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Scudetto Napoli: dal crollo dopo Maradona al titolo

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Nei suoi 19 anni alla guida del Napoli tante gioie e pochi dolori. Il terzo scudetto della storia della Società, nata nel 1926, è targato Aurelio De Laurentiis (in occasione della conquista dei primi due, al vertice c’era Corrado Ferlaino), un presidente che fa sempre parlare di sè per le cose buone che riesce a concretizzare e per il suo spirito critico, in più di un’occasione sfociato in accese polemiche anche con chi governa il calcio in Italia e in Europa.

Ma il dato che conta è un altro. Da quando ha rilevato il Calcio Napoli dal fallimento – la firma con il curatore fallimentare è del 6 settembre 2004 con una cifra sborsata dal produttore cinematografixo di 32 milioni di euro – la Società non ha mai mostrato problemi economico-finanziari, è sempre rimasta nei limiti imposti dal fair play dell’Uefa e si è tolta anche belle soddisfazioni, con la conquista di due Coppa Italia e una Supercoppa e con la partecipazione a una semifinale di Europa League e a un quarto di finale di Champions. In questi 19 anni hanno indossato la maglia azzurra fior di campioni per i quali la militanza nel Napoli è servita da trampolino di lancio verso una ancor più luminosa e molto ben retribuita carriera. Molti sono rimasti nel cuore dei tifosi, altri sono andati via in maniera più burrascosa (Higuain su tutti) pur avendo contribuito a fare grande la squadra e a lanciarla verso traguardi importanti. La fine della carriera di Maradona segna un punto di svolta negativo nella storia del club, dopo i trionfi in campionato (scudetti conquistati nel 1987 e nel 1990) e in Coppa Uefa (nel 1989).

Il contraccolpo dell’addio del Pibe del Oro è drammatico. Corrado Ferlaino non riesce più a sostenere il peso economico della società e cominciano le cessioni eccellenti, la rosa subisce un forte ridimensionamento, la squadra retrocede in serie B nel 1998, torna in A nel 2000 e dopo un anno sprofonda nuovamente in seconda divisione. Ferlaino intanto ha ceduto il passo a Giorgio Corbelli e Salvatore Naldi. Alla fine del campionato del 2004, con la squadra che ristagna a metà classifica in serie B, la situazione finanziaria è sempre più compromessa e in estate arriva il fallimento. A settembre, con la squadra iscritta al campionato di serie C1, entra in scena Aurelio De Laurentiis. In 19 anni il presidente ingaggia complessivamente nove allenatori (Ventura, Reja, Donadoni, Mazzarri, Benitez, Sarri, Ancelotti, Gattuso e Spalletti), effettua grandi colpi di mercato (Hamsik, Lavezzi, Quagliarella, Cavani, Inler, Callejon, Insigne, Mertens, Allan, Higuain, Koulibaly, Milik, Osimhen, Kvaratskhelia) e ottiene la sistematica presenza in Europa della sua squadra per 13 anni consecutivi, con sette partecipazioni alla Champions League e sei all’Europa League. Quel che mancava al Napoli dell’era De Laurentiis era soltanto lo scudetto, il trofeo più ambito dai tifosi che da 33 anni non riescono più a festeggiare la conquista del tricolore.

La scorsa estate De Laurentiis, che l’anno precedente si è affidato a Luciano Spalletti, decide per una rivoluzione che si accompagna a un sostanzioso taglio degli monte stipendi. Partono Insigne, Mertens, Koulibaly, Ospina e Ruiz. A Osimhen che è già in squadra, viene affiancata la giovane promessa Kvaraskhelia che in poche settimane diventa tra i prospetti più interessanti del calcio mondiale. Chi pensava a un ridimensionamento tecnico della rosa si deve ben presto ricredere. Il nuovo Napoli, assemblato alla perfezione da Spalletti, è una macchina perfetta, pigia sull’acceleratore e in poche settimane fa il vuoto dietro di sè, imponendo distacchi clamorosi alle avversarie. Anche in Champions gli azzurri danno spettacolo, mortificando avversari prestigiosi come il Liverpool e l’Ajax e cedendo solo al Milan nei quarti di finale, raggiunti per la prima volta nella storia della società. Ma quel che conta è ormai solo la conquista dello scudetto e dopo la vittoria a Torino con la Juventus tutto e pronto per la grande festa. Con la Salernitana la festa era pronta, l’ha rinviata un gol di Dia. Prima della notte di Udine che fa esplodere la festa di Napoli.

