Capacità e onestà non le ha messe in dubbio neanche nel momento più critico, ma autorevolezza e credibilità ormai erano venute meno. Non c’erano più le condizioni, insomma, per pensare che con una sorta di fiducia a tempo Gennaro Sangiuliano guidasse il G7 della Cultura, fra meno di due settimane, se non in una bufera di polemiche. C’era anche il rischio che non si fermasse la scia di accuse, foto, audio e documenti quanto meno imbarazzanti pubblicati da Maria Rosaria Boccia.
Nonché il timore di inchieste giudiziarie. Considerazioni di questo tenore, secondo quanto filtra, hanno spinto Giorgia Meloni ad accantonare la strategia dell’attendismo con cui negli ultimi giorni ha gestito la querelle dell’ormai ex ministro, e a decidere per la svolta: dimissioni e avvicendamento immediato, con un altro ex giornalista, Alessandro Giuli, considerato anche lui un ‘meloniano’, che era stato nominato dallo stesso Sangiuliano un paio d’anni fa alla presidenza della Fondazione MAXXI di Roma.
Una decisione di cui mette subito al corrente Sergio Mattarella in una breve telefonata pomeridiana, intorno alle 14.30. Una soluzione, quella di chiudere rapidamente la vicenda, – si apprende in ambienti parlamentari – che il presidente della Repubblica ha condiviso. Ben venga questa soluzione – avrebbe detto il capo dello Stato alla premier mostrandosi sollevato per l’epilogo della vicenda. Un presidente della Repubblica che – si rimarca in ambienti parlamentari – non ha avuto alcun ruolo nel merito. Che fosse imminente una sterzata lo si è inteso quando di primo mattino la premier ha annullato il viaggio a Verona, decidendo di intervenire al G7 dei Parlamenti in videocollegamento e facendo slittare di un giorno l’arrivo a Cernobbio.
L’intervista di Boccia, con le sue accuse e allusioni che puntavano dritto anche a Palazzo Chigi e dintorni, nonché una serie di editoriali sui giornali e, dietro le quinte, segnali di quelli che in politica è difficile ignorare, hanno spinto Meloni ad accantonare ogni titubanza. E a procedere con l’immediato avvicendamento che già aveva considerato martedì nel teso confronto con il ministro a Palazzo Chigi. Una strategia che – si ragiona in ambienti della maggioranza – ha tra l’altro evitato il rischio di aprire un “vaso di pandora” nel governo, con richieste e fibrillazioni da parte degli alleati.
Salta quindi il piano di concludere la legislatura con la squadra intatta: fra un paio di mesi si trasferirà a Bruxelles Raffaele Fitto, e si guarda con attenzione alle vicende giudiziarie di Daniela Santanchè: al terzo ministro sostituito, anche in ambienti di governo circola la consapevolezza che servirà un passaggio in Parlamento per una nuova fiducia. Per tutta la mattinata è stato un rincorrersi di voci che portavano a una conclusione univoca: “La strada è segnata, Sangiuliano deve lasciare”.
Sangiuliano questa volta non ha solo proposto di fare un passo indietro, come martedì nel faccia a faccia con la leader. Questa volta si è dimesso con una lettera sofferta, congedandosi dai ministri con un messaggio sulla chat di governo: “In lacrime vi abbraccio tutti”. In un paio d’ore al Quirinale è stata allestita la cerimonia di nomina di Giuli. Meloni, spiegano fonti informate, fino all’ultimo ha considerato l’ipotesi di puntare sul sottosegretario Gianmarco Mazzi. Un’idea arenatasi davanti al rischio di nuove polemiche su un presunto conflitto d’interesse con l’Arena di Verona, di cui si è occupato negli anni scorsi come ad della società che cura gli eventi extra lirica nell’anfiteatro.
Nei giorni scorsi Meloni ai suoi avrebbe anche confidato di avere in serbo “un nome a sorpresa”, di alto profilo nel mondo della cultura. E più di un interlocutore ha pensato potesse avere chance la direttrice d’orchestra Beatrice Venezi. Impensabile per la premier, invece, prendere a interim le deleghe del ministro, perché il G7 Cultura del 19-21 settembre a Napoli sarebbe stato offuscato dai riflessi di questa querelle. Alla fine la scelta è ricaduta su Giuli, il cui nome era circolato anche quando Meloni stava scegliendo un portavoce due anni fa. A lui ora affida il compito di proseguire “l’azione di rilancio della cultura nazionale, consolidando quella discontinuità rispetto al passato”. E già si profila, prevedono fonti di maggioranza, un deciso ricambio nell’ufficio del ministro della Cultura, perché all’origine del caso che ha fatto fibrillare il governo c’è stata anche una catena di leggerezze.