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Politica

Risiko Ue, l’Italia punta a un commissario di peso

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L’Italia punta a un commissario europeo di peso, e nei piani di Giorgia Meloni potrebbe non essere un ministro del suo governo. La premier ha escluso di pensare a un rimpasto dopo le Europee, “a maggior ragione non per fare il commissario europeo”. Finora si era parlato molto di Raffaele Fitto e Giancarlo Giorgetti, ma dietro la postilla della leader di FdI, secondo ragionamenti che in ambienti di maggioranza vengono accostati alle sue strategie, ci sarebbero non solo l’ambizione di chiudere il quinquennio con la stessa squadra, e l’obiettivo di non toccare gli equilibri interni dopo le elezioni. Ma soprattutto l’intenzione di puntare su una delega importante come quella economica, oggi divisa fra Paolo Gentiloni e Valdis Dombrovskis, o la concorrenza, mirando su un profilo che a Bruxelles non avrebbe problemi a far pesare la proprio autorevolezza.

Sono ragionamenti preventivi, manca ancora parecchio tempo, il risiko della governance europea è decisamente articolato e imprevedibile, ma già qualche nome circola. Fra questi, viene sussurrato con cautela anche quello di Daniele Franco, a cui la premier aveva pensato anche come ministro dell’Economia e che il governo ha poi sostenuto per la poltrona di presidente della Banca europea per gli investimenti, corsa in cui alla fine l’ha spuntata la spagnola Nadia Calvino. È una partita complessa, gli incastri dipenderanno anche dal destino di Mario Draghi, considerato in più cancellerie un papabile per la guida della Commissione europea ma anche per il Consiglio Ue.

Il risultato di questo gioco di incastri potrebbe arrivare mentre a Roma si entrerà in sessione di bilancio. Una missione che si annuncia delicata più che in altri anni. In primo luogo perché bisogna fare i conti con il nuovo Patto di stabilità, un compromesso da “migliorare”, si legge nel programma di FdI per le Europee, “nell’ottica di una maggiore flessibilità, tenendo conto delle esigenze finanziarie degli Stati membri”. Le preoccupazioni sorgono già nella stessa maggioranza anche alla luce del braccio di ferro ad alta tensione andato in scena in questi giorni sulla stretta al superbonus e sul nodo sugar tax, con il blitz per inserire un nuovo componente in commissione Finanze al Senato, dove il voto rischiava di essere pericolosamente in bilico. La manovra “sarà un inferno”, prevede un membro del governo che ne ha viste tante in Parlamento. Servirà massima attenzione per evitare cortocircuiti, quando si tratterà di impostare una legge di bilancio con risorse tutt’altro che abbondanti. E con equilibri di forza che potrebbero variare dopo le Europee.

Molte delle fibrillazioni primaverili sono direttamente riconducibili alle strategie elettorali diverse di FdI, FI e Lega. Meloni assicura di non temere questa campagna elettorale “divisiva”, ma i suoi fedelissimi non fanno mistero dell’irritazione con cui ha seguito la rivolta degli azzurri, guidati da Antonio Tajani, contro l’emendamento messo a punto da Giorgetti, con le norme retroattive sul superbonus. Una soluzione pensata dal Mef per frenare quello che Meloni ha più volte definito “dramma” o “macigno” per le casse dello Stato. E nella battaglia contro questo macigno, a tutela dei conti pubblici, bisognerebbe stare uniti, sarebbe il pensiero della premier, come raccontato nei capannelli dei meloniani in Transatlantico. Non a caso, in questi giorni lei e gli esponenti del suo partito, pubblicamente, si sono tenuti alla larga dalla disputa, probabilmente allineati con la stretta messa nero su bianco dal ministro dell’Economia. Nelle prossime settimane, nei prossimi mesi, ed è un altro dei ragionamenti che rimbalzano fra i parlamentari di maggioranza, si capirà quanto effettivamente la pazienza del ministro dell’Economia sia messa a dura prova dagli alleati.

