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Scontro interno nel M5S: Castellone denuncia un “Grillicidio” in corso

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Le tensioni interne al Movimento 5 Stelle si intensificano in vista dell’Assemblea costituente di ottobre, con la vicepresidente del Senato, Mariolina Castellone, che lancia un’accusa pesante sui social: «Si sta mettendo in atto un vero e proprio “grillicidio”; con una violenza che mi ha profondamente turbata, sia nel metodo usato che nel merito delle questioni sollevate». Castellone, ex capogruppo del M5S a Palazzo Madama, ha puntato il dito contro una tecnica che definisce “bullesca”, accusando alcuni membri del partito di attaccare all’unisono, cercando di trasformare menzogne ripetute in verità.

Il dibattito interno al Movimento è particolarmente acceso in questo periodo, con lo scontro tra il leader Giuseppe Conte e il garante Beppe Grillo che sembra sempre più evidente. Castellone si schiera chiaramente dalla parte di Grillo, sottolineando l’importanza di mantenere intatti i principi fondamentali del M5S durante il percorso verso la Costituente di ottobre. «Al pari di Beppe, sono convinta che lungo il percorso che ci porterà alla Costituente di ottobre dobbiamo riflettere sulla nostra storia e anche sulle nostre radici — ha affermato Castellone —, senza però mutare il nostro Dna, che è racchiuso in quei tre pilastri imprescindibili che sono: la regola del secondo mandato, il nostro simbolo e il nostro nome».

Tra i temi più dibattuti c’è il limite dei due mandati elettivi, un principio che Grillo ha sempre difeso con fermezza. Castellone si è espressa chiaramente in difesa di questa regola, criticando coloro che vorrebbero superarla: «La nostra storia vale più di un volto noto al secondo mandato. È triste vedere che il superamento di questo vincolo sia diventato l’unico obiettivo per i molti (o i pochi) che ne trarranno beneficio; i quali però dimenticano, o fingono di non ricordare, che si sono candidati accettando proprio quella regola che oggi vorrebbero cancellare o modificare».

Il dibattito è ulteriormente alimentato dalla lettera del 7 agosto, firmata da 11 ex parlamentari del M5S, che ha messo nel mirino l’Assemblea costituente voluta da Conte. Tra i firmatari vi sono l’ex sottosegretario al MEF Alessio Villarosa e l’ex senatore Nicola Morra, che ha recentemente annunciato la sua candidatura alla presidenza della Liguria con il Movimento Uniti per la Costituzione, fondato da Mattia Crucioli, anch’egli ex senatore del M5S.

La frattura interna al Movimento sembra destinata ad approfondirsi, con la possibilità di un incontro tra i sostenitori di Grillo a Roma per discutere delle prossime mosse. Il clima di scontro e le accuse reciproche rischiano di compromettere ulteriormente l’unità del partito, in un momento cruciale per il suo futuro politico.

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Bucci al campo largo, a Genova il centro sta con me

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Il campo largo prepara il tavolo permanente di confronto, ma senza sapere bene chi si siederà. O meglio, chi sarà invitato. Il primo banco di prova sarà la manovra, quando le forze di opposizione potranno misurare la capacità di lavorare su proposte comuni. Se a Roma il tavolo è ancora da organizzare, a Genova c’è già. E’ quello che il centrosinistra ha aperto per sostenere la corsa dell’ex ministro Pd Andrea Orlando alla guida della Regione. Matteo Renzi vorrebbe sedersi. Su richiesta dei papabili alleati, aveva anche prospettato l’uscita di Iv dalla maggioranza di centrodestra che governa Genova. Ma qualcosa non è andato come voleva. “L’assessore e i consiglieri di Iv rimangono nella giunta, me lo hanno detto personalmente – ha detto il sindaco, Marco Bucci – Molte persone di quella parte hanno rinunciato ad andare nel campo largo e rimangono con noi, lo stesso vale con alcune persone di Azione”. Il Bucci sindaco di Genova è lo stesso Bucci candidato di centrodestra alla guida della Liguria, dopo l’inchiesta che ha portato alle dimissioni dell’ex governatore Giovanni Toti, in queste ore reduce dall’accordo con la procura per patteggiare la pena.

“Il patteggiamento lancia egregiamente la campagna elettorale di Bucci, che aveva detto di voler ripartire proprio da Toti”, ha attaccato il M5s. “E’ un implicito riconoscimento di responsabilità”, ha rincarato Orlando. Bucci si contenderà la poltrona di governatore con Orlando. Malgrado le difficoltà nella truppa, per adesso la scelta di Renzi è chiara. Però la trattativa non è chiusa. Le modalità del sostegno a Orlando sono ancora de definire. Un’ipotesi è che i Iv possa correre senza simbolo, in modo da provare ad aggirare i veti di una parte della coalizione, come il M5s. Anche Calenda ha aperto a Orlando, nonostante le resistenze di una parte del suo partito, come quelle palesate da Enrico Costa. Insomma, in Liguria le forze del mai nato terzo polo si stanno organizzando. I negoziati dei livelli nazionali mirano a comporre il quadro, a trovare le condizioni per la “solida componente centrista” auspicata da Orlando in queste settimane.

