C’e’ il rischio di una vera e propria “carestia” nel nord-ovest della Siria, dove secondo l’Onu sono stipati circa quattro milioni di siriani, un milione dei quali sfollato nelle ultime due settimane a causa del conflitto in corso tra governo siriano, appoggiato dalla Russia, e combattenti locali filo-turchi. Per le Nazioni Unite si tratta della peggiore crisi umanitaria dallo scoppio delle violenze in Siria nove anni fa. E per operatori umanitari locali, presenti a Idlib e in contatto con organizzazioni di soccorso internazionali, c’e’ il rischio di una carestia per decine di migliaia di disperati in fuga. L’Onu stima che dei quattro milioni di siriani presenti nelle regioni di Idlib e a nord di Aleppo, fuori dal controllo governativo, il 50 per cento siano minori, per lo piu’ bambini. E il 25% donne. Tra i 950mila sfollati dal primo dicembre a oggi, la percentuale di minori si alza al 60 per cento, corrispondenti a piu’ di 600mila bambini. Questi sono fuggiti dalla guerra in corso e hanno affollato le cittadine frontaliere con la Turchia ma moltissimi non hanno trovato migliori rifugi se non nei capannoni di campagna, in ripari di fortuna, e molte famiglie sono da settimane esposte al gelo di uno dei piu’ freddi inverni siriani degli ultimi anni. A questo si aggiunge la grave crisi economica (che ha colpito la Siria e tutto il Medio Oriente), con un’impennata dei prezzi dei servizi essenziali, come acqua ed elettricita’. “Gli sfollati non hanno di fatto i mezzi per riscaldarsi, per nutrirsi, per curarsi”, ricorda Maamun Ladhkani, uno degli operatori umanitari presenti a Idlib interpellato dall’ANSA. “La maggior parte delle famiglie sono fuggite di corsa sotto i bombardamenti aerei (attributi a Russia e al governo siriano)”, continua Ladkhani, affermando che gli aiuti portati dall’Onu e dalle organizzazioni internazionali “sono solo una goccia nel mare”. Nelle ultime ore la Turchia e’ tornata a fare pressione sull’Europa e i suoi alleati della Nato, evocando il rischio dell’arrivo sulle coste europee di migranti siriani in fuga. “Ma si tratta dei siriani gia’ presenti in Turchia, non di quelli ammassati a Idlib e a nord di Aleppo”, afferma Ladkhani. La Turchia, che ospita da anni piu’ di tre milioni di profughi siriani, ha infatti sigillato da tempo il confine con la Siria e non intende far passare nessuno dei quattro milioni di civili che premono alle sue porte.
Gli Stati Uniti si aspettano che migliaia di truppe nordcoreane che si stanno radunando in Russia entreranno “presto” in guerra contro l’Ucraina: lo ha detto il capo del Pentagono Lloyd Austin durante una sosta alle isole Fiji durante una missione in Australia. “Si ritiene che circa 10.000 soldati nordcoreani siano di stanza nella regione di confine russa di Kursk – ha detto Austin – dove sono stati integrati nelle formazioni russe”.
“In base a ciò a cui sono stati addestrati, e alla loro integrazione con i militari russi – ha aggiunto – mi aspetto di vederli presto impegnati in combattimento”. Austin ha detto di non aver “visto segnalazioni significative” di truppe nordcoreane “attivamente impegnate in combattimento” fino ad oggi. Giovedì, funzionari del governo sudcoreano e un gruppo di ricerca hanno affermato che la Russia ha fornito a Pyongyang petrolio, missili antiaerei e aiuti economici in cambio di truppe. Kiev ha avvertito che Mosca, insieme ai soldati nordcoreani, ha ora radunato una forza di 50.000 uomini per riconquistare parti della regione di confine conquistate dalle forze ucraine.