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Giustizia, stretta sulle toghe politicizzate e sui reati informatici: il decreto del governo in arrivo

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La riforma della giustizia torna al centro del dibattito con il nuovo decreto che il governo si appresta a varare lunedì prossimo in Consiglio dei Ministri. Tra le novità principali, spiccano due misure destinate a far discutere: l’introduzione di sanzioni per i magistrati che non rispettano il dovere di astensione in casi di conflitto di interesse e una stretta sui reati informatici e sul dossieraggio illegale.

Sanzioni per le toghe politicizzate

Il decreto introduce una nuova norma che obbliga i magistrati a astenersi dal giudicare su questioni rispetto alle quali si sono già espressi pubblicamente attraverso editoriali, convegni o social network. In caso di violazione, il Consiglio Superiore della Magistratura potrà adottare sanzioni che vanno dall’ammonimento alla censura, fino alla sospensione.

Secondo il ministro della Giustizia Carlo Nordio, questa norma intende tutelare il principio di imparzialità della magistratura, un obiettivo che la maggioranza considera fondamentale per garantire l’equilibrio tra i poteri dello Stato.

La misura ha già suscitato polemiche tra le toghe e riacceso il dibattito sulla presunta politicizzazione della magistratura. L’Associazione Nazionale Magistrati (ANM) ha espresso preoccupazione per quella che definisce un’“invasione di campo” da parte del governo.

La questione delle migrazioni e il caso Silvia Albano

La norma sulle toghe politicizzate sembra trarre origine da recenti tensioni tra il governo e alcune sezioni della magistratura, in particolare sui temi legati all’immigrazione. Emblematico il caso della giudice Silvia Albano, che aveva criticato l’accordo tra Italia e Albania sui migranti, trovandosi poi a giudicare direttamente su questa materia.

Albano, presidente di Magistratura Democratica, è stata bersaglio di critiche da parte della maggioranza per la sua posizione pubblica contro il “decreto Paesi sicuri”. La sua decisione di non convalidare il trattenimento di 12 migranti nel centro italiano in Albania ha sollevato ulteriori tensioni.

Stretta sui reati informatici e dossieraggi

Il decreto affronta anche il problema dei reati informatici, introducendo nuove misure per contrastare l’accesso abusivo ai database pubblici. Tra le novità principali:

  • Arresto in flagranza per chi viola sistemi informatici di interesse pubblico, militare o legati alla sicurezza nazionale.
  • Trasferimento delle indagini sui reati di estorsione tramite mezzi informatici alla procura Antimafia, guidata da Giovanni Melillo.

Queste misure arrivano in risposta a recenti scandali legati al dossieraggio illegale, come l’indagine della DDA di Milano sulla “centrale degli spioni” che trafugava dati sensibili da banche dati governative, coinvolgendo figure politiche di primo piano come la premier Giorgia Meloni.

Un antipasto per la riforma delle carriere

Questo decreto rappresenta solo l’inizio di un più ampio progetto di riforma delle carriere di giudici e pm che il governo sta portando avanti in Parlamento. La maggioranza intende ridefinire i rapporti tra i poteri dello Stato, nonostante le inevitabili polemiche con la magistratura.

Secondo il ministro Nordio, l’obiettivo è garantire un sistema giudiziario più equo e trasparente, ma l’ANM e altre voci critiche temono che queste misure possano indebolire l’autonomia delle toghe.

Un Natale caldissimo per la giustizia italiana

Le nuove norme, che toccano temi delicati come la gestione dell’immigrazione, i reati informatici e l’imparzialità dei magistrati, promettono di accendere il dibattito politico e giudiziario. Il governo va avanti, ma il confronto con le toghe e le associazioni di categoria si preannuncia acceso.

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Bocchino: dall’Italia verso un’internazionale conservatrice

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La vittoria elettorale della destra “avviene perché la sinistra prima è stata considerata inaffidabile per paura del comunismo, oggi è considerata inaffidabile perché si prende a cuore temi come l’immigrazione irregolare, che gli italiani non vogliono, o i diritti delle comunità LGBTQI+, che certo devono essere garantiti ma che riguardano comunque una minoranza dell’1,6% della popolazione, e perchè ha abbracciato la globalizzazione selvaggia, che è una cosa che fa paura agli italiani”.

