Collegati con noi

In Evidenza

Scontro sulle nomine Rai, pressing Lega ma Meloni cauta

Pubblicato

del

Archiviato il voto regionale, che ha stabilizzato il quadro politico, nella maggioranza si comincia a discutere del capitolo nomine, a partire dalla Rai, senza dimenticare i circa 500 incarichi da assegnare ai vertici delle partecipate: un dossier che la premier Giorgia Meloni aprirà comunque non prima dell’inizio di marzo. Ma non è un mistero che l’ultima edizione del festival di Sanremo, segnata dalle polemiche politiche, abbia in qualche modo accelerato la voglia di alcuni settori del centrodestra di intervenire nel modo più muscolare possibile sulla prima industria culturale del Paese. Matteo Salvini, che ha criticato ogni giorno la kermesse sanremese, lancia la sua sfida chiedendo subito un rinnovamento dei vertici e puntando l’attenzione sulle spese di Viale Mazzini.

Dopo Sanremo, attacca il segretario leghista, ‘ci sarà da fare una riflessione sul canone, su quello che costa la Rai, su certi superstipendi e sugli agenti esterni’. Quindi aggiunge che ‘bisogna togliere il canone Rai dalla bolletta e lavorare per ridurlo, abbassarlo o, come in altri Paesi europei, per eliminarlo’. Insomma, a giudizio del vicepresidente del Consiglio, ‘va ripensato profondamente il ruolo del servizio pubblico’. Ad aver irritato particolarmente il leader della Lega sarebbe stato il compenso, a suo giudizio eccessivo, versato a Roberto Benigni per l’esibizione sulla Costituzione. Fonti parlamentari riferiscono che nel centrodestra sta emergendo l’intenzione di far cadere qualche testa, a partire da quella dell’Ad Carlo Fuortes, nominato nel 2021, il cui mandato scade nel 2024. C’è chi, ad esempio dentro Fratelli d’Italia, pensa che proprio l’esito delle ultime regionali sia lo specchio di un Paese che non si riconosce in quelli che vengono definiti ‘eccessi’ rappresentati sul palco dell’Ariston.

Questa la posizione dei partiti. Diversa sembra essere la valutazione della premier, che al momento sceglie di prendere tempo. Secondo quanto trapela in ambienti di governo, Meloni non avrebbe nessuna fretta di sostituire Fuortes. E in alcuni settori della maggioranza si sottolinea come sia stato significativo l’applauso che il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha tributato al monologo di Benigni a Sanremo. Ovviamente il Colle non si occupa di nomine, ma la presidente del Consiglio non intenderebbe creare tensioni con interventi che potrebbero essere giudicati troppo invadenti, con il rischio di pesanti strascichi di polemiche. La scelta strategica sarebbe di non toccare Fuortes, ma di applicare nei suoi confronti una sorta di moral suasion anche con l’obiettivo di ridisegnare in maniera soft gli equilibri interni. Una strada che, secondo alcuni esponenti di Fdi, potrebbe essere quella di affiancare l’Ad con Giampaolo Rossi, uomo di Fratelli d’Italia (già membro del Cda di Viale Mazzini) come direttore generale. Una strada che si starebbe valutando anche se giudicata tecnicamente molto difficile in un quadro organizzativo che prevede una testa sola al comando.

Ma al centro dell’attenzione ci sarebbe anche la casella del responsabile di Rai1, ora occupata da Stefano Coletta, nel mirino per l’organizzazione del Festival, e la poltrona del direttore del Tg1. Su questo secondo fronte, da tempo si fa il nome dell’attuale direttore dell’AdnKronos Gian Marco Chiocci, considerato molto vicino a Fdi. Ma sembra che Lega e soprattutto Forza Italia non vedrebbero di buon occhio questa nomina perchè di un esterno alla Rai. Infine, resta irrisolto il nodo della presidenza della commissione di Vigilanza. Sulla carta dovrebbe andare ai Cinque Stelle, ma il Movimento avrebbe indicato il nome di Riccardo Ricciardi che sarebbe giudicato troppo divisivo dalla maggioranza che avrebbe chiesto al suo posto Alessandra Todde. Ma contro questa soluzione sarebbero sorti due problemi: uno è che non è componente della commissione, l’altro che la diretta interessata avrebbe altre ambizioni.

