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Tecnologia

Ricerca aiutata dal Pnrr, ora la sfida è l’innovazione

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Con un lieve aumento dei fondi, il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza sta aiutando la ricerca italiana, che deve però trovare gli strumenti per essere competitiva, per esempio pensando a un programma futuro di finanziamenti strutturali, traducendo in brevetti un maggior numero di idee e di progetti, facendo in modo che i tanti ricercatori che vanno all’estero rientrino più numerosi. È la fotografia della ricerca italiana che emerge dalla Relazione sulla ricerca e l’innovazione in Italia redatta dal Consiglio nazionale delle ricerche e presentata oggi a Roma, presso il Cnr.

“Non vediamo ancora in pieno l’impatto del Pnrr sullo stato di salute della ricerca italiana, ma lo vedremo il prossimo anno”, ha detto la presidente del Cnr Maria Chiara Carrozza, aprendo i lavori con il direttore del dipartimento Scienze umane e sociali, patrimonio culturale del Cnr, Salvatore Capasso. Fra le priorità, Carrozza ha indicato l’esigenza di “colmare il gap fra il mondo della ricerca e quello industriale, grazie strumenti più veloci e flessibili”. Per Capasso “è essenziale che la ricerca abbia un sistema di finanziamento ottimale”. Accanto a una struttura finanziaria, ha aggiunto, è importante investire in un sistema di finanziamento che permetta il trasferimento tecnologico. Finanziamenti, brevetti, mobilità dei ricercatori sono fra gli ambiti analizzati nella Relazione, accanto al trasferimento tecnologico e la fiducia dei cittadini nella scienza, in un ritratto che, ha osservato Carrozza, è “un’utile occasione di confronto e uno stimolo a migliorare”. Le cose da fare sono molte, a partire dai finanziamenti pubblici in ricerca e sviluppo.

Il periodo 2012-2021 è stato difficile, con una comunità scientifica che non ha avuto gli strumenti per poter dare continuità ai suoi programmi, peraltro poco orientati alle nuove sfide tecnologiche, Il Pnrr ha portato a un lieve miglioramento, ma la preoccupazione generale è che cosa accadrà quando i fondi del Pnrr finiranno, ossia dal 2026 in poi. Un’altra sfida è la capacità di brevettare: nonostante dal 2021 in poi si rilevi un aumento, le domande presentate dall’Italia all’Ufficio europeo dei brevetti sono un terzo rispetto a quelle che arrivano dalla Francia e un settimo di quella della Germania. I dati indicano che in Italia le regioni che brevettano di più sono ancora concentrate a Nord, anche se Piemonte e Lombardia tra il 1999 e il 2019 hanno lasciato il primato a Emilia Romagna e Veneto (rispettivamente, +3.2 e +2.9). In particolare, l’Emilia-Romagna conta161 brevetti per milione di abitanti, superando Lombardia (111), Veneto (109) e Piemonte (89). Più delle grandi imprese tradizionali, a brevettare sono nuove realtà, come quelle specailizzate nei settori delle nanotecnologie e della microelettronica.

Le proiezioni indicano che nel 2030 i brevetti italiani potrebbero aumentare da 3.500 a 6.000, ma soltanto se il Paese dimostrerà di avere una vera capacità di innovazione, al di là del manifatturiero e del Made in Italy. Il trasferimento tecnologico è un’altra grande sfida e richiede strumenti nuovi e anche in questo caso il Pnrr fa sentire il suo peso, con risorse dedicate a sostenere la collaborazione sia tra università e centri di ricerca, sia tra l’accademia e l’industria. “Come Cnr – ha detto Carrozza – stiamo lavorando nella direzione già seguita da altri grandi enti, con una Divisione che di occupi di legami con fondi di investimento e imprese”. Quello che è certo, ha osservato, è che “l’idea di trasferimento tecnologico degli anni 2000 va ripensata con i partner”. Un nota positiva, è che tutti questi cambiamenti potranno contare su un’opinione favorevole alla scienza da parte della società al punto che, con la pandemia di Covid-19, nell’arco di due anni la fiducia degli italiani nei vaccini è aumentata del 14%, mentre i contrari sono il 4%, la metà rispetto alla media europea.

