“Continueremo la nostra lotta fino all’annientamento del nemico in Libia. Non accetteremo alcun negoziato con Haftar”. Mentre a Tripoli le sue forze impegnate nell’Operazione Vulcano di Rabbia annunciano di aver ripreso il controllo di “tutti i confini amministrativi della capitale”, Fayez al-Sarraj passa al contrattacco e vola ad Ankara per studiare le prossime mosse con Recep Tayyip Erdogan. Al termine del nuovo faccia a faccia con il presidente turco, da mesi il suo principale alleato sul terreno, il premier del governo di accordo nazionale libico (Gna) riconosciuto dall’Onu giura di essere “determinato” a controllare l’intero Paese e mettere all’angolo l’uomo forte della Cirenaica, promettendo gia’ a Erdogan la ricompensa per “la sua storica e coraggiosa posizione” con l’assicurazione di voler “vedere le imprese turche in Libia durante la fase di ricostruzione”. Un sostegno che Ankara si dice pronta a rafforzare. “Abbiamo concordato di allargare il nostro campo di cooperazione. Non abbandoneremo mai i nostri fratelli libici ai golpisti e ai mercenari”, assicura Erdogan, che vuole aumentare la “collaborazione anche nel Mediterraneo orientale con esplorazioni e trivellazioni”, dopo il controverso accordo di fine 2019 sulla demarcazione dei confini marittimi, che ha scatenato le reazioni soprattutto di Cipro e Grecia ma anche di Francia, Egitto, Emirati e dell’Ue. “Agiremo con Sarraj a tutti i livelli delle piattaforme internazionali. La storia giudichera’ quelli che stanno causando spargimenti di sangue in Libia sostenendo il golpista Haftar”, ha proseguito Erdogan, ribadendo a sua volta che il generale e’ “il piu’ grande ostacolo alla pace in Libia” e “non ha alcuna legittimita’ per sedersi ai tavoli negoziali”. Solo due giorni fa, la missione Onu in Libia aveva annunciato l’accordo tra le parti per riprendere i colloqui del Comitato militare misto per giungere a un cessate il fuoco. Il leader turco ha quindi “rinnovato l’appello” a evitare che al generale venga permesso di “vendere il petrolio che appartiene al popolo libico”. Sul terreno, intanto, prosegue l’avanzata delle forze governative, che ieri hanno ripreso dopo oltre un anno il controllo dell’Aeroporto internazionale di Tripoli, alla periferia meridionale della capitale, in posizione strategica ma in disuso dal 2014 perche’ gravemente danneggiato. Una controffensiva che negli ultimi mesi ha visto una svolta proprio grazie ai droni e alla copertura aerea turca, oltre che agli strateghi militari inviati da Ankara insieme a centinaia di miliziani siriani. Il mese scorso, le forze del Gna hanno anche annunciato il ritiro da Tripoli dei mercenari russi del gruppo Wagner. “La vostra scommessa e’ fallita”, ha detto Sarraj rivolgendosi ai Paesi sostenitori di Haftar, a partire da Egitto, Emirati e Russia. Secondo il suo governo, le forze lealiste “stanno continuando la propria avanzata, cacciando le milizie terroriste dalle mura di Tripoli”, in vista del decisivo assalto al feudo di Haftar a Tarhuna, mentre “alcuni dei suoi comandanti sono in fuga verso l’aeroporto di Beni Walid”, circa 170 km a sud-est della capitale.
Quattro militari italiani impegnati nella missione di pace UNIFIL in Libano sono rimasti feriti a seguito di un attacco alla base situata nel sud del Paese. Fonti governative assicurano che i soldati, che si trovavano all’interno di uno dei bunker della base italiana a Shama, non sono in pericolo di vita. Le autorità italiane e internazionali hanno espresso forte indignazione per l’accaduto, mentre proseguono le indagini per ricostruire la dinamica dell’attacco.
UNIFIL UNITED NATIONS INTERIM FORCE IN LIBANO. SOLDATI DELLE NAZIONI UNITE (FOTO IMAGOECONOMICA)
La dinamica dell’attacco
Secondo le prime ricostruzioni, due razzi sarebbero stati lanciati dal gruppo Hezbollah durante un’escalation di tensioni con Israele. Al momento dell’attacco, la base italiana aveva attivato il livello di allerta 3, che impone ai militari l’utilizzo di elmetti e giubbotti antiproiettile. La decisione si era resa necessaria a causa della pericolosità crescente nell’area, teatro di scontri tra Israele e Hezbollah.
Un team di UNIFIL è stato inviato a Shama per verificare i dettagli dell’accaduto, mentre il governo italiano monitora attentamente la situazione.
