Un’altra settimana sulle montagne russe e senza nessuna certezza di cavarsela. Theresa May torna in scena con il suo accordo sulla Brexit di fronte ai Comuni per il secondo tentativo di ratifica, in calendario martedi’ 12 dopo la bocciatura senza precedenti (230 voti sotto) di gennaio. E le previsioni, al di la’ d’un recupero parziale di consensi, restano al momento tutte contro di lei: sullo sfondo di voci che ricominciano, anzi, a metterne in discussione la poltrona. La sfida su quelle rassicurazioni “legalmente vincolanti” sul contestatissimo backstop, la clausola di salvaguardia del confine aperto irlandese, che la premier Tory britannica invocava per cercare di rimettere insieme la sua maggioranza, si e’ chiusa per ora con una beffa. Almeno nell’interpretazione d’oltremanica dell’offerta riesumata sul tavolo venerdi’ dal capo negoziatore europeo Michel Barnier di una via d’uscita valida per la sola Gran Bretagna e non per l’Irlanda del Nord, secondo uno schema gia’ respinto in passato da Downing Street e che fa gridare allo scandalo in primis gli unionisti di Belfast. Quindi, se non spunta nulla di nuovo nelle prossime 24 ore, il voto cruciale di martedi’ si profila su un contenuto sostanzialmente inalterato. Con esiti difficilmente destinati a essere ribaltati del tutto, salvo incantesimi.
Jean Claude Juncker e May. Ancora non c’è accordo a Westiminster per Brexit
Anche a dispetto dei timori di quel salto nel buio legato a una secondo ‘no’ che questa volta arriverebbe ad appena un paio di settimane dalla data limite del 29 marzo: fissata al momento sulla carta per l’uscita formale del Regno dall’Ue, con o senza accordo. Le speranze della premier sono affidate ai segnali di disponibilita’ che una parte dei dissidenti Tory di vario orientamento hanno lasciato trapelare nelle scorse settimane. E a qualche eventuale aiuto dalla sponda dei laburisti eletti in collegi elettorali pro-Leave, la cui dimensione rimane peraltro tutta da quantificare. Ma e’ ben arduo che possano bastare, tenuto conto dell’atteggiamento dell’ala piu’ oltranzista dei brexiteer della maggioranza, tornata in queste ore in trincea e indisponibile (con l’eccezione forse di Boris Johnson e qualche altro) ad accettare persino il baratto evocato dai media fra un placet al compromesso May e l’ipotetico impegno dell’inquilina di Downing Street di piegarsi a indicare un termine esatto per le proprie dimissioni. Come conferma la lettera aperta affidata alle colonne dell’euroscettico Sunday Telegraph dall’ex viceministro Steve Baker, super falco del gruppo Conservatore, e Nigel Dodds, capogruppo degli alleati della destra unionista nordirlandese del Dup, che ribadiscono senza la minima concessione tutti i loro paletti a nome di almeno una quarantina di deputati. Il duo conferma il rifiuto dell’accordo May, a meno di svolte concrete sul backstop da parte dei 27; mentre denuncia l’opzione di un rinvio della Brexit come “una calamita’ politica” e un tradimento “della fiducia” dell’elettorato, insistendo semmai sulla strada del divorzio senz’accordo (no deal). Una strada – paventata da molti come disastrosa, nel mondo del business e non solo – che tuttavia Westminster ha ancora i mezzi (e i numeri) per sbarrare. Il percorso imposto alla stessa premier dalla Camera prevede infatti nell’eventualita’ di nuova bocciatura la messa ai voti mercoledi’ di un emendamento ‘si’ o no’ sul temutissimo ‘no deal’. E, in caso di un altro no, che l’aula possa poi dar mandato giovedi’ 14 al governo di chiedere all’Ue “un breve” slittamento oltre il 29 marzo: come auspica il Labour, rimettendo per ora nel cassetto la recente apertura alla problematica opzione di un referendum bis per provare a rispolverare invece – una volta sbarrato il passo alla linea May – il piano B di Jeremy Corbyn verso una Brexit piu’ soft.
Quattro militari italiani impegnati nella missione di pace UNIFIL in Libano sono rimasti feriti a seguito di un attacco alla base situata nel sud del Paese. Fonti governative assicurano che i soldati, che si trovavano all’interno di uno dei bunker della base italiana a Shama, non sono in pericolo di vita. Le autorità italiane e internazionali hanno espresso forte indignazione per l’accaduto, mentre proseguono le indagini per ricostruire la dinamica dell’attacco.
UNIFIL UNITED NATIONS INTERIM FORCE IN LIBANO. SOLDATI DELLE NAZIONI UNITE (FOTO IMAGOECONOMICA)
La dinamica dell’attacco
Secondo le prime ricostruzioni, due razzi sarebbero stati lanciati dal gruppo Hezbollah durante un’escalation di tensioni con Israele. Al momento dell’attacco, la base italiana aveva attivato il livello di allerta 3, che impone ai militari l’utilizzo di elmetti e giubbotti antiproiettile. La decisione si era resa necessaria a causa della pericolosità crescente nell’area, teatro di scontri tra Israele e Hezbollah.
