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Economia

Salta il “superbonus aziende”, M5s sulle barricate

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Salta il ‘superbonus per le aziende’, vale a dire la possibilita’ di cedere i crediti d’imposta maturati dalle imprese per investimenti in beni strumentali previsti dal piano Transizione 4.0. L’alt arriva dalla Ragioneria dello Stato: mancano le coperture, dicono i guardiani dei conti pubblici, obbligando il Parlamento a modificare il maxiemendamento al dl Sostegni. All’inizio i cinquestelle salgono sulle barricate, evocando la crisi. Ma poi lo strappo rientra con la promessa del governo di aprire un tavolo in vista dell’approvazione del Sostegni bis che dovrebbe arrivare la prossima settimana. La maggioranza, nonostante le minacce, vota dunque compatta la fiducia a Palazzo Madama (207 voti favorevoli, 28 contrari e 5 astensioni) e ora il testo passa alla Camera per un esame blindato e il via libero definitivo. Quello sulle “imprese” non e’ l’unico superbonus che ha “conti” in sospeso. C’e’ anche quello “originale” al 110% per le ristrutturazioni e gli interventi di efficientamento energetico sugli immobili. Per adesso e’ previsto fino al 2022, ma si sta consolidando il fronte di chi ne chiede un rafforzamento. In un convegno, si sono detti favorevoli sia il segretario del Pd, Enrico Letta, sia il leader in pectore del M5s, Giuseppe Conte, che si sono impegnati a sostenere una proroga al 2023 e una semplificazione della procedura. La mossa dei Cinque Stelle in Senato ha creato non pochi malumori fra gli alleati. Alle altre forze di maggioranza non e’ piaciuto che il Movimento abbia fatto una “battaglia di bandiera” su una misura apprezzata da tutti e che e’ stata stralciata per i “potenziali rilevanti effetti sulla finanza pubblica” evidenziati dalla Ragioneria. Proprio alla luce di queste difficolta’ economiche, i margini per un approdo nel Sostegni Bis appaiono stretti. “Ci sono alcuni partiti di maggioranza, i grillini in primis, che si comportano come le ‘vedove di Conte’ – e’ stato il commento di Italia Viva – ed ogni giorno minacciano di non votare la fiducia o ricattano Draghi. Ma non e’ del tutto irresponsabile questo atteggiamento?”. Per il Pd, la stoccata e’ arrivata da Andrea Marcucci: “Non ci possiamo permettere di usare provvedimenti cosi’ importanti, per guardare ai sondaggi e fare scelte tattiche”. A rompere il tran tran di una seduta che fino a quel momento era andata avanti senza patemi e’ stato il capogruppo del M5s. “E’ sparito il superbonus per le aziende – ha spiegato il capogruppo in Senato Ettore Licheri – C’e’ una seria riflessione su quello che sara’ il voto del M5s alla fiducia”. Lo stop al “superbonus imprese” non e’ piaciuto nemmeno alle categorie. “E’ un segnale sconfortante”, ha commentato Confagricoltura. Ma non e’ stata l’unica misura “cassata”. La Ragioneria ha chiesto lo stralcio di tutte le norme che prevedevano la cessione del credito, come quelle sui bonus sia per l’acquisto di mobili ed elettrodomestici destinati a chi stia ristrutturando casa sia per la costruzione di autorimesse o posti auto. La Ragioneria ha anche sollevato dubbi sulla proroga sine die delle concessioni per gli ambulanti, senza pero’ obbligare il Parlamento a stralciarla. La presidenza del Senato ha invece dichiarato improponibile l’emendamento che aveva reso impignorabile il reddito di cittadinanza. La mareggiata in maggioranza ha provocato qualche sussulto ai lavori parlamentari. Dall’opposizione, prima di votare “No” alla fiducia, Fdi ha abbandonato la commissione Bilancio perche’ “tanto non c’e’ accordo di maggioranza” e poi, all’ennesimo annuncio di slittamento della seduta, ha minacciato di occupare l’Aula.