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Cronache

Meloni stoppa Salvini ma avverte, Israele non come Hamas

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Discutere della sentenza della Corte penale internazionale sull’arresto di Benjamin Netanyahu al tavolo del G7 e provare a concertare assieme agli alleati una linea comune. Nelle stesse ore in cui 4 soldati italiani restano feriti nella base Unifil in Libano dopo un lancio di missili di Hezbollah, il governo cerca di gestire il nodo della decisione dell’Aja sul leader israeliano – e sul suo ex ministro della Difesa Gallant – coinvolgendo i partner europei e occidentali. E’ l’input che Giorgia Meloni affida ad Antonio Tajani (che tra l’altro rivendica su questi temi il ruolo di palazzo Chigi e della Farnesina) dopo le divisioni emerse nell’esecutivo che di certo non le avranno fatto piacere, anzi.

Le fughe in avanti dei ministri irritano palazzo Chigi che, invece, sui dossier delicati vorrebbe che il governo si esprimesse con un’unica voce. Ecco perchè di fronte al susseguirsi di dichiarazioni la premier, in vista del vertice di maggioranza convocato per lunedì, decide intanto di mettere nero su bianco quella che deve essere la linea di tutto il governo. La premessa è che sulla sentenza della corte dell’Aja vadano fatti degli approfondimenti per capirne le motivazioni che, sottolinea, “dovrebbero essere sempre oggettive e non di natura politica”.

Ma “un punto resta fermo per questo governo: non ci può essere una equivalenza tra le responsabilità dello Stato di Israele e l’organizzazione terroristica Hamas”. Una presa di posizione che ha come obiettivo anche quello di mettere a tacere i distinguo e le voci in libertà nella compagine. Accanto alla posizione prudente di Antonio Tajani, c’era stata infatti la dichiarazione più netta di Guido Crosetto. Il ministro della Difesa, pur criticando il pronunciamento della Cpi, aveva aggiunto: “La sentenza andrà rispettata”. Ma soprattutto, a pesare è quanto detto da Matteo Salvini. Il leader della Lega è quello che si è spinto più avanti, arrivando ad invitare il premier israeliano in Italia dandogli il “benvenuto” perchè, avvisa, “i criminali di guerra sono altri”.

Parole che pesano negli equilibri internazionali alla vigilia del G7 dei ministri degli Esteri in programma a Fiuggi lunedì. Non è un caso infatti (forse anche dopo contatti con Chigi) che il leader della Lega cerchi poi di ammorbidire i toni invocando la condivisione delle decisioni: “Troveremo una sintesi – confida Salvini – il problema è a livello internazionale”. Chi sceglie di non esprimersi è la Santa Sede. Il Vaticano si affida alle laconiche parole del segretario di Stato Pietro Parolin: “Abbiamo preso nota di quanto avvenuto, ma quello che a noi interessa è che si ponga fine alla guerra”. Intanto, le dichiarazioni dei ministri e dei leader della maggioranza finiscono sotto il fuoco di fila delle opposizioni che vanno all’attacco.

Ma le tensioni sulla politica estera sono solo l’ultimo punto che si aggiunge ad una lista di nodi che Meloni dovrà sciogliere con i due alleati di governo nel vertice in programma per lunedì 25, prima della riunione del Consiglio dei ministri. Il ‘caso’ Netanyahu sarà uno dei temi che i tre leader del centrodestra dovranno discutere, ma altrettanto dirimenti, sono le decisioni da prendere sul versante interno. La sconfitta alle regionali ha alzato il livello dello scontro e, di conseguenza, le richieste di Lega e Forza Italia da inserire nella legge di Bilancio. Ufficialmente tra i partiti di maggioranza regna la concordia: “Ci incontreremo e risolveremo i problemi nel miglior modo possibile”, è la convinzione di Tajani a cui fa eco il vicepremier leghista: “Siamo in sintonia su tutto”.

Ma il taglio dell’Irpef, la flat tax per i dipendenti e la riduzione del canone Rai sono tre temi su cui da giorni è in atto un vero e proprio braccio di ferro. E la mancanza di un accordo ha fatto slittare alla prossima settimana le votazioni sul decreto fiscale. Alle richieste dei partiti si aggiungono i desiderata dei ministri. Un elenco impossibile da realizzare (visti i fondi a disposizione) su cui la premier dovrà dire una parola definitiva. In stand by invece resta la decisione sul successore di Raffaele Fitto.L’idea della presidente del Consiglio pare sia quella di tenere le deleghe a palazzo Chigi fino a gennaio, scavallando quindi la sessione di bilancio. Nessuna fretta anche anche perchè, raccontano nella maggioranza, per la prossima settimana è attesa anche la decisione dei giudici se rinviare o meno a giudizio la ministra per il Turismo Daniela Santanchè.