Lo ha detto Italo Bocchino (foto imagoeconomica in evidenza) a margine della presentazione del suo libro “Perchè l’Italia è di destra” a Napoli, a cui hanno assistito anche il capo della procura partenopea Nicola Gratteri e l’ex ministro della cultura Gennaro Sangiuliano, mentre sul palco sono intervenuti il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi e il viceministro degli Esteri Edmondo Cirielli.

“Giorgia Meloni – ha proseguito Bocchino – ha fatto da apripista in Italia, dando vita a una destra che ha stupito, perché tutti si aspettavano una destra neofascista mentre si sono trovati una destra che rappresenta un conservatorismo nazionalpopolare.

E così si resta stupiti anche dal risultato degli Stati Uniti, che un po’ ricalca quel modello, e di quello che accade in alcuni paesi europei e in Sudamerica. Quindi c’è l’ipotesi che nasca nel prossimo decennio un’internazionale conservatrice e che abbia un grandissimo peso nella politica mondiale: in questo contesto, tra i leader sicuramente ci sarà Giorgia Meloni. Immaginiamo il prossimo G7, guardate la foto del prossimo G7: ci sono Scholz e Macron zoppicanti, lo spagnolo che ha problemi in casa, il giapponese che ha problemi in casa, il canadese che ha problemi in casa e due in splendida salute che sono Giorgia Meloni e Trump. Questo è il mondo oggi”.

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Da Putin a Gheddafi, i leader nel mirino dell’Aja

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Con il mandato d’arresto spiccato contro il premier israeliano Benyamin Netanyahu, insieme all’ex ministro della Difesa Yoav Gallant, si allunga la lista dei capi di Stato e di governo perseguiti dalla Corte penale internazionale con le accuse di crimini di guerra e crimini contro l’umanità. Da Muammar Gheddafi a Omar al Bashir, e più recentemente Vladimir Putin. Ultimo in ordine di tempo era stato appunto il presidente russo, accusato nel marzo del 2023 di “deportazione illegale” di bambini dalle zone occupate dell’Ucraina alla Russia, insieme a Maria Alekseyevna Lvova-Belova, commissaria per i diritti dei bambini del Cremlino.

Sempre a causa dell’invasione dell’Ucraina nel mirino della Corte sono finiti in otto alti gradi russi, tra cui l’ex ministro della Difesa Sergei Shoigu e l’attuale capo di stato maggiore Valery Gerasimov: considerati entrambi possibili responsabili dei ripetuti attacchi alle infrastrutture energetiche ucraine. Prima di Putin, nel 2011 l’Aja accusò di crimini contro l’umanità Muammar Gheddafi, ma il caso decadde con la morte del rais libico nel novembre dello stesso anno.

Un simile provvedimento fu emesso per il figlio Seif al Islam e per il capo dei servizi segreti Abdellah Senussi. Tra gli altri leader di spicco perseguiti, l’ex presidente sudanese Omar al Bashir: nel 2008 il procuratore capo della Corte Luis Moreno Ocampo lo accusò di essere responsabile di genocidio e crimini contro l’umanità e della guerra in Darfur cominciata nel 2003. Anche Laurent Gbagbo, ex presidente della Costa d’Avorio, è finito all’Aja, ma dopo un processo per crimini contro l’umanità è stato assolto nel 2021 in appello.

Nel 2016 la Corte penale internazionale ha condannato l’ex vicepresidente del Congo, Jean-Pierre Bemba, per assassinio, stupro e saccheggio in quanto comandante delle truppe che commisero atrocità continue e generalizzate nella Repubblica Centrafricana nel 2002 e 2003. Il signore della guerra ugandese Joseph Kony, che dovrebbe rispondere di ben 36 capi d’imputazione tra cui omicidio, stupro, utilizzo di bambini soldato, schiavitù sessuale e matrimoni forzati, è la figura ricercata dalla Cpi da più tempo: il suo mandato d’arresto venne spiccato nel 2005. Tra gli altri dossier aperti e su cui indaga l’Aja c’è l’inchiesta sui crimini contro la minoranza musulmana dei Rohingya in Birmania. Un’altra indagine è quella su presunti crimini contro l’umanità commessi dal governo del presidente venezuelano Nicolas Maduro. E non è solo l’Aja ad aver processato capi di Stato e di governo: nel 2001, l’ex presidente Slobodan Milosevic fu accusato di crimini di guerra, genocidio e crimini contro l’umanità dal Tribunale penale internazionale per l’ex Jugoslavia. Arrestato, morì d’infarto in cella all’Aja nel 2006, prima che il processo potesse concludersi.

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