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Orsini: nucleare scelta obbligata se Italia vuol competere

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“Con i nuovi reattori e le nuove tecnologie, rispetto alla scelta fatta con il referendum di 40 anni fa, noi, senza se e senza ma diciamo che l’Italia paga l’energia il 40% in più dei propri competitor, e questo è un elemento che incide negativamente sulla competitività. Il nucleare mi pare una scelta obbligata se vogliamo tornare competitivi nel medio lungo periodo”. Lo ha detto il presidente di Confindustria Emanuele Orsini, intervistato da Myrta Merlino nel corso dell’assemblea generale di Confindustria Veneto Est, a Padova. Secondo Orsini, per tornare a produrre energia dal nucelre in Italia “nella migliore delle ipotesi servirà un decennio. Occorre però cambiare la narrazione sul nucleare e guardare con favore alla Newco fatta da Ansaldo, Leonardo ed Enel: vuol dire che l’Italia c’è”.

“Le industrie italiane ed europee sono quelle che emettono meno a livello mondiale – ha detto Orsini – in rapporto al Pil che produciamo che è il 15% secondo i dati Onu contribuiamo alle emissioni per un valore che secondo le stime è molto più basso, tra il 3 e il 5% delle emissioni mondiali. Ed allora mi pare difficile sostenere che dobbiamo sacrificare un intero comparto, importantissimo per l’economia europea, com’è quello dell’automotive per ridurre di un ulteriore 0,5%”.

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Economia della Ue con il fiato corto, euro ai minimi

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L’economia europea ha il fiato corto e a risentirne è l’euro che scivola ai minimi da due anni rispetto al dollaro di fronte alla doccia fredda degli indici Pmi, una misura del grado di fiducia dei responsabili agli acquisti delle imprese. Il biglietto verde, da parte sua, continua ad avanzare, e non solo rispetto alla moneta unica, sull’onda della vittoria di Donald Trump alle ultime elezioni presidenziali. E lo stesso fa il Bitcoin, che prosegue il rally e supera i 99.300 dollari, ormai diretto verso la soglia dei 100.000 grazie alla sostegno del nuovo presidente americano alle criptovalute e all’idea di un regolamentazione più benevola. Il pmi composito dell’eurozona, finito a novembre a 48,1 (contro le attese che lo davano a 50), complice il calo inaspettato nei servizi più ancora che nell’industria manifatturiera, ha frenato le Borse del Vecchio Continente nella prima parte della giornata.

Non ha aiutato la revisione al ribasso del Pil della Germania, cresciuto nel terzo trimestre solo dello 0,1% rispetto ai tre mesi precedenti. A far scattare le vendite sull’azionario hanno contribuito le scommesse del mercato su un taglio deciso dei tassi, di 50 punti base, alla prossima riunione Bce per dare ossigeno alle economie della zona euro in una scenario ormai di stagnazione: bassa crescita e inflazione non ancora sotto controllo. La prospettiva di tassi di interesse più bassi ha avuto l’effetto di far calare i rendimenti dei titoli di Stato a partire dal Bund tedesco, sceso al 2,23%. Quello dell’Oat francese è diminuito al 3% e del Btp italiano al 3,5%. Lo spread si è allargato intanto sopra i 126 punti base.

Le Borse europee hanno invece rialzato la testa nell’ultima parte della seduta sulla scia di Wall Street, spinto dal Pmi composito negli Stati Uniti, arrivato a 55,3 meglio delle stime a conferma di un’economia in crescita. A fine giornata il maggior rialzo lo ha messo a segno Londra (+1,38%) indifferente agli indici Pmi del Regno Unito, anch’essi in flessione. Ha fatto tutto sommato bene anche la Borsa di Francoforte (+0,92%) malgrado i brutti dati Pmi e il Pil deludente. Parigi ha registrato un guadagno finale dello 0,52% malgrado anche nella seconda maggiore economia dell’eurozona gli indici Pmi siano stati sotto le attese. Meglio intonata Piazza Affari (+0,6%) malgrado abbiamo perso terreno le banche, in sintonia con i big del credito spagnoli Santander e Bbva penalizzati dalla decisione del governo di Madrid di aumentare la tassa sugli extraprofitti. Con l’effetto di far segnare alla Borsa del Paese solo un timido +0,39%.

