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Sfuma la maggioranza per l’ultradestra, Le Pen furiosa

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“Grottesco”: a quattro giorni dal secondo turno delle elezioni politiche anticipate, Marine Le Pen attacca il cosiddetto Fronte repubblicano, l’accordo riesumato al fotofinish da macroniani, gauche e destra moderata per scongiurare l’ipotesi che il Rassemblement National possa arrivare al potere nella seconda economia dell’Unione europea. Una strategia, quella delle desistenze anti-estrema destra, che sembra però rivelarsi molto efficace. L’ultimo sondaggio Harris vede il Rn allontanarsi dalla maggioranza assoluta, e di molto: il partito di Le Pen e del candidato premier Jordan Bardella dovrebbe ottenere al ballottaggio di domenica fra 190 e 220 seggi, lontanissimo dai 289 necessari.

Mentre le altre due coalizioni che si sono accordate per lo sbarramento repubblicano traggono vantaggio dalla situazione: il Nuovo Fronte Popolare della gauche otterrebbe fra 159 e 183 seggi; mentre Ensemble, l’arco dei partiti macronisti, conquisterebbe 110-135 deputati, una sconfitta comunque pesante, con una diminuzione di quasi la metà dei seggi. Ai Républicains andrebbero fra i 30 e i 50 scranni, un buon risultato considerata la scissione di Eric Ciotti, passato ad appoggiare il Rn. “La classe politica dà di sé stessa un’immagine sempre più grottesca”, ha tuonato in un messaggio pubblicato su X Marine Le Pen, evidentemente furiosa per il fatto che l’arco repubblicano possa sfilargli una vittoria che sentiva già in tasca. Nel rush finale, il paesaggio politico d’Oltralpe appare comunque più che mai imprevedibile: una volta superato lo scoglio delle desistenze – sono stati ben 218 i candidati di diverso colore politico che hanno accettato di ritirarsi dalle triangolari in funzione anti-Le Pen – resta il rompicapo di una coalizione anti-Rn pressoché introvabile, in un Paese per giunta poco incline alla cultura del compromesso.

“Non governeremo con La France Insoumise, una desistenza non significa una coalizione”, ha avvertito durante l’ultimo consiglio dei ministri di questo governo Emmanuel Macron, tornando a tracciare la sua linea rossa rispetto ad un esecutivo con il partito di Mélenchon, l’ala più radicale del Nouveau Front Populaire, considerata dai macroniani pericolosa almeno quanto il Rn. Sulla stessa linea il premier Gabriel Attal – responsabile della campagna della maggioranza uscente -, sempre più orientato verso una soluzione da trovare “in Parlamento”: “Né la France Insoumise, né il Nuovo Fronte Popolare né i nostri candidati – ha detto il primo ministro – sono in grado di formare una maggioranza assoluta. Al termine del ballottaggio, o ci sarà un governo di estrema destra o il potere passerà al Parlamento. Io mi batto per questo secondo scenario”. Una sorta di governo di unione nazionale, insomma, sul quale resta però il dilemma Mélenchon. Del resto è stato lo stesso leader Insoumis a dire che “solo due progetti sono sul tavolo, il Rassemblement National oppure il Nuovo Fronte Popolare”, mettendo all’angolo i macroniani.

Intervistato da Le Figaro, da parte sua Bardella ha denunciato alleanze anti-Rn destinate a “paralizzare il Paese” alla vigilia delle Olimpiadi di Parigi, dicendosi “pronto alla mano tesa” per ampliare la sua maggioranza. Oggi il ventottenne ha tentato di minimizzare l’impatto delle rivelazioni su alcuni candidati impresentabili, tra filo nazi, razzisti e antisemiti, ma anche un settantenne condannato nel 1995 per una presa d’ostaggi a mano armata. “Quando ci sono delle pecore nere, non tentenno”, ha assicurato il politico di origini italiane, evocando il ritiro delle candidature più imbarazzanti per il suo partito. Se riusciranno a fermare l’avanzata lepenista, macroniani, gauche e alcuni eletti repubblicani potrebbero avere il difficile compito di formare un governo tecnico, basato su una grande coalizione.

Concetti familiari in grandi Paesi europei come l’Italia o la Germania ma pressoché sconosciuti nella Quinta Repubblica francese, tradizionalmente poco incline alle larghe intese. La leader ecologista, Marine Tondelier, tra le figure in crescita di questi giorni e membro del Nouveau Front Populaire, ha riassunto la situazione in una formula: “Bisogna fare cose che nessuno ha mai fatto prima”. Mentre l’ex premier Edouard Philippe, tra le personalità di riferimento del centrodestra moderato, si è spinto fino ad annunciare che voterà per un candidato comunista, di cui rispetta “l’impegno democratico”, pur di fermare l’estrema destra lepenista.