Benjamín Villareal, sino a poche settimane fa vicedirettore della polizia di Culiacán, la capitale dello stato messicano di Sinaloa, è stato ucciso mentre pranzava con altre due persone nel bar ristorante Finca La Esperanza, nel quartiere di Montebello. Villareal è stato ucciso da un commando di uomini armati entrati nell’esercizio commerciale. Sono decedute anche le due persone che pranzavano con lui, un uomo ed una donna, al momento non ancora identificati. Sul sito ufficiale della Città di Culiacán, aggiornato al 6 novembre, Benjamín Villareal risulta ancora essere vicedirettore operativo della Polizia. Dallo scorso settembre la guerra esplosa tra due fazioni del cartello di Sinaloa ex alleate, quella de “Los Chapitos” che fa riferimento al Chapo Guzmán e quella de “Los Mayos” collegata al Mayo Zambada, hanno fatto aumentare la violenza a Culiacán.
Quattro militari italiani impegnati nella missione di pace UNIFIL in Libano sono rimasti feriti a seguito di un attacco alla base situata nel sud del Paese. Fonti governative assicurano che i soldati, che si trovavano all’interno di uno dei bunker della base italiana a Shama, non sono in pericolo di vita. Le autorità italiane e internazionali hanno espresso forte indignazione per l’accaduto, mentre proseguono le indagini per ricostruire la dinamica dell’attacco.
UNIFIL UNITED NATIONS INTERIM FORCE IN LIBANO. SOLDATI DELLE NAZIONI UNITE (FOTO IMAGOECONOMICA)
La dinamica dell’attacco
Secondo le prime ricostruzioni, due razzi sarebbero stati lanciati dal gruppo Hezbollah durante un’escalation di tensioni con Israele. Al momento dell’attacco, la base italiana aveva attivato il livello di allerta 3, che impone ai militari l’utilizzo di elmetti e giubbotti antiproiettile. La decisione si era resa necessaria a causa della pericolosità crescente nell’area, teatro di scontri tra Israele e Hezbollah.
Un team di UNIFIL è stato inviato a Shama per verificare i dettagli dell’accaduto, mentre il governo italiano monitora attentamente la situazione.
UNIFIL UNITED NATIONS INTERIM FORCE IN LEBANON. FOTO IMAGOECONOMICA ANCHE IN EVIDENZA
Le dichiarazioni del ministro Crosetto
Il ministro della Difesa Guido Crosetto ha commentato con durezza l’attacco, definendolo “intollerabile”:
“Cercherò di parlare con il nuovo ministro della Difesa israeliano per chiedergli di evitare l’utilizzo delle basi UNIFIL come scudo. Ancor più intollerabile è la presenza di terroristi nel Sud del Libano che mettono a repentaglio la sicurezza dei caschi blu e della popolazione civile”.
Crosetto ha inoltre sottolineato la necessità di proteggere i militari italiani, impegnati in una missione delicata per garantire la stabilità nella regione.
La solidarietà del Presidente Meloni
Anche la Presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha espresso solidarietà ai militari feriti e alle loro famiglie, dichiarando:
“Apprendo con profonda indignazione e preoccupazione la notizia dei nuovi attacchi subiti dal quartier generale italiano di UNIFIL. Desidero esprimere la solidarietà e la vicinanza mia e del Governo ai feriti, alle loro famiglie e sincera gratitudine per l’attività svolta quotidianamente da tutto il contingente italiano in Libano. Ribadisco che tali attacchi sono inaccettabili e rinnovo il mio appello affinché le parti sul terreno garantiscano, in ogni momento, la sicurezza dei soldati di UNIFIL”.
Unifil: una missione per la pace
La missione UNIFIL, operativa dal 1978, ha il compito di monitorare il cessate il fuoco tra Israele e il Libano, supportare le forze armate libanesi e garantire la sicurezza nella regione. L’attacco alla base italiana evidenzia la crescente instabilità nell’area e i rischi a cui sono esposti i caschi blu impegnati nella missione di pace.