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Salvini e la lettera di Conte: “Quello del premier è uno sfogo umorale, io rispondo col diritto”

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Ecco, diciamo che il premier Giuseppe Conte ed il suo ministro dell’Interno, almeno su una cosa la pensano allo stesso modo: l’ossessione per i migranti di Matteo Salvini.
Se Conte pensava di bacchettarlo con quella espressione, pare che non solo sia gradita a Salvini, sembra che la sposi. A Salvini piace tanto l’ossessione per i migranti. “Mi confesso colpevole di avere l’ossessione della sicurezza degli italiani e di non voler collaborare con i trafficanti di esseri umani”. Salvini risponde così alla lettera in cui Giuseppe Conte lo accusa di essere “ossessionato dalla politica dei porti chiusi”. “Il suo è stato uno sfogo umorale. Io devo rispondere con le leggi: per questo è partita dal Viminale una lettera in punta di diritto“, aggiunge il leader leghista, senza rivelare a chi gliel’ha chiesto chi la stava scrivendo la lettera già che lui era lì a Castelvolturno.
Qualche bravo collaboratore che ne capisce di diritto, evidentemente. “Se qualcuno è nostalgico del Pd o degli sbarchi lo dica” accusa Salvini. “Mi pagano non per essere l’anima bella ma per difendere la sicurezza – aggiunge -. Se qualcuno è nostalgico dei 200mila sbarchi lo dica, se qualcuno è nostalgico del Pd lo dica. Certo dispiace che certe cose invece che dirle in faccia il gentile Presidente del consiglio le renda pubbliche mente sto lavorando a Castel Volturno”.

“Sbarcati due bimbi in difficoltà” – Al termine del Comitato per l’ordine pubblico riunitosi a Castel Volturno (Caserta), Salvini replica ancora al premier sulla questione della nave della Open Arms: “Una nave straniera in acque internazionali non si capisce che attinenza abbia con l’Italia. A che titolo chiede l’intervento alle autorità italiane? In silenzio abbiamo fatto scendere chi aveva necessità, senza letterine. Senza che fosse richiesto da nessuno abbiamo sbarcato su mia diretta indicazione due bambini in evidente e reale difficoltà”.

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Endorsement di Mattarella, Fitto importante per l’Italia

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Il ruolo di Raffaele Fitto come commissario e vicepresidente esecutivo della Commissione europea è importante per l’Italia. Questo messaggio ha voluto mandare, dentro e fuori dai nostri confini, Sergio Mattarella chiamando al Colle il ministro, nel momento di stallo che da Bruxelles sta producendo tensioni a Roma fra centrodestra e Pd. Un invito dal tempismo tutt’altro che casuale. Come quello del 16 settembre, nelle ore più calde della trattativa per la composizione della squadra di Ursula von der Leyen. Due mesi dopo, il processo di conferma dei suoi commissari è terremotato dai veti incrociati tra Popolari e Socialisti, una dinamica che sta generando uno scontro aperto fra Giorgia Meloni ed Elly Schlein.

È passata mezz’ora dalla nota sull’incontro al Quirinale quando la premier sale sul palco del comizio del centrodestra a Perugia, e attacca la segretaria dem perché “il Pse, del quale il Pd è il gruppo di maggioranza relativa, ha dato mandato alla capogruppo di trattare con von der Leyen il fatto che Fitto non sia vicepresidente della commissione”. Meloni chiede a Schlein “di dire quale sia la posizione ufficiale del Pd”, di rispondere “non a me ma ai cittadini italiani: le persone serie fanno così”. Per la leader di FdI è “inaccettabile” ostacolare la soluzione di “un commissario con un portafoglio da mille miliardi, e una vicepresidenza della commissione, che significa coordinare diverse e importanti materie per l’Italia”.