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Da Putin a Gheddafi, i leader nel mirino dell’Aja

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Con il mandato d’arresto spiccato contro il premier israeliano Benyamin Netanyahu, insieme all’ex ministro della Difesa Yoav Gallant, si allunga la lista dei capi di Stato e di governo perseguiti dalla Corte penale internazionale con le accuse di crimini di guerra e crimini contro l’umanità. Da Muammar Gheddafi a Omar al Bashir, e più recentemente Vladimir Putin. Ultimo in ordine di tempo era stato appunto il presidente russo, accusato nel marzo del 2023 di “deportazione illegale” di bambini dalle zone occupate dell’Ucraina alla Russia, insieme a Maria Alekseyevna Lvova-Belova, commissaria per i diritti dei bambini del Cremlino.

Sempre a causa dell’invasione dell’Ucraina nel mirino della Corte sono finiti in otto alti gradi russi, tra cui l’ex ministro della Difesa Sergei Shoigu e l’attuale capo di stato maggiore Valery Gerasimov: considerati entrambi possibili responsabili dei ripetuti attacchi alle infrastrutture energetiche ucraine. Prima di Putin, nel 2011 l’Aja accusò di crimini contro l’umanità Muammar Gheddafi, ma il caso decadde con la morte del rais libico nel novembre dello stesso anno.

Un simile provvedimento fu emesso per il figlio Seif al Islam e per il capo dei servizi segreti Abdellah Senussi. Tra gli altri leader di spicco perseguiti, l’ex presidente sudanese Omar al Bashir: nel 2008 il procuratore capo della Corte Luis Moreno Ocampo lo accusò di essere responsabile di genocidio e crimini contro l’umanità e della guerra in Darfur cominciata nel 2003. Anche Laurent Gbagbo, ex presidente della Costa d’Avorio, è finito all’Aja, ma dopo un processo per crimini contro l’umanità è stato assolto nel 2021 in appello.

Nel 2016 la Corte penale internazionale ha condannato l’ex vicepresidente del Congo, Jean-Pierre Bemba, per assassinio, stupro e saccheggio in quanto comandante delle truppe che commisero atrocità continue e generalizzate nella Repubblica Centrafricana nel 2002 e 2003. Il signore della guerra ugandese Joseph Kony, che dovrebbe rispondere di ben 36 capi d’imputazione tra cui omicidio, stupro, utilizzo di bambini soldato, schiavitù sessuale e matrimoni forzati, è la figura ricercata dalla Cpi da più tempo: il suo mandato d’arresto venne spiccato nel 2005. Tra gli altri dossier aperti e su cui indaga l’Aja c’è l’inchiesta sui crimini contro la minoranza musulmana dei Rohingya in Birmania. Un’altra indagine è quella su presunti crimini contro l’umanità commessi dal governo del presidente venezuelano Nicolas Maduro. E non è solo l’Aja ad aver processato capi di Stato e di governo: nel 2001, l’ex presidente Slobodan Milosevic fu accusato di crimini di guerra, genocidio e crimini contro l’umanità dal Tribunale penale internazionale per l’ex Jugoslavia. Arrestato, morì d’infarto in cella all’Aja nel 2006, prima che il processo potesse concludersi.

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Mandato di arresto della Corte Penale Internazionale contro Netanyahu e Gallant: accuse e reazioni

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La Corte Penale Internazionale (CPI) ha emesso un mandato di arresto internazionale nei confronti del premier israeliano Benjamin Netanyahu e dell’ex ministro della Difesa Yoav Gallant. La decisione riguarda le accuse legate alle azioni militari israeliane durante la guerra a Gaza e ha suscitato reazioni contrastanti a livello internazionale.

Le accuse della Corte Penale Internazionale

Secondo la Camera preliminare I della CPI, esistono fondati motivi per ritenere che azioni come il blocco dell’accesso a cibo, acqua, elettricità e forniture mediche abbiano creato condizioni di vita tali da causare la morte di civili nella Striscia di Gaza, inclusi bambini.

La corte ha precisato che, pur non potendo confermare tutti gli elementi necessari per configurare il crimine di sterminio come crimine contro l’umanità, ha riscontrato prove sufficienti per l’accusa di omicidio come crimine contro l’umanità.

La reazione di Israele

La decisione della CPI è stata duramente criticata dal presidente israeliano Isaac Herzog, che l’ha definita un “giorno buio per la giustizia e l’umanità”. Secondo Herzog, la decisione è “presa in malafede” e rappresenta una distorsione della giustizia internazionale.

