Sono sempre di più i medici di famiglia con un numero extra di pazienti, rispetto al massimo ‘storico’ di 1.500 assistiti. In caso di carenze e situazioni di necessità assistenziale, infatti, oggi è possibile una deroga fino a 1.800 assistiti. E negli ultimi mesi, soprattutto al Nord, questa soluzione è sempre più frequente per garantire le cure primarie. Lo spiega all’Adnkronos Salute Alessandro Dabbene, vicesegretario nazionale dalla Federazione nazionale dei medici di medicina generale (Fimmg). “La normativa – sottolinea – prevedeva da tempo che oltre il cosiddetto massimale, il ‘tetto’ di 1.500 pazienti per camice bianco, le Regioni potessero autorizzare un aumento per singoli casi. Ma finché non c’è stata la grossa carenza di medici a cui stiamo assistendo adesso, questo tipo di deroga non è quasi mai stata applicata”. Successivamente, invece, “con l’esplosione della carenza di medici, soprattutto al Nord, a questa norma, nel contratto del 2022, se ne è affiancata un’altra che offre alle Regioni la possibilità di ‘sforare’ il massimale non in maniera generica, ma con il limite che non può superare i 1.800. Questo perché si è voluta normare una situazione che sta diventando quasi strutturale. Si tratta, infatti, di un fenomeno ormai assolutamente diffuso e che durerà per diversi anni”, predice Dabbene.
Le regioni in cui accade di più “sono quelle del Nord Italia: Piemonte, Lombardia e Veneto che hanno anche dettagliato questo tipo di possibilità negli accordi regionali, e hanno approfondito il tema con una certa autonomia alle aziende. La deroga, però – spiega il sindacalista – seppure viene richiesta ai colleghi in caso di carenza, a nostro avviso deve prevedere un’organizzazione avanzata dello studio, con la presenza del personale. E per questo servono incentivi”. In ogni caso “non può trattarsi di una soluzione definitiva. E’ un ‘tampone’ anche se – è prevedibile – sarà di lunga durata. Solo adesso, infatti, la cosiddetta gobba previdenziale, cioè il picco di pensionamenti dei medici di famiglia, che abbiamo avuto negli ultimi 2 anni, inizia lentamente a scendere, ma tra le carenze che si sono accumulate e quelle che comunque si verificheranno ancora nei prossimi anni, avremo un fenomeno di carenza almeno fino al 2030, questo è sicuro”.
L’aumento del massimale, continua Dabbene, “sta diventando, dunque, quasi la norma nel Nord Italia. Va sottolineato, comunque, che l’adesione è discrezionale, nel senso che il medico può scegliere di non incrementare il numero di pazienti e di mantenere i suoi 1.500 assistiti o addirittura autoridurli per vari motivi”. Il sovraccarico di lavoro non è infatti da sottovalutare. “Si pensi che, visto l’invecchiamento della popolazione, con 1.800 pazienti si arrivano ad avere anche 60 persone in assistenza domiciliare programmata, a cui bisogna aggiungere le visite non strutturate. E anche l’attività di studio si moltiplica enormemente”. Quello dell’aumento del massimale, quindi, “è una possibilità che, ribadisco, è stata prevista nei contratti. I medici che rinunciano lo fanno perché, il più delle volte, non dispongono di un’organizzazione di supporto e faticano già ad assistere 1.500 persone. Per questo – conclude il vicesegretario Fimmg – stiamo cercando di fare accordi con le Regioni per incentivare i medici, con una serie di aiuti a livello di personale o economici. Con le ultime norme, inoltre, c’è la possibilità di avere l’aiuto dell’ex medico di guardia (attuale continuità assistenziale) che oggi, dopo i nuovi accordi, può con il ruolo unico fare attività di supporto oraria, anche durante la settimana, ai medici di famiglia”.