Il campo largo è quindi alla prova della Liguria e della manovra. L’ipotesi del tavolo permanente di centrosinistra è stata lanciata alla festa di Avs dal segretario di Più Europa Riccardo Magi, durante un incontro con la segretaria Pd Elly Schlein, col presidente M5s Giuseppe Conte e con i padroni di casa, Angelo Bonelli e Nicola Fratoianni. Il giorno dopo, i leader del centrosinistra non si sono sentiti, ma il progetto c’è. L’idea è quella di cominciare a confrontarsi per scrivere emendamenti comuni alla finanziaria. Renzi e Calenda sono invitati? “Intanto individuiamo i temi, se c’è una condivisione vediamo – ha risposto il portavoce dei Verdi, Angelo Bonelli – Ma il nucleo centrale sono le forze che stavano sul palco. Secondo gli ultimi sondaggi, già rappresentano un 43%”.

Calenda non sgomita: “Se mi avessero invitato ci sarei andato. Ma non mi hanno invitato. Io non c’entro col campo largo”, ma “sono sei mesi che dico a tutti: c’è una manovra di bilancio, costruiamo un emendamento comune delle opposizioni su cose concrete? Non riesco a farlo”. La linea del Pd l’ha ribadita il responsabile organizzazione, Igor Taruffi: “In ogni occasione in cui possiamo farlo, costruiamo un’alleanza larga. Discutiamo però di politiche, togliendo nomi e cognomi dal dibattito. Quando lo facciamo, vinciamo”.

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Detrazioni o assegni, governo a lavoro sulla famiglia

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Sostegno alla famiglia e ai ceti medi. Sono le due priorità alla quali il governo lavora in vista della predisposizione della manovra. E per le quali è caccia alle risorse nelle pieghe del bilancio ma anche attraverso uno strumento come quello del concordato preventivo che, nelle intenzioni della maggioranza, verrà reso “ancora più attrattivo”, attraverso lo strumento del decreto omnibus, in discussione al Senato. Dipenderà proprio dal gettito che porterà questo strumento il destino del taglio delle aliquote Irpef che il governo vorrebbe fortemente e che viene quantificato tra i 2,5 e i 4 miliardi di euro. Per portare l’aliquota dal 35% al 33% sui redditi fino a 50mila euro – calcola il viceministro Maurizio Leo – servono 2,5 miliardi, mentre il conto sale a 4 miliardi se il beneficio fiscale viene esteso fino a 60mila euro, ora tassati al 43% nell’ultima tranche di reddito. Ma oltre ai ceti medi si punta anche sul sostegno alla natalità. “L’obiettivo – spiega Leo – è venire incontro alla famiglia. Questo è un tema prioritario”.

Con una doppia possibilità allo studio: il governo, spiega Leo, vuole “favorire le detrazioni per la famiglia e la natalità. Ci sono diverse strade: o potenziare l’assegno unico o introdurre detrazioni specifiche per i figli, perché adesso la detrazione c’è dopo i 21 anni”. Due opzioni allo studio, dunque, per un pacchetto che viene stimato tra i 5 e i 6 miliardi. L’assegno unico potrebbe essere rimpinguato ma è difficile ipotizzare, si spiega dalla maggioranza, l’introduzione di una soglia di reddito che andrebbe a cambiare del tutto la misura di tipo universalistico. Altro discorso, sul quale si starebbe ragionando, invece, è quello di escludere l’assegno dall’Isee per evitare un ricasco su altre possibili agevolazioni. Un’altra strada è invece quella dell’introduzione di detrazioni per scaglioni di reddito.

La soluzione, in ogni caso, dipenderà non solo dalla fattibilità tecnica ma anche dalle risorse a disposizione per una manovra viene quotata tra i 23 e i 25 miliardi. Il primo step per capire quanto la coperta potrà essere ampia sarà quello del Psb: il piano che indicherà riforme e investimenti della traiettoria settennale per l’aggiustamento del bilancio. Il piano dovrebbe essere illustrato dal ministro Giancarlo Giorgetti nel Consiglio dei ministri di martedì prossimo anche se servira ancora del tempo. Soprattutto servirà la revisione dei dati macro che l’Istat ha in programma per il 23 settembre, dopo di che verrà definitivamente ultimato per il varo in Cdm. Poi ci saranno, come spiegato in capigruppo dal ministro per i Rapporti con il Parlamento Luca Ciriani, una decina di giorni per l’esame parlamentare e verrà inviato a Bruxelles entro la prima decade di ottobre. “E’ davvero importante – ha ricordato il presidente dell’Eurogruppo Paschal Donohoe al termine della riunione di oggi – che i piani siano credibili e completi per garantire che realizziamo i due obiettivi di consentire alle nostre economie di crescere e anche di garantire che abbiamo finanze pubbliche stabili, sicure e solide”.