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In Evidenza

Giorgetti: grande incertezza, tutti aiutino la crescita

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La fase è complessa. Siamo nel pieno della sessione bilancio, con una manovra complicata quest’anno dai vincoli delle nuove regole Ue. Mentre fuori incombono le “incertezze” dello scenario internazionale. E’ in questo contesto, spiega il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, che ha preso forma una legge di bilancio che chiede “sacrifici”. Ma per crescere e tenere i conti in ordine “serve il contributo di tutti”, è l’appello del ministro, che rivendica anche i successi dell’approccio prudente del governo: lo spread si è dimezzato e due agenzie di rating hanno rivisto al rialzo l’outlook. E non è escluso che lo stesso possa fare anche Moody’s (arriva con un Baa3, il primo livello dell’investment grade, e un outlook stabile), che chiude in serata il ciclo di revisioni sul rating, iniziato a metà ottobre con le valutazioni di Fitch, S&P e Dbrs.

Cresce intanto l’attesa per il vertice di lunedì tra la premier Giorgia Meloni e i vicepremier Antonio Tajani e Matteo Salvini, chiamato a sciogliere anche diversi nodi sulla manovra. A partire dal canone Rai, che tiene in stallo il decreto fisco in Senato e riaccende lo scontro tra Lega e FI. Per via Bellerio la conferma della riduzione del canone Rai da 90 a 70 euro “è una priorità” e siamo determinati a portarla avanti “fino in fondo”, mette in chiaro il capogruppo in Senato Massimiliano Romeo. Ma gli azzurri non ci stanno: il taglio è una scelta “ridicola”, commenta Tajani. E’ giusto il confronto, ma c’è un problema di coperture, aggiunge Mauro D’Attis, deputato di Fi e uno dei relatori della manovra.

I partiti della maggioranza intanto rivendicano ciascuno le proprie bandierine. Che trovano posto negli emendamenti super-segnalati alla manovra (circa 220 in un elenco che circola tra i parlamentari): le proposte di FDI vanno dal contributo di 500 euro l’anno per gli under14 al silenzio-assenso per i fondi pensione; la Lega insiste dall’allargamento della flat tax ai fondi al Ponte; FI va dal taglio dell’Irpef alla web tax. Ma i leader sfoderano ottimismo in vista del vertice: “Siamo assolutamente in sintonia su tutto”, dice Salvini; trovare un accordo non sarà difficile, assicura Tajani. Giorgetti intanto lancia un appello a fare ciascuno la propria parte. E lo fa parlando in videocollegamento con l’assemblea annuale dell’Anci: parole che suonano come una risposta alle critiche e preoccupazioni espresse dall’Associazione dei Comuni per i tagli previsti in manovra.

“Non posso non riconoscere che le sfide con cui vi confrontate quotidianamente richiedono sempre maggiori risorse”, ma il mio ruolo “mi impone” soluzioni che concilino “le esigenze locali” con gli “obiettivi complessivi del paese”, spiega. E così, anche se gli enti territoriali sono riusciti a tenere i conti “sotto controllo”, tutti sono chiamati a contribuire, anche le amministrazioni locali. La riduzione delle risorse per gli investimenti pubblici disposta dalla manovra è dettata dal bisogno di “dare priorità all’utilizzo delle somme previste nell’ambito del Pnrr e del Fondo di sviluppo e coesione”, spiega il ministro, che apre: “Possiamo e dobbiamo continuare a collaborare”. Un invito subito raccolto dal neopresidente Gaetano Manfredi dell’Anci. Presenteremo al governo “un’agenda con le priorità”, annuncia, con l’auspicio che la manovra “migliori” in Parlamento. I

l contesto comunque è di “grande incertezza”, evidenzia Giorgetti: le misure contenute in manovra possono dare una mano, ma per “realizzare la crescita che abbiamo previsto nel 2025” sarà cruciale “promuovere la domanda”. Servono sono poi la “stabilità politica” e la “prudenza” nella gestione dei conti portati avanti in questi due anni di governo, è la ricetta del titolare del Mef: ingredienti di una “credibilità” che sta dando frutti e se coltivata ulteriormente può contribuire a migliorare deficit e debito. Giorgetti difende la manovra anche sul fronte sempre caldo della sanità: le risorse sono aumentate, 12 miliardi in più in tre anni. Numeri, chiosa, che “certificano la falsità delle narrazioni strumentali”.