“La prima domanda – replicano dal Pd – Meloni dovrebbe farla al suo vicepremier Salvini che non voterà la commissione e il commissario Fitto”. E da un’altra piazza del capoluogo umbro arriva anche la risposta di Schlein: “Non sono io a dover rispondere ma lei ai cittadini dei tagli alla sanità e alla scuola”. Un modo, notano gli avversari, per spedire la palla in tribuna. Mentre nelle ultime ore si è mosso per fare pressione sul via libera a Fitto una costellazione di sigle del settore produttivo: da Confindustria a Confcommercio, da Confcooperative a Confartigianato, passando per la Cisl. Una serie di dichiarazioni con inviti ad andare “oltre i particolarismi”, a “superare le polemiche per interesse dell’Italia” e a chiudere senza intoppi la definizione della Commissione. Uno sforzo da più fronti, culminato con l’incontro fra il ministro e il presidente della Repubblica. Ora sarà ancor più difficile liquidare Fitto come un fascista o ultraconservatore, il ragionamento che si fa fra i meloniani.

Di certo il messaggio del Colle è che Fitto non è semplicemente il candidato del governo ma a Bruxelles rappresenterà l’intero Paese. Una mossa, viene sottolineato, che il capo dello Stato ha maturato nell’interesse nazionale, anche per respingere al mittente le insinuazioni di chi, dopo la secca replica a Elon Musk, ha parlato di lui come se fosse il capo dell’opposizione. Le parole del magnate americano sui giudici hanno prodotto a Palazzo Chigi un imbarazzo che Meloni ha gestito con una telefonata all’ “amico” Musk, in cui in sostanza gli avrebbe chiesto di evitare ingerenze di questo tipo. Ma hanno anche generato distinguo nel governo. “Condivido assolutamente le parole del presidente della Repubblica – ha chiarito Antonio Tajani -. Il linguaggio di Musk non mi appartiene. Siamo un Paese libero, indipendente, democratico e capace di scegliere il proprio destino”.

“Che ci siano alcuni giudici, pochi per fortuna, che in Italia fanno politica non c’è bisogno di Musk che lo dica”, ha notato invece Matteo Salvini, che già a caldo aveva dato “ragione” al proprietario di X, Tesla e SpaceX (che con Starlink è in trattativa con il governo italiano per i satelliti in bassa quota per la comunicazione), nonché ormai un braccio destro del presidente eletto degli Usa Donald Trump. Il suo referente in Italia, Andrea Stroppa, ribadisce che Musk “ha parlato da privato cittadino”, abituato a dire quello che pensa: “Se qualcuno pensa di intimidirlo non ha capito chi è”. Resta da vedere l’effetto della fuga dal suo social network. Anche Francesco Guccini, già poco avvezzo all’uso dei social, ha chiesto al suo staff di eliminare il proprio account X: “Non ho alcun interesse a comunicare su una piattaforma che contribuisce a plasmare narrazioni e a manipolare pensieri politici”.

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Calderoli: rispettiamo Consulta e valuteremo correttivi

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“La decisione della Corte costituzionale ha chiarito in maniera inequivocabile che la legge sull’autonomia differenziata nel suo insieme è conforme alla Costituzione. Su singoli profili della legge attenderemo le motivazioni della sentenza, per valutare gli eventuali correttivi da apportare”. Così il Ministro per gli Affari regionali e le Autonomie, Roberto Calderoli, commentando la decisione della Corte Costituzionale.

“La stessa Corte – prosegue Calderoli – nel suo comunicato invita ad assicurare la piena funzionalità della legge e riconosce che l’autonomia differenziata ‘deve essere funzionale a migliorare l’efficienza degli apparati pubblici, ad assicurare una maggiore responsabilità politica e a meglio rispondere alle attese e ai bisogni dei cittadini’. Sono esattamente gli obiettivi che vogliamo realizzare e che realizzeremo. Detto ciò, la sentenza non incide sul lavoro che stiamo portando avanti con i negoziati avviati con le regioni, che proseguiranno nelle prossime settimane”.

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Lep e tributi, illegittime alcune disposizioni: stop della Consulta a sette profili della legge sull’Autonomia

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Stop della Consulta a sette profili della legge sull’Autonomia: dai Livelli essenziali di prestazione (Lep) alle aliquote sui tributi. Al secondo giorno di Camera di consiglio arriva la decisione della Corte che accoglie parzialmente i ricorsi delle quattro Regioni guidate dal centrosinistra (Campania, Puglia, Sardegna e Toscana) che hanno impugnato la legge Calderoli.