Una volta messo a punto il Psb sarà più chiaro su quante risorse si potrà contare anche per esaudire eventuali richieste dei partiti. Che rivendicano le loro misure bandiera oltre anche a fronte del pacchetto famiglia. Sul fronte detrazioni Noi Moderati chiede il raddoppio del tetto delle detrazioni scolastiche al 19% (attualmente è a 800 euro). Prioritaria per la Lega è la questione della flat tax mentre si mentre per Forza Italia resta centrale la conferma della rivalutazione straordinaria almeno al 2,5%. Gli azzurri insistono anche sul fondo per il caro affitti degli studenti fuori sede. Per capire quanta agibilità ci sarà sulle richieste che esulano dai filoni prioritari della manovra sarà però necessario attendere il varo del Psb.

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Ursula vuole chiudere sulle nomine, il nodo deleghe

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Chiudere la lista dei nuovi commissari martedì prossimo per avere il nuovo esecutivo formalmente efficace dal primo dicembre, a meno di un mese dalle elezioni americane: Ursula von der Leyen, in queste ore, ha un solo obiettivo in testa. Centrarlo, tuttavia, resta non facile. Le incognite attorno ai portafogli da assegnare ai vari commissari restano diverse, il Parlamento sloveno continua a tenere in sospeso il via libera al candidato di Lubiana, e le formazioni del centro e del centro-sinistra sono pronte ad una battaglia senza esclusione di colpi per dire la loro.

“Da qui a martedì è lunga, soprattutto se si parla di politica”, sono le parole con le quali, il portavoce della Commissione Eric Mamer, ha riassunto i mille dubbi che attanagliano i vertici di Palazzo Berlaymont. Lo stesso Mamer, invero, ha spiegato tuttavia che von der Leyen è “determinata” nel rispettare la scadenza prefissata. Martedì, a Strasburgo, vuole presentare la sua squadra al Conferenza dei presidenti, e poi illustrare le sue scelte alla stampa. Lunedì in un ultimo round di incontri con i gruppi della maggioranza, proverà a puntellare il suo castello. Con il rischio che una pedina sbagliata potrebbe far saltare tutto, in un quadro nel quale i rapporti tra il Ppe e gli altri gruppi filo-Ue – Socialisti, Liberali e Verdi – sono tornati ad essere a dir poco traballanti. “I Socialisti non sono mai stati così deboli, bocciare i candidati sostenuti dal Ppe potrebbe trasformarsi in un boomerang”, ha avvertito il capodelegazione di FI Fulvio Martusciello. Il primo vero ostacolo davanti a von der Leyen si annida invero non a Roma, ma nella piccola Slovenia. Nel Paese carsico il cambio di candidato deciso dal primo ministro Robert Golob ha innescato una rivolta politica bipartisan.

L’accusa, trasversale, è che sia stata von der Leyen a costringere Golob a far ritirare Tomaz Vesel sostituendolo con Marta Kos, in nome dell’equità di genere. La commissione parlamentari per gli Affari Esteri e Ue, che era chiamata a votare Kos, non è stata neppure convocata. Gli europarlamentari sloveni di Sds – forza che fa capo all’ex premier populista Janez Jansa ma che è dentro al Ppe – hanno annunciato che non voteranno per la candidata e hanno chiesto accesso ai documenti della Commissione e del governo sloveno relativi alle procedure di candidature. E l’ex diplomatica Marta Kos è stata accusata di aver collaborati con i servizi segreti iugoslavi. Von der Leyen, di fronte allo stallo sloveno, potrebbe andare comunque sulla sua strada, forzando la mano e presentando ugualmente la lista, con il nome di Kos al suo interno. Ma sarebbe una mossa che non distenderebbe il clima attorno alle nomine europee. Nomine sulle quali le deleghe da assegnare restano avvolte in una nube di incertezze. Le vice presidenze esecutive dovrebbero essere sei, come anticipato, e andare a Thierry Breton, Teresa Ribera, Valdis Dombrovskis, Raffaele Fitto, Maros Sefcovic, Kaja Kallas.

Del sestetto il più debole è Sefcovic, commissario uscente di lunga esperienza e apprezzato a Bruxelles, ma rappresentante di un Paese, la Slovacchia, che con il populista Robert Fico si avvicina a grandi passi alle posizioni orbaniane. Fitto potrebbe invece avere una delega diretta alla Coesione e al Pnrr, perdendo quella all’Economia, dossier che non è ancora chiaro se rientrerà in quelli sotto la sua vicepresidenza. Per l’Italia, in ogni caso, è importante che sotto l’ala di Fitto finisca una Direzione Generale (la dg Regio, ad esempio). Nel frattempo è stato Enrico Letta a spiegare che, se Fitto si mostrerà impegnato per l’Ue, dovrebbe avere “il più ampio sostegno possibile”: A Breton è in via di assegnazione il potente portafogli dell’Industria, a Ribera andrebbe la Concorrenza, a Dombrovskis l’Allargamento e il dossier della ricostruzione ucraina. Von der Leyen, per placare i Socialisti, dovrà assegnare gli Affari Sociali e le Politiche abitative ad un loro esponente, forse la romena Roxana Minzatu. Nel frattempo il gruppo S&D continua ad alzare la posta: l’ultima richiesta è quella di un commissario ad hoc allo Sviluppo.

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