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Politica

‘Il giudice non commenti le norme di cui si occupa’

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Con il nuovo decreto legge in materia di Giustizia, toghe e governo si preparano all’ennesima partita. Sul nuovo provvedimento, che sarà discusso lunedì in Cdm, aleggiano il timore di azioni disciplinari per i magistrati che prendono posizione pubbliche su un argomento di cui si occupano o di cui si occuperanno. Secondo la bozza del documento, già approvato nel pre Consiglio di ieri, all’articolo 4 del decreto viene introdotta una nuova norma sulle disposizioni in materia di illeciti disciplinari dei magistrati: un illecito disciplinare nell’esercizio delle funzioni si verifica anche quando c’è “la consapevole inosservanza del dovere di astensione nei casi in cui è espressamente previsto dalla legge l’obbligo di astenersi o quando sussistono gravi ragioni di convenienza”. In caso di azione disciplinare del ministro, come da prassi spetterebbe poi alla sezione disciplinare del Csm decidere se infliggere una sanzione.

La nuova norma si aggiungerebbe quindi all’insieme dei casi che riguardano gli illeciti disciplinari nell’esercizio delle funzioni dei magistrati. L’introduzione del concetto ampio di “gravi ragioni di convenienza” – secondo fonti dell’Esecutivo – fa seguito, tra le altre considerazioni, ad un’interpretazione già manifestata dalla maggioranza secondo cui il ministro debba avere la facoltà di promuovere azioni disciplinari quando un magistrato, che si occupa di determinate norme ed argomenti, prende posizioni pubbliche su quegli stessi temi. Il Guardasigilli, a un convegno a Firenze, da un lato stempera ma al contempo avverte: “Le bocche dei giudici non sono bocche mute, come Shakespeare definiva le ferite di Giulio Cesare, sono bocche che parlano e che devono essere ispirate dal raziocinio, dal buon senso, e dal principio di legalità e tassatività che derivano dalla Costituzione e dalla legge ordinaria. Non vi è spazio, è già molte volte lo ha ribadito anche il presidente Mattarella, per il diritto cosiddetto creativo. Naturalmente siccome le bocche dei giudici parlano, parlano anche in base allo spirito dei tempi e si adattano alle modificazioni del tempi”. Parole a cui fanno seguito quelle del vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura, Fabio Pinelli, per il quale c’è una “urgente questione di salute della nostra democrazia la necessità di rimettere a fuoco e in equilibrio, con una visione dall’alto, non affetta da strabismo, il principio costituzionale della separazione dei poteri”.

E “non si dica, per carità, che in base all’articolo 101 della Costituzione, il giudice è soggetto ‘solo’ alla Costituzione. Il costituente parla chiaramente di ‘legge’, non di Costituzione, e non c’è argomentazione seria che tenga per poter superare un dato testuale inequivoco e fondamentale per la tenuta degli equilibri dello Stato democratico”. Il decreto che andrà in Cdm lunedì contiene però anche aspetti sul coordinamento delle indagini che rientrano nel perimetro della sicurezza nazionale cibernetica. In uno dei passaggi della bozza si fa riferimento ai “poteri di impulso” della Direzione investigativa antimafia per le indagini che riguardano reati cyber contro strutture strategiche nazionali: un tipo di fascicolo che andrebbe quindi in carico alla Procura nazionale antimafia mentre al Viminale, come già previsto, spetta la prevenzione e il controllo su questo tipo di fenomeni.

Se confermata, questa introduzione vedrebbe contrarie alcune componenti di governo come Forza Italia e lo stesso capogruppo Gasparri, che non usa mezzi termini: “Dopo il caso Striano, non mi sembra proprio il caso di potenziare nemmeno il potere di impulso di questa Procura, sulla quale stiamo indagando nella Commissione Antimafia. Che da via Giulia si pretenda un aumento di poteri, quando ancora si deve rendere conto dei poteri in mano esercitati negli anni passati, in particolare durante la gestione De Raho, mi sembra stupefacente”. Nella bozza è anche previsto l’arresto obbligatorio in flagranza “nel caso di accesso abusivo a un sistema informatico o telematico in sistemi informatici o telematici di interesse militare o relativi all’ordine pubblico o alla sicurezza pubblica o alla sanità o alla protezione civile o comunque di interesse pubblico”.

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