Un team di UNIFIL è stato inviato a Shama per verificare i dettagli dell’accaduto, mentre il governo italiano monitora attentamente la situazione.
UNIFIL UNITED NATIONS INTERIM FORCE IN LEBANON. FOTO IMAGOECONOMICA ANCHE IN EVIDENZA
Le dichiarazioni del ministro Crosetto
Il ministro della Difesa Guido Crosetto ha commentato con durezza l’attacco, definendolo “intollerabile”:
“Cercherò di parlare con il nuovo ministro della Difesa israeliano per chiedergli di evitare l’utilizzo delle basi UNIFIL come scudo. Ancor più intollerabile è la presenza di terroristi nel Sud del Libano che mettono a repentaglio la sicurezza dei caschi blu e della popolazione civile”.
Crosetto ha inoltre sottolineato la necessità di proteggere i militari italiani, impegnati in una missione delicata per garantire la stabilità nella regione.
La solidarietà del Presidente Meloni
Anche la Presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha espresso solidarietà ai militari feriti e alle loro famiglie, dichiarando:
“Apprendo con profonda indignazione e preoccupazione la notizia dei nuovi attacchi subiti dal quartier generale italiano di UNIFIL. Desidero esprimere la solidarietà e la vicinanza mia e del Governo ai feriti, alle loro famiglie e sincera gratitudine per l’attività svolta quotidianamente da tutto il contingente italiano in Libano. Ribadisco che tali attacchi sono inaccettabili e rinnovo il mio appello affinché le parti sul terreno garantiscano, in ogni momento, la sicurezza dei soldati di UNIFIL”.
Unifil: una missione per la pace
La missione UNIFIL, operativa dal 1978, ha il compito di monitorare il cessate il fuoco tra Israele e il Libano, supportare le forze armate libanesi e garantire la sicurezza nella regione. L’attacco alla base italiana evidenzia la crescente instabilità nell’area e i rischi a cui sono esposti i caschi blu impegnati nella missione di pace.
La trumpiana di ferro Marjorie Taylor Greene collaborerà con Elon Musk e Vivek Ramaswamy come presidente di una commissione della Camera incaricata di lavorare con il Dipartimento dell’efficienza. “Sono contenta di presiedere questa nuova commissione che lavorerà mano nella mano con il presidente Trump, Musk, Ramaswamy e l’intera squadra del Doge”, acronimo del Department of Government Efficiency, ha detto Greene, spiegando che la commissione si occuperà dei licenziamenti dei “burocrati” del governo e sarà trasparente con le sue audizioni. “Nessun tema sarà fuori dalla discussione”, ha messo in evidenza Greene.
Donald Trump nomina la fedelissima Pam Bondi a ministra della Giustizia. L’ex procuratrice della Florida ha collaborato con il presidente eletto durante il suo primo impeachment. “Come prima procuratrice della Florida si è battuta per fermare il traffico di droga e ridurre il numero delle vittime causate dalle overdosi di fentanyl. Ha fatto un lavoro incredibile”, afferma Trump sul suo social Truth annunciando la nomina, avvenuta dopo il ritito di Matt Gaetz travolto da scandali a sfondo sessuale. “Per troppo tempo il Dipartimento di Giustizia è stato usato contro di me e altri repubblicani. Ma non più. Pam lo riporterà al suo principio di combattere il crimine e rendere l’America sicura.
E’ intelligente e tosta, è una combattente per l’America First e farà un lavoro fantastico”, ha aggiunto il presidente-eletto. Bondi è stata procuratrice della Florida fra il 2011 e il 2019, quando era governatore Rick Scott. Al momento presiede il Center for Litigation all’America First Policy Institute, un think tank di destra che sta lavorando con il transition team di Trump sull’agenda amministrativa. Come procuratrice della Florida si è attirata l’attenzione nazionale per i suoi tentativi di capovolgere l’Obamacare, ma anche per la decisione di condurre un programma su Fox mentre era ancora in carica e quella di chiedere al governatore Scott di posticipare un’esecuzione per un conflitto con un evento di raccolta fondi.
La nomina di Bondi arriva a sei ore di distanza dal ritiro di Gaetz dalla corsa a ministro della Giustizia dopo le nuove rivelazioni sullo scandalo sessuale che lo ha travolto. Prima dell’annuncio, l’ex deputato della Florida era stato contattato da Trump che gli aveva riferito che la sua candidatura non aveva i voti necessari per essere confermata in Seanto. Almeno quattro senatori repubblicani, infatti, si era espressi contro e si erano mostrati irremovibili a cambiare posizione. Il nome di Bondi, riporta Cnn, era già nell’iniziale lista dei papabili ministro alla giustizia stilata prima di scegliere Gaetz. Quando l’ex deputato ha annunciato il suo passo indietro, il nome di Bondi è iniziato a circolare con insistenza fino all’annuncio.