Il presidente ha anche evidenziato che:

  • La corte “ignora la difficile situazione degli ostaggi israeliani” detenuti da Hamas.
  • Non considera l’uso di civili come scudi umani da parte di Hamas.
  • Trascura il diritto di Israele a difendersi dopo l’attacco subito.

Herzog ha inoltre accusato la CPI di schierarsi con il terrore anziché con la democrazia e la libertà, sottolineando il rischio di destabilizzazione regionale causato dall’”impero iraniano del male”.

Le implicazioni della decisione

La decisione della CPI ha messo in discussione il delicato equilibrio tra il diritto internazionale e la sovranità nazionale. Da un lato, le accuse sottolineano presunte violazioni del diritto umanitario internazionale; dall’altro, il governo israeliano sostiene che la corte stia ignorando le circostanze che hanno portato al conflitto, come gli attacchi subiti e la necessità di difesa.

Questo mandato di arresto solleva interrogativi su come le istituzioni internazionali possano bilanciare il perseguimento della giustizia con il riconoscimento delle complessità dei conflitti moderni.

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Spagna, imprenditore sotto inchiesta denuncia: diedi 350mila euro a ministro e consulente

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L’imprenditore Victor de Aldama (nella foto col premier, che non è sotto accusa in questa inchiesta), uno dei principali accusati della rete di corruzione e tangenti al centro dell’inchiesta nota come ‘caso Koldo’, ha tentato oggi di coinvolgere numerosi esponenti dell’esecutivo, mentre il Psoe ha annunciato azioni legali per diffamazione. In dichiarazioni spontanee oggi davanti al giudice dell’Audiencia Nacional titolare dell’indagine, de Aldama ha segnalato anche il premier Pedro Sanchez, che a suo dire lo avrebbe ringraziato personalmente per la gestione che stava realizzando a favore di imprese spagnole in Messico, della quale “lo tenevano informato”, secondo fonti giuridiche presenti all’interrogatorio citate da vari media, fra i quali El Pais e Tve.

Al punto che lo stesso presidente avrebbe chiesto di conoscerlo, per ringraziarlo, in un incontro che – a detta dell’imprenditore, presidente del club Zamora CF e in carcere preventivo per altra causa – avvenne nel febbraio 2019 nel quartiere madrileno di La Latina, durante un meeting socialista. Un incontro che sarebbe documentato nella fotografia con Pedro Sanchez, pubblicata da El Mundo il 3 novembre scorso. Il presunto tangentista avrebbe sostenuto che Koldo Garcia, da cui deriva il nome del ‘caso Koldo’, divenne consulente dell’ex ministro dei Trasporti, José Luis Abalos, per decisione dello stesso Sanchez. Avrebbe sostenuto, inoltre, di aver consegnato tangenti per 250.000 euro ad Abalos e per 100.000 euro Koldo Garcia, arrivando a dire “io non sono la banca di Spagna, state esagerando”, secondo le fonti citate.

La rete di corruzione si sarebbe avvalsa dell’ex segretario di organizzazione del Psoe, Santos Cerdàn, al quale Aldama sostiene di aver consegnato una busta con 15.000 euro. Il tangentista avrebbe affermato anche si essersi riunito in varie occasioni con la ministra Teresa Ribera, per un presunto progetto di trasformazione di zone della Spagna disabitata in parchi tematici, secondo fonti giuridiche citate da radio Cadena ser. Un progetto al quale avrebbe partecipato anche Javier Hidalgo, Ceo di Globalia e al quale fu presente, in almeno una riunione, Begona Gomez, moglie di Pedro Sanchez. Fonti governative, riportate da Cadena Ser, definiscono un cumulo di menzogne le dichiarazioni di Aldana, che “non ha alcuna credibilità” ed è in carcere preventivo, per cui punterebbe a ottenere un trattamento favorevole in una prevedibile condanna.

“Il presidente del governo non ha né ha avuto alcuna relazione” con Aldama, segnalano le fonti. “Tutto quello che dice è totalmente falso”, ha dichiarato da parte sua ai cronisti Santos Cerdàn, “Questo signore non ha alcuna credibilità, sta tentando di salvarsi dal carcere. Non ha alcuna relazione con il presidente del governo, io non ho ricevuto mai denaro da lui e non lo conosco”, ha aggiunto l’esponente socialista, annunciando azioni .giudiziarie. Lo stesso ha fatto il portavoce parlamentare del Psoe, Patxi Lopez, che ha confermato “azioni legali” del partito della rosa nel pugno “perché la giustizia chiarisca tutte queste menzogne”.

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