto di media britannici: di fatto numero due di Theresa May a Downing Street, di fede ‘remainer’ e’ stato ministro per l’Europa nel governo di David Cameron (quando tutto comincio’). E questo lo rende chiaramente inviso ai ‘brexiteer’, che pure su Gove pero’ hanno riserve nonostante il suo impegno nella campagna per il Leave, ma alla luce della faida con Boris Johnson e il grande tradimento nella sfida per la leadership del partito Conservatore che poi vide prevalere Theresa May.
Tutto prima pero’ che il percorso verso il divorzio di Londra dall’Ue si ingarbugliasse fino a questo punto e cosi’, a voler dar retta alla vulgata, persino i bookmaker vanno oltre e puntano su Gove e Lidington. Ufficialmente si leva il consueto coro di smentite sul presunto ultimatum che fino a 11 membri del governo, stando al Sunday Times, avrebbero posto alla May, chiedendole di lasciare (o di fissare una data per la sua uscita di scena) in cambio del sostegno al suo accordo sull’uscita dall’Ue: dal ‘no comment’ di Downing Street fino a Lidington che nega di di avere alcuna ambizione di subentrare alla premier che, a suo avviso, “sta facendo un ottimo lavoro”. Ma May ha intanto indetto una ‘riunione di crisi’ nella residenza in campagna del primo ministro (Chequers) con ministri e deputati Tory, fra cui Lidington, Gove e i ‘brexiteers’ Boris Johnson, Iain Duncan Smith e Jacob Rees-Mogg, in vista di un’altra settimana critica ma che rischia di concludersi con una altro nulla di fatto fra Westminster e Downing Street a ridosso del 29 marzo, la data per l’uscita del Regno Unito dall’Ue considerata ormai archiviata e sostituita dalle due possibilita’ dettate da Bruxelles: il 12 aprile senza l’approvazione dell’accordo o al piu’ tardi il 22 maggio.
Quattro militari italiani impegnati nella missione di pace UNIFIL in Libano sono rimasti feriti a seguito di un attacco alla base situata nel sud del Paese. Fonti governative assicurano che i soldati, che si trovavano all’interno di uno dei bunker della base italiana a Shama, non sono in pericolo di vita. Le autorità italiane e internazionali hanno espresso forte indignazione per l’accaduto, mentre proseguono le indagini per ricostruire la dinamica dell’attacco.
UNIFIL UNITED NATIONS INTERIM FORCE IN LIBANO. SOLDATI DELLE NAZIONI UNITE (FOTO IMAGOECONOMICA)
La dinamica dell’attacco
Secondo le prime ricostruzioni, due razzi sarebbero stati lanciati dal gruppo Hezbollah durante un’escalation di tensioni con Israele. Al momento dell’attacco, la base italiana aveva attivato il livello di allerta 3, che impone ai militari l’utilizzo di elmetti e giubbotti antiproiettile. La decisione si era resa necessaria a causa della pericolosità crescente nell’area, teatro di scontri tra Israele e Hezbollah.
Un team di UNIFIL è stato inviato a Shama per verificare i dettagli dell’accaduto, mentre il governo italiano monitora attentamente la situazione.
UNIFIL UNITED NATIONS INTERIM FORCE IN LEBANON. FOTO IMAGOECONOMICA ANCHE IN EVIDENZA
Le dichiarazioni del ministro Crosetto
Il ministro della Difesa Guido Crosetto ha commentato con durezza l’attacco, definendolo “intollerabile”:
“Cercherò di parlare con il nuovo ministro della Difesa israeliano per chiedergli di evitare l’utilizzo delle basi UNIFIL come scudo. Ancor più intollerabile è la presenza di terroristi nel Sud del Libano che mettono a repentaglio la sicurezza dei caschi blu e della popolazione civile”.
Crosetto ha inoltre sottolineato la necessità di proteggere i militari italiani, impegnati in una missione delicata per garantire la stabilità nella regione.
