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Cronache

Ripulivano e riciclavano soldi rapinati, 5 misure a Caserta

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Ripulivano le banconote rapinate nelle banche dall’inchiostro blu che le rende inutilizzabili e le “monetizzavano” ricorrendo alle casse automatiche dei caselli autostradali, le uniche che accettano tali banconote. E’ l’accusa a carico di cinque persone cui la Polizia di Stato (Polizia Stradale e Squadra Mobile di Caserta) ha notificato le misure cautelari emesse per il reato di riciclaggio dal Gip del tribunale di Santa Maria Capua Vetere; in particolare un 63enne, gia’ arrestato nel 2018, e’ finito in carcere, un complice di 57 anni ai domiciliari mentre altri tre indagati sono stati raggiunti dalla misura dell’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria. L’indagine, partita dall’arresto in flagranza del 63enne da parte della Polstrada, e’ stata coordinata dalla Procura della Repubblica di Santa Maria Capua Vetere. Gli inquirenti hanno scoperto l’espediente usato dagli indagati per guadagnare da soldi che non avevano piu’ corso legale: non solo ripulivano con prodotti chimici le banconote sporcate dall’inchiostro antirapina usato dalle banche (specie per i soldi custoditi nei furgoni portavalori o nei bancomat), ma le usavano solo alle casse de caselli autostradali, passandoci piu’ volte al giorno: bastava inserire una 50 euro per un pedaggio da 0,50 e avere un resto “pulito” di 49,50. Ad aiutare gli indagati nella ripulitura delle banconote erano degli stranieri non ancora identificati.

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Dati rubati: Del Vecchio jr: ho chiarito la mia posizione

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“Sono soddisfatto dell’interrogatorio in quanto ho potuto chiarire la mia posizione. Auspico che la giustizia faccia il suo corso e che il prima possibile venga richiesta l’archiviazione dell’inchiesta a mio carico per l’insussistenza dei reati contestati”. Lo ha dichiarato dichiarato Leonardo Maria Del Vecchio al termine dell’interrogatorio reso ai pm della Dda di Milano e della Dna, nell’ambito dell’indagine su una presunta rete di cyber spie che ruotava attorno alla Equalize, e nel quele è indagato. L’imprenditore aveva chiesto di essere interrogato per chiarire e difendersi dalle accuse,

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Cronache

Femminicidio a Cagliari, il marito ha confessato

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Ha confessato: dopo oltre sei mesi in cui si è sempre dichiarato innocente ha ammesso le proprie responsabilità Igor Sollai, il 43enne attualmente in carcere con le accuse di omicidio volontario aggravato e occultamento di cadavere per aver ucciso e nascosto il corpo della moglie, Francesca Deidda, di 42 anni, sparita da San Sperate, un paese a una ventina di chilometri da Cagliari, il 10 maggio scorso e i cui resti sono stati trovati il 18 luglio in un borsone nelle campagne tra Sinnai e San Vito, vicino alla vecchia statale 125.

Sollai, difeso dagli avvocati Carlo Demurtas e Laura Pirarba, è stato sentito in carcere a Uta dal pm Marco Cocco. Un interrogatorio durato quattro ore durante il quale il 43enne ha confessato il delitto descrivendo come ha ucciso la moglie e come poi si è liberato del cadavere. Non avrebbe invece parlato del movente. Nessun commento da parte dei legali della difesa. Non è escluso che l’interrogatorio riprenda la prossima settimana.

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‘Ndrangheta: patto politico-mafioso, assolti i boss

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featured, Stupro di gruppo, 6 anni ,calciatore, Portanova

Mafia e politica, assolti i boss. La Corte di Appello di Catanzaro ha ribaltato totalmente la sentenza di primo grado riformando la sentenza di primo grado del processo “Sistema Rende”. I giudici di secondo grado hanno assolto i boss e gli appartenenti alle cosche di Cosenza e Rende finiti nell’inchiesta su mafia e politica che coinvolse amministratori ed esponenti dei principali clan cosentini. Assoluzione perche’ il fatto non sussiste per Adolfo D’Ambrosio e Michele Di Puppo (che in primo grado erano stati condannati rispettivamente a quattro anni e 8 mesi di reclusione), l’ex consigliere regionale Rosario Mirabelli e per Marco Paolo Lento (condannati in primo grado entrambi a 2 anni di carcere). Confermate poi le assoluzioni di Francesco Patitucci e Umberto Di Puppo, condannato in passato per aver favorito la latitanza del boss defunto Ettore Lanzino. Secondo l’inchiesta “Sistema Rende”, alcuni politici e amministratori rendesi (tra i quali gli ex sindaci Sandro Principe e Umberto Bernaudo) avrebbero stipulato un patto politico-mafioso grazie al quale avrebbero ottenuto sostegno elettorale in cambio di favori come le assunzioni in alcune cooperative del Comune. Ora la parola spetta alla Cassazione.

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