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Se Conte mollasse Bonafede avrebbe qualche senatore in più ma servirebbe solo a vivacchiare

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Una volta i senatori più che cercarli si eleggevano. La bomba giudiziaria di Catanzaro, con la conseguente polemica sull’Udc, oggi a Conte e alla maggioranza fa più paura il voto di mercoledì sulla relazione del Guardasigilli Alfonso Bonafede, dove i numeri potrebbero mancare. Si sa, Bonafede è un ministro non esattamente eccezionale e già con la penosa vicenda del Dap e delle rivolte nelle carceri, non è andato a casa con la mozione di sfiducia individuale solo perchè Renzi un anno fa circa ancora non aveva deciso di rompere col Governo.
Oggi senza Iv e con il difficile percorso di rafforzamento della maggioranza sono in molti, non solo Mattarella, a chiedere a Giuseppe Conte di fare in fretta prima che tutto precipiti.
L’ inchiesta, con il coinvolgimento del segretario udc Lorenzo Cesa, indagato, è un colpo simbolico forte. Per questo sono usciti allo scoperto prima Alessandro Di Battista, poi Luigi Di Maio.
Perché i 5 Stelle non possono accettare accostamenti del genere. Ma le trattative sull’uso del simbolo per la maggioranza non sono mai state realistiche. E, al contrario, la deriva del partito di Cesa potrebbe convincere alcuni (a cominciare da Paola Binetti) a mollare il gruppo. Si apre anche un vuoto al centro, che il nuovo gruppo contiano centrista potrebbe riempire.
Ma come? I numeri sono sempre quelli. Si aspettano una decina di deputati e tre senatori da Forza Italia. E si confida in una spaccatura di Italia viva. Alcuni sono pronti ad andarsene, ma Matteo Renzi li trattiene con una promessa: “Vedrete che entro una settimana non potranno fare a meno di noi e torneremo in maggioranza”. Voci danno Luigi Marattin in partenza per il Pd: “Non è vero – smentisce -. O il governo trova un’ altra maggioranza o torniamo noi. Conte che non parla con Renzi è da asilo nido”. Detto questo, annuncia, “non voteremo la relazione di Bonafede”.
Non è l’ unico orientato in questo senso. Molti sono i mal di pancia nel Pd, per esempio sulla prescrizione, ma anche nel Movimento, che ricorda il caso della scarcerazione dei mafiosi. Alcuni potenziali costruttori, come il forzista Luigi Vitali, si spingono oltre: “Non tornerò mai in un governo con Bonafede”. Come dire che “potrei tornare se non ci fosse lui”. Per questo si guarda alle mosse di Conte. Potrebbe agire entro mercoledì. Tornando al Quirinale, lanciando il Conte ter con un nuovo governo. E imbarcando la pattuglia dei costruttori.
In quale gruppo? Centro democratico sta crescendo alla Camera, ma a Palazzo Madama non ha senatori. C’è Emma Bonino, ma è su posizioni opposte. Quindi non si può usare da solo il nome Centro democratico: al limite si potrebbe aggiungere a un altro simbolo. Quale? Il Psi di Riccardo Nencini? Il Maie? Cambiamo di Toti?
A ora i numeri preoccupano. All’ultima fiducia al Senato erano 156, ai quali bisogna aggiungere un senatore M5S assente per Covid. Si conta di recuperarne 4-5 dall’ Iv, 3 da Forza Italia, 2 dall’ Udc. E siamo a 167. Togli tre senatori a vita si arriva a 164. Abbastanza per vivacchiare, non abbastanza per governare sereni.

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Bocchino: dall’Italia verso un’internazionale conservatrice

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La vittoria elettorale della destra “avviene perché la sinistra prima è stata considerata inaffidabile per paura del comunismo, oggi è considerata inaffidabile perché si prende a cuore temi come l’immigrazione irregolare, che gli italiani non vogliono, o i diritti delle comunità LGBTQI+, che certo devono essere garantiti ma che riguardano comunque una minoranza dell’1,6% della popolazione, e perchè ha abbracciato la globalizzazione selvaggia, che è una cosa che fa paura agli italiani”.

Lo ha detto Italo Bocchino (foto imagoeconomica in evidenza) a margine della presentazione del suo libro “Perchè l’Italia è di destra” a Napoli, a cui hanno assistito anche il capo della procura partenopea Nicola Gratteri e l’ex ministro della cultura Gennaro Sangiuliano, mentre sul palco sono intervenuti il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi e il viceministro degli Esteri Edmondo Cirielli.

“Giorgia Meloni – ha proseguito Bocchino – ha fatto da apripista in Italia, dando vita a una destra che ha stupito, perché tutti si aspettavano una destra neofascista mentre si sono trovati una destra che rappresenta un conservatorismo nazionalpopolare.

E così si resta stupiti anche dal risultato degli Stati Uniti, che un po’ ricalca quel modello, e di quello che accade in alcuni paesi europei e in Sudamerica. Quindi c’è l’ipotesi che nasca nel prossimo decennio un’internazionale conservatrice e che abbia un grandissimo peso nella politica mondiale: in questo contesto, tra i leader sicuramente ci sarà Giorgia Meloni. Immaginiamo il prossimo G7, guardate la foto del prossimo G7: ci sono Scholz e Macron zoppicanti, lo spagnolo che ha problemi in casa, il giapponese che ha problemi in casa, il canadese che ha problemi in casa e due in splendida salute che sono Giorgia Meloni e Trump. Questo è il mondo oggi”.