Advertisement

In Evidenza

Bocchino: dall’Italia verso un’internazionale conservatrice

Pubblicato

del

La vittoria elettorale della destra “avviene perché la sinistra prima è stata considerata inaffidabile per paura del comunismo, oggi è considerata inaffidabile perché si prende a cuore temi come l’immigrazione irregolare, che gli italiani non vogliono, o i diritti delle comunità LGBTQI+, che certo devono essere garantiti ma che riguardano comunque una minoranza dell’1,6% della popolazione, e perchè ha abbracciato la globalizzazione selvaggia, che è una cosa che fa paura agli italiani”.

Lo ha detto Italo Bocchino (foto imagoeconomica in evidenza) a margine della presentazione del suo libro “Perchè l’Italia è di destra” a Napoli, a cui hanno assistito anche il capo della procura partenopea Nicola Gratteri e l’ex ministro della cultura Gennaro Sangiuliano, mentre sul palco sono intervenuti il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi e il viceministro degli Esteri Edmondo Cirielli.

“Giorgia Meloni – ha proseguito Bocchino – ha fatto da apripista in Italia, dando vita a una destra che ha stupito, perché tutti si aspettavano una destra neofascista mentre si sono trovati una destra che rappresenta un conservatorismo nazionalpopolare.

E così si resta stupiti anche dal risultato degli Stati Uniti, che un po’ ricalca quel modello, e di quello che accade in alcuni paesi europei e in Sudamerica. Quindi c’è l’ipotesi che nasca nel prossimo decennio un’internazionale conservatrice e che abbia un grandissimo peso nella politica mondiale: in questo contesto, tra i leader sicuramente ci sarà Giorgia Meloni. Immaginiamo il prossimo G7, guardate la foto del prossimo G7: ci sono Scholz e Macron zoppicanti, lo spagnolo che ha problemi in casa, il giapponese che ha problemi in casa, il canadese che ha problemi in casa e due in splendida salute che sono Giorgia Meloni e Trump. Questo è il mondo oggi”.

Continua a leggere

Esteri

Da Putin a Gheddafi, i leader nel mirino dell’Aja

Pubblicato

del

Con il mandato d’arresto spiccato contro il premier israeliano Benyamin Netanyahu, insieme all’ex ministro della Difesa Yoav Gallant, si allunga la lista dei capi di Stato e di governo perseguiti dalla Corte penale internazionale con le accuse di crimini di guerra e crimini contro l’umanità. Da Muammar Gheddafi a Omar al Bashir, e più recentemente Vladimir Putin. Ultimo in ordine di tempo era stato appunto il presidente russo, accusato nel marzo del 2023 di “deportazione illegale” di bambini dalle zone occupate dell’Ucraina alla Russia, insieme a Maria Alekseyevna Lvova-Belova, commissaria per i diritti dei bambini del Cremlino.

Sempre a causa dell’invasione dell’Ucraina nel mirino della Corte sono finiti in otto alti gradi russi, tra cui l’ex ministro della Difesa Sergei Shoigu e l’attuale capo di stato maggiore Valery Gerasimov: considerati entrambi possibili responsabili dei ripetuti attacchi alle infrastrutture energetiche ucraine. Prima di Putin, nel 2011 l’Aja accusò di crimini contro l’umanità Muammar Gheddafi, ma il caso decadde con la morte del rais libico nel novembre dello stesso anno.

Un simile provvedimento fu emesso per il figlio Seif al Islam e per il capo dei servizi segreti Abdellah Senussi. Tra gli altri leader di spicco perseguiti, l’ex presidente sudanese Omar al Bashir: nel 2008 il procuratore capo della Corte Luis Moreno Ocampo lo accusò di essere responsabile di genocidio e crimini contro l’umanità e della guerra in Darfur cominciata nel 2003. Anche Laurent Gbagbo, ex presidente della Costa d’Avorio, è finito all’Aja, ma dopo un processo per crimini contro l’umanità è stato assolto nel 2021 in appello.