UNIFIL UNITED NATIONS INTERIM FORCE IN LEBANON. FOTO IMAGOECONOMICA ANCHE IN EVIDENZA
Le dichiarazioni del ministro Crosetto
Il ministro della Difesa Guido Crosetto ha commentato con durezza l’attacco, definendolo “intollerabile”:
“Cercherò di parlare con il nuovo ministro della Difesa israeliano per chiedergli di evitare l’utilizzo delle basi UNIFIL come scudo. Ancor più intollerabile è la presenza di terroristi nel Sud del Libano che mettono a repentaglio la sicurezza dei caschi blu e della popolazione civile”.
Crosetto ha inoltre sottolineato la necessità di proteggere i militari italiani, impegnati in una missione delicata per garantire la stabilità nella regione.
La solidarietà del Presidente Meloni
Anche la Presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha espresso solidarietà ai militari feriti e alle loro famiglie, dichiarando:
“Apprendo con profonda indignazione e preoccupazione la notizia dei nuovi attacchi subiti dal quartier generale italiano di UNIFIL. Desidero esprimere la solidarietà e la vicinanza mia e del Governo ai feriti, alle loro famiglie e sincera gratitudine per l’attività svolta quotidianamente da tutto il contingente italiano in Libano. Ribadisco che tali attacchi sono inaccettabili e rinnovo il mio appello affinché le parti sul terreno garantiscano, in ogni momento, la sicurezza dei soldati di UNIFIL”.
Unifil: una missione per la pace
La missione UNIFIL, operativa dal 1978, ha il compito di monitorare il cessate il fuoco tra Israele e il Libano, supportare le forze armate libanesi e garantire la sicurezza nella regione. L’attacco alla base italiana evidenzia la crescente instabilità nell’area e i rischi a cui sono esposti i caschi blu impegnati nella missione di pace.
La trumpiana di ferro Marjorie Taylor Greene collaborerà con Elon Musk e Vivek Ramaswamy come presidente di una commissione della Camera incaricata di lavorare con il Dipartimento dell’efficienza. “Sono contenta di presiedere questa nuova commissione che lavorerà mano nella mano con il presidente Trump, Musk, Ramaswamy e l’intera squadra del Doge”, acronimo del Department of Government Efficiency, ha detto Greene, spiegando che la commissione si occuperà dei licenziamenti dei “burocrati” del governo e sarà trasparente con le sue audizioni. “Nessun tema sarà fuori dalla discussione”, ha messo in evidenza Greene.
Donald Trump nomina la fedelissima Pam Bondi a ministra della Giustizia. L’ex procuratrice della Florida ha collaborato con il presidente eletto durante il suo primo impeachment. “Come prima procuratrice della Florida si è battuta per fermare il traffico di droga e ridurre il numero delle vittime causate dalle overdosi di fentanyl. Ha fatto un lavoro incredibile”, afferma Trump sul suo social Truth annunciando la nomina, avvenuta dopo il ritito di Matt Gaetz travolto da scandali a sfondo sessuale. “Per troppo tempo il Dipartimento di Giustizia è stato usato contro di me e altri repubblicani. Ma non più. Pam lo riporterà al suo principio di combattere il crimine e rendere l’America sicura.
E’ intelligente e tosta, è una combattente per l’America First e farà un lavoro fantastico”, ha aggiunto il presidente-eletto. Bondi è stata procuratrice della Florida fra il 2011 e il 2019, quando era governatore Rick Scott. Al momento presiede il Center for Litigation all’America First Policy Institute, un think tank di destra che sta lavorando con il transition team di Trump sull’agenda amministrativa. Come procuratrice della Florida si è attirata l’attenzione nazionale per i suoi tentativi di capovolgere l’Obamacare, ma anche per la decisione di condurre un programma su Fox mentre era ancora in carica e quella di chiedere al governatore Scott di posticipare un’esecuzione per un conflitto con un evento di raccolta fondi.
La nomina di Bondi arriva a sei ore di distanza dal ritiro di Gaetz dalla corsa a ministro della Giustizia dopo le nuove rivelazioni sullo scandalo sessuale che lo ha travolto. Prima dell’annuncio, l’ex deputato della Florida era stato contattato da Trump che gli aveva riferito che la sua candidatura non aveva i voti necessari per essere confermata in Seanto. Almeno quattro senatori repubblicani, infatti, si era espressi contro e si erano mostrati irremovibili a cambiare posizione. Il nome di Bondi, riporta Cnn, era già nell’iniziale lista dei papabili ministro alla giustizia stilata prima di scegliere Gaetz. Quando l’ex deputato ha annunciato il suo passo indietro, il nome di Bondi è iniziato a circolare con insistenza fino all’annuncio.