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La versione di Conte: o il M5s resta progressista o avrà un altro leader

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“Da oggi a domenica i nostri iscritti potranno votare online e decidere quel che saremo. Abbiamo un obiettivo ambizioso, che culminerà con l’assemblea costituente di sabato e domenica: rigenerarci, scuoterci, dare nuove idee al Movimento. Nessuno lo ha fatto con coraggio e umiltà, come stiamo facendo noi”. Così a Repubblica il leader del M5s Giuseppe Conte (foto Imagoeconomica in evidenza).

“Se dalla costituente dovesse emergere una traiettoria politica opposta a quella portata avanti finora dalla mia leadership – aggiunge – mi farei da parte. Si chiama coerenza. Se questa scelta di campo progressista venisse messa in discussione, il Movimento dovrà trovarsi un altro leader”.

Sull’alleanza col Pd “la mia linea è stata molto chiara. Non ho mai parlato di alleanza organica o strutturata col Pd. Nessun iscritto al M5S aspira a lasciarsi fagocitare, ma la denuncia di questo rischio non può costituire di per sé un programma politico”. “Gli iscritti sono chiamati a decidere e hanno la possibilità di cambiare tante cose. Anche i quesiti sul garante (Grillo, ndr) sono stati decisi dalla base. Io non ho mai inteso alimentare questo scontro. Sono sinceramente dispiaciuto che in questi mesi abbia attaccato il Movimento. Se dovesse venire, potrà partecipare liberamente all’assemblea. Forse la sensazione di isolamento l’avverte chi pontifica dal divano vagheggiando un illusorio ritorno alle origini mentre ha rinunciato da tempo a votare e portare avanti il progetto del Movimento. L’ultimo giapponese rischia di essere lui, ponendosi in contrasto con la comunità”.

Sui risultati elettorali “in un contesto di forte astensionismo, sicuramente è il voto di opinione sui territori, non collegato a strutture di potere e logiche clientelari, ad essere maggiormente penalizzato. Dobbiamo tornare ad ascoltare i bisogni delle comunità locali. E poi c’è la formazione delle liste: dobbiamo sperimentare nuove modalità di reclutamento, senza cadere nelle logiche clientelari che aborriamo”.

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Alessandro Piana: “Perdono, ma non dimentico” – La fine di un incubo giudiziario

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Alessandro Piana (nella foto in evidenza), esponente della Lega e vicepresidente della Regione Liguria, tira un sospiro di sollievo dopo la conclusione di un’inchiesta giudiziaria che per oltre un anno lo ha visto al centro di pesanti sospetti. Accusato ingiustamente di coinvolgimento in un presunto giro di squillo e party con stupefacenti, Piana è stato ufficialmente escluso dall’elenco dei rinviati a giudizio, mettendo fine a un incubo personale e politico.


Un’accusa infondata che ha segnato una campagna elettorale

Alessandro Piana racconta di aver vissuto un periodo estremamente difficile, aggravato dalla tempistica dell’inchiesta, che ha coinciso con la campagna elettorale.

«L’indagine era chiusa da tempo, ma si è voluto attendere per renderne noto l’esito. Mi sarei aspettato maggiore attenzione, considerato il mio ruolo pubblico. Per mesi sono stato bersaglio di accuse infondate, che sui social si sono trasformate in attacchi personali».

Nonostante il clamore mediatico, Piana ha affrontato con determinazione la situazione, ricevendo il sostegno del partito e del leader regionale della Lega, Edoardo Rixi.


Le accuse e il chiarimento

Piana spiega di essere venuto a conoscenza del suo presunto coinvolgimento attraverso i media, vivendo quello che definisce un “incubo”:

«Ero al lavoro quando ho saputo del mio presunto coinvolgimento. Credevo fosse uno scherzo, invece era terribilmente vero».

L’esponente leghista si è immediatamente messo a disposizione della magistratura, fornendo tutte le prove necessarie per dimostrare la sua estraneità ai fatti:

«Non ero presente dove si sosteneva che fossi. Ero a casa mia, a 150 chilometri di distanza, con testimoni pronti a confermarlo. Non ho mai frequentato certi ambienti, nemmeno da giovane».

Secondo Piana, il suo nome sarebbe stato tirato in ballo per millanteria durante un’intercettazione telefonica che citava genericamente un “vicepresidente della Regione”.


Una vicenda che lascia il segno

Nonostante la sua assoluzione dai sospetti, Piana non nasconde l’amarezza per i danni subiti:

«Ho pagato un prezzo molto salato, gratuito e ingiusto. Per mesi sono stato additato come vizioso. Perdono chi ha sbagliato, ma non dimentico».

Il vicepresidente auspica che casi simili siano gestiti con maggiore rapidità in futuro, per evitare che accuse infondate possano danneggiare ingiustamente la reputazione di figure pubbliche.


Conclusione

La vicenda di Alessandro Piana solleva interrogativi sul delicato equilibrio tra diritto di cronaca e tutela dell’immagine pubblica, in particolare quando si tratta di accuse che si rivelano infondate. Oggi, il vicepresidente della Regione Liguria guarda avanti con serenità, forte del sostegno ricevuto e con la determinazione di proseguire il suo impegno politico senza lasciarsi scoraggiare dagli eventi passati.

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