Nel 2016 la Corte penale internazionale ha condannato l’ex vicepresidente del Congo, Jean-Pierre Bemba, per assassinio, stupro e saccheggio in quanto comandante delle truppe che commisero atrocità continue e generalizzate nella Repubblica Centrafricana nel 2002 e 2003. Il signore della guerra ugandese Joseph Kony, che dovrebbe rispondere di ben 36 capi d’imputazione tra cui omicidio, stupro, utilizzo di bambini soldato, schiavitù sessuale e matrimoni forzati, è la figura ricercata dalla Cpi da più tempo: il suo mandato d’arresto venne spiccato nel 2005. Tra gli altri dossier aperti e su cui indaga l’Aja c’è l’inchiesta sui crimini contro la minoranza musulmana dei Rohingya in Birmania. Un’altra indagine è quella su presunti crimini contro l’umanità commessi dal governo del presidente venezuelano Nicolas Maduro. E non è solo l’Aja ad aver processato capi di Stato e di governo: nel 2001, l’ex presidente Slobodan Milosevic fu accusato di crimini di guerra, genocidio e crimini contro l’umanità dal Tribunale penale internazionale per l’ex Jugoslavia. Arrestato, morì d’infarto in cella all’Aja nel 2006, prima che il processo potesse concludersi.

Continua a leggere

Esteri

Spagna, imprenditore sotto inchiesta denuncia: diedi 350mila euro a ministro e consulente

Pubblicato

del

L’imprenditore Victor de Aldama (nella foto col premier, che non è sotto accusa in questa inchiesta), uno dei principali accusati della rete di corruzione e tangenti al centro dell’inchiesta nota come ‘caso Koldo’, ha tentato oggi di coinvolgere numerosi esponenti dell’esecutivo, mentre il Psoe ha annunciato azioni legali per diffamazione. In dichiarazioni spontanee oggi davanti al giudice dell’Audiencia Nacional titolare dell’indagine, de Aldama ha segnalato anche il premier Pedro Sanchez, che a suo dire lo avrebbe ringraziato personalmente per la gestione che stava realizzando a favore di imprese spagnole in Messico, della quale “lo tenevano informato”, secondo fonti giuridiche presenti all’interrogatorio citate da vari media, fra i quali El Pais e Tve.

Al punto che lo stesso presidente avrebbe chiesto di conoscerlo, per ringraziarlo, in un incontro che – a detta dell’imprenditore, presidente del club Zamora CF e in carcere preventivo per altra causa – avvenne nel febbraio 2019 nel quartiere madrileno di La Latina, durante un meeting socialista. Un incontro che sarebbe documentato nella fotografia con Pedro Sanchez, pubblicata da El Mundo il 3 novembre scorso. Il presunto tangentista avrebbe sostenuto che Koldo Garcia, da cui deriva il nome del ‘caso Koldo’, divenne consulente dell’ex ministro dei Trasporti, José Luis Abalos, per decisione dello stesso Sanchez. Avrebbe sostenuto, inoltre, di aver consegnato tangenti per 250.000 euro ad Abalos e per 100.000 euro Koldo Garcia, arrivando a dire “io non sono la banca di Spagna, state esagerando”, secondo le fonti citate.

La rete di corruzione si sarebbe avvalsa dell’ex segretario di organizzazione del Psoe, Santos Cerdàn, al quale Aldama sostiene di aver consegnato una busta con 15.000 euro. Il tangentista avrebbe affermato anche si essersi riunito in varie occasioni con la ministra Teresa Ribera, per un presunto progetto di trasformazione di zone della Spagna disabitata in parchi tematici, secondo fonti giuridiche citate da radio Cadena ser. Un progetto al quale avrebbe partecipato anche Javier Hidalgo, Ceo di Globalia e al quale fu presente, in almeno una riunione, Begona Gomez, moglie di Pedro Sanchez. Fonti governative, riportate da Cadena Ser, definiscono un cumulo di menzogne le dichiarazioni di Aldana, che “non ha alcuna credibilità” ed è in carcere preventivo, per cui punterebbe a ottenere un trattamento favorevole in una prevedibile condanna.

“Il presidente del governo non ha né ha avuto alcuna relazione” con Aldama, segnalano le fonti. “Tutto quello che dice è totalmente falso”, ha dichiarato da parte sua ai cronisti Santos Cerdàn, “Questo signore non ha alcuna credibilità, sta tentando di salvarsi dal carcere. Non ha alcuna relazione con il presidente del governo, io non ho ricevuto mai denaro da lui e non lo conosco”, ha aggiunto l’esponente socialista, annunciando azioni .giudiziarie. Lo stesso ha fatto il portavoce parlamentare del Psoe, Patxi Lopez, che ha confermato “azioni legali” del partito della rosa nel pugno “perché la giustizia chiarisca tutte queste menzogne”.

Continua a leggere

In rilievo

error: Contenuto Protetto