I giudici hanno ritenuto “non fondata” la questione di costituzionalità dell’intera legge – punto sul quale si focalizzano tutte le reazioni di centrodestra, dove spicca il silenzio di Fratelli d’Italia – considerando invece “illegittime” alcune specifiche disposizioni. Da qui l’invito al Parlamento a “colmare i vuoti” che ne derivano. Esulta, invece, l’opposizione: “la legge è demolita” Tra i sette profili della legge ritenuti incostituzionali c’è la previsione che sia un decreto del presidente del Consiglio dei ministri a determinare l’aggiornamento dei Lep. Bocciato anche il conferimento di una delega legislativa per la determinazione dei Lep sui diritti civili e sociali senza idonei criteri direttivi con la “conseguenza che la decisione sostanziale viene rimessa nelle mani del Governo, limitando il ruolo costituzionale del Parlamento”.

Stop inoltre alla possibilità di modificare, con decreto interministeriale, le aliquote della compartecipazione al gettito dei tributi erariali, prevista per finanziare le funzioni trasferite in caso di scostamento tra il fabbisogno di spesa e l’andamento dello stesso gettito perché “potrebbero essere premiate proprio le regioni inefficienti che – dopo aver ottenuto dallo Stato le risorse finalizzate all’esercizio delle funzioni trasferite – non sono in grado di assicurare con quelle risorse il compiuto adempimento delle stesse funzioni”. Ma al di là delle bocciature, comunque importanti, la Corte rimette al centro il principio di sussidiarietà.

E sottolinea che la distribuzione delle funzioni legislativa e amministrative tra Stato e Regioni “non” deve “corrispondere all’esigenza di un riparto di poteri tra i diversi segmenti del sistema politico” ma deve avvenire “in funzione del bene comune della società e della tutela dei diritti garantiti dalla nostra Costituzione”. È, dunque, “il principio costituzionale di sussidiarietà che regola la distribuzione delle funzioni tra Stato e regioni”. Per questo l’Autonomia “deve essere funzionale a migliorare l’efficienza degli apparati pubblici, ad assicurare una maggiore responsabilità politica e a meglio rispondere alle attese e ai bisogni dei cittadini”. La decisione della Corte è arrivata al secondo giorno di camera di consiglio, che si è riunito dopo la maxi udienza pubblica di martedì. C’è stata una discussione ampia e articolata e si è arrivati a una piena condivisione che ha portato a un accordo senza spaccature. La sentenza verrà depositata nelle prossime settimane e peserà inevitabilmente anche sui quesiti referendari. Non tanto su quello abrogativo della legge ma sugli altri che la Cassazione stessa potrebbe riformulare oppure dichiarare superati. La sentenza ha scatenato le reazioni della politica. Le opposizioni in blocco esultano sostenendo che la riforma è stata “demolita” e che la “secessione non ci sarà”.

“Bastava leggere meglio la Costituzione per evitare questo ennesimo flop con una legge che ha dei profili di incostituzionalità” commenta la segretaria del Pd Elly Schlein. Mentre per il leader M5S Giuseppe Conte “la Corte Costituzionale frena il progetto diAutonomia con cui Meloni, Salvini e Tajani volevano fare a pezzi il tricolore e la nostra unità”. Soddisfatti anche i governatori delle quattro Regioni ricorrenti. Di diverso avviso la Lega che parla di “ottima notizia” in quanto “l’Autonomia ha superato l’esame di costituzionalità”.

“I rilievi saranno facilmente superati dal Parlamento” assicurano fonti del partito. Sulla stessa linea i governatori di centrodestra che puntano sul fatto che la legge sia ‘costituzionale’. Da Forza Italia, invece, sostengono che “il rilievo della Consulta va nella direzione già indicata” dal partito che ha “sempre sottolineato l’importanza di mettere in sicurezza e definire i Lep. Il percorso della riforma – sottolineano – non si arresta”. Mentre il presidente della Calabria, Roberto Occhiuto di Fi ricorda di aver “suggerito al governo un surplus di riflessione e una moratoria sull’Autonomia: oggi la moratoria, con molta più autorevolezza del sottoscritto, la impone la Corte Costituzionale”.

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