La solidarietà del Presidente Meloni
Anche la Presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha espresso solidarietà ai militari feriti e alle loro famiglie, dichiarando:
“Apprendo con profonda indignazione e preoccupazione la notizia dei nuovi attacchi subiti dal quartier generale italiano di UNIFIL. Desidero esprimere la solidarietà e la vicinanza mia e del Governo ai feriti, alle loro famiglie e sincera gratitudine per l’attività svolta quotidianamente da tutto il contingente italiano in Libano. Ribadisco che tali attacchi sono inaccettabili e rinnovo il mio appello affinché le parti sul terreno garantiscano, in ogni momento, la sicurezza dei soldati di UNIFIL”.
Unifil: una missione per la pace
La missione UNIFIL, operativa dal 1978, ha il compito di monitorare il cessate il fuoco tra Israele e il Libano, supportare le forze armate libanesi e garantire la sicurezza nella regione. L’attacco alla base italiana evidenzia la crescente instabilità nell’area e i rischi a cui sono esposti i caschi blu impegnati nella missione di pace.
La trumpiana di ferro Marjorie Taylor Greene collaborerà con Elon Musk e Vivek Ramaswamy come presidente di una commissione della Camera incaricata di lavorare con il Dipartimento dell’efficienza. “Sono contenta di presiedere questa nuova commissione che lavorerà mano nella mano con il presidente Trump, Musk, Ramaswamy e l’intera squadra del Doge”, acronimo del Department of Government Efficiency, ha detto Greene, spiegando che la commissione si occuperà dei licenziamenti dei “burocrati” del governo e sarà trasparente con le sue audizioni. “Nessun tema sarà fuori dalla discussione”, ha messo in evidenza Greene.
Donald Trump nomina la fedelissima Pam Bondi a ministra della Giustizia. L’ex procuratrice della Florida ha collaborato con il presidente eletto durante il suo primo impeachment. “Come prima procuratrice della Florida si è battuta per fermare il traffico di droga e ridurre il numero delle vittime causate dalle overdosi di fentanyl. Ha fatto un lavoro incredibile”, afferma Trump sul suo social Truth annunciando la nomina, avvenuta dopo il ritito di Matt Gaetz travolto da scandali a sfondo sessuale. “Per troppo tempo il Dipartimento di Giustizia è stato usato contro di me e altri repubblicani. Ma non più. Pam lo riporterà al suo principio di combattere il crimine e rendere l’America sicura.
E’ intelligente e tosta, è una combattente per l’America First e farà un lavoro fantastico”, ha aggiunto il presidente-eletto. Bondi è stata procuratrice della Florida fra il 2011 e il 2019, quando era governatore Rick Scott. Al momento presiede il Center for Litigation all’America First Policy Institute, un think tank di destra che sta lavorando con il transition team di Trump sull’agenda amministrativa. Come procuratrice della Florida si è attirata l’attenzione nazionale per i suoi tentativi di capovolgere l’Obamacare, ma anche per la decisione di condurre un programma su Fox mentre era ancora in carica e quella di chiedere al governatore Scott di posticipare un’esecuzione per un conflitto con un evento di raccolta fondi.
La nomina di Bondi arriva a sei ore di distanza dal ritiro di Gaetz dalla corsa a ministro della Giustizia dopo le nuove rivelazioni sullo scandalo sessuale che lo ha travolto. Prima dell’annuncio, l’ex deputato della Florida era stato contattato da Trump che gli aveva riferito che la sua candidatura non aveva i voti necessari per essere confermata in Seanto. Almeno quattro senatori repubblicani, infatti, si era espressi contro e si erano mostrati irremovibili a cambiare posizione. Il nome di Bondi, riporta Cnn, era già nell’iniziale lista dei papabili ministro alla giustizia stilata prima di scegliere Gaetz. Quando l’ex deputato ha annunciato il suo passo indietro, il nome di Bondi è iniziato a circolare con insistenza fino all’annuncio.