L’euro in serata si è confermato debole col cambio sul dollaro a 1,042, ai minimi da novembre 2022. Che la Bce si prepari a nuovi tagli dei tassi d’interesse nei prossimi mesi, di fronte a un target d’inflazione al 2% che dovrebbe essere raggiunto a metà 2025, lo ha detto anche il presidente della Bundesbank Joachim Nagel, spiegando che i dati Pmi di oggi confermano lo scenario di stagnazione dell’economia tedesca. Nel complesso, visti i Pmi, difficilmente la situazione avrebbe potuto rivelarsi peggiore, è l’opinione condivisa dagli analisti secondo cui il settore manifatturiero dell’eurozona sta affondando sempre più nella recessione. Dopo due mesi in lieve crescita anche il settore dei servizi inizia poi a essere in difficoltà. E non c’è troppo da stupirsi considerato la confusione politica delle maggiori economie dell’area: il governo francese si muove su un terreno instabile e la Germania è alle prese con le elezioni anticipate. A tutto questo si aggiunge Donald Trump e la minaccia concreta di nuovi dazi sulle importazioni. Alle aziende europee non resta che navigare a vista.

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Moody’s, Pil Italia sotto 1%, impegnativa spesa Pnrr

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La crescita dell’Italia si mantiene moderata e quest’anno sarà sotto l’1%, con un deficit in calo al 4,6% e un debito che invece sale. L’analisi di Moody’s (nella foto Imagoeconomica in evidenza) mostra come i fondi del Pnrr continuano a sostenere le prospettive dell’Italia. Ma per il Belpaese sarà “impegnativo” spendere tutte le risorse disponibili dal programma entro il 2026 anche perché la spesa è stata finora inferiore al previsto. “Tassi di interessi elevati e un potenziale di crescita di circa lo 0,8% richiederanno un ampio aggiustamento fiscale per raggiungere e mantenere avanzi primari in grado di stabilizzare il debito”, afferma Moody’s annunciando il completamente della revisione del rating dell’Italia che, precisa, “non è un’azione sul rating e non è un’indicazione” sulle future decisioni sul rating. L’Italia ha al momento un rating Baa3 con outlook stabile.

“In un contesto di tassi di interesse più elevati, l’aumento del potenziale di crescita e gli avanzi primari saranno fondamentali per evitare un significativo aumento del debito”, aggiunge Moody’s spiegando come la riduzione del deficit – al 3,5% nel 2025 e al 3% nel 2026 – “non sarà sufficiente” per un calo del rapporto debito-pil in seguito agli effetti del Superbonus. L’agenzia prevede che il debito italiano salirà al 139,7% del pil nel 2024 dal 134,8% del 2023 e continuerà a salire fino al 2027 a oltre il 143%. I risultati ottenuti dall’Italia nell’attuazione del Pnrr sono “contrastanti”: l’Italia è stato il primo paese dell’Ue a chiedere le ultime tranche di finaziamento e “prevediamo che la settima tranche sarà richiesta entro la fine del 2024. Tuttavia la spesa di queste risorse è stata inferiore al previsto e la spesa totale dei fondi disponibili entro la fine del 2026 sarà impegnativa”, mette in evidenza ancora Moody’s. L’agenzia potrebbe alzare il rating nel caso di fossero prove di una crescita sostanzialmente più forte: “un miglioramento del potenziale di crescita contribuirebbe a mettere il debito su una chiara traiettoria discendente”. Il rating invece potrebbe essere rivisto al ribasso se “anticipassimo un significativo indebolimento della forza economica e di bilancio dell’Italia”.

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