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Un topo chimera con geni che hanno almeno 400 milioni di anni

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Ottenuto un topo chimera le cui cellule sono state riprogrammate utilizzando i geni di un organismo antico almeno 422 milioni di anni. Il risultato, pubblicato sulla rivista Nature Communications da un gruppo di ricerca internazionale guidato dall’Università of Hong Kong, dimostra che i fattori che regolano l’attività delle cellule staminali animali sono molto più antichi del previsto. Probabilmente c’erano già quando gli animali multicellulari non esistevano ancora, e la scoperta promette di avere conseguenze importanti per la medicina rigenerativa.

Allo studio hanno collaborato le Università britanniche di Cambridge e Queen Mary di Londra e l’Istituto tedesco Max Planck. I geni utilizzati nell’esperimento si chiamano Sox2 e Pou, entrambi spingono le cellule adulte a regredire diventando pluripotenti, ossia capaci di svilupparsi assumendo qualsiasi identità. Tutti e due appartengono ai coanoflagellati, animali unicellulari vissuti almeno 422 milioni di anni fa e considerati i più vicini parenti degli animali sulla scala evolutiva. Una volta introdotti nelle cellule di topo, i geni Sox2 e Pou le hanno spinte a resettare il loro programma, facendole regredire allo stato di staminali; le stesse cellule sono state poi fatte crescere fino a ottenere un embrione che ha dato origine a un individuo: il topo chimera.

Le prove della completa integrazione delle cellule antiche nel suo Dna sono macchie di pelo nero e occhi scuri. “Ottenendo con successo un topo utilizzando strumenti molecolari dei nostri parenti unicellulari, siamo testimoni di una straordinaria continuità della loro funzione attraverso un miliardo di anni di evoluzione, osserva Alex de Mendoza, della Queen Mary University, uno degli autori della ricerca. Grazie a questo risultato l’insieme di strumenti della medicina rigenerativa si prepara a diventare più ricco ed efficiente. I nuovi geni si aggiungono infatti al cocktail di geni e fattori di crescita messo a punto nel 2012 da Shinya Yamanaka per riprogrammare le cellule adulte in staminali pluripotenti.

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L’Università Federico II di Napoli e la Nasa: una collaborazione per il futuro della mobilità aerea avanzata

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L’Università degli Studi di Napoli Federico II ha firmato un importante Space Act Agreement con la Nasa, aprendo la strada a cinque anni di collaborazione nel campo della Advanced Aerial Mobility (AAM). Questo accordo tra il Dipartimento di Ingegneria Industriale dell’ateneo napoletano e l’agenzia spaziale statunitense rappresenta un passo significativo nello sviluppo di tecnologie innovative per droni e taxi aerei elettrici.


Un accordo per il progresso tecnologico

Il progetto si concentra sullo sviluppo di tecnologie di sensing per migliorare la sicurezza e l’autonomia dei velivoli, in particolare in ambienti urbani. Giancarmine Fasano, professore associato di Impianti e sistemi aerospaziali, è il responsabile scientifico per l’università, mentre per la Nasa è Chester Dolph, del Langley Research Center.

Tra gli obiettivi principali ci sono:

  • Sviluppo di algoritmi avanzati per la rilevazione e il tracciamento di oggetti in volo.
  • Test sperimentali in Italia e negli Stati Uniti per verificare le tecnologie.
  • Collaborazione bilaterale con scambi di personale e know-how tra Federico II e Nasa.

Un ponte tra Napoli e la Nasa

La collaborazione con la Nasa nasce da interessi comuni di ricerca e da una solida esperienza dell’ateneo napoletano. Il primo passo è stato un periodo di visiting della dottoranda Federica Vitiello presso il Langley Research Center in Virginia.

Nel corso dei mesi, il rapporto si è rafforzato, portando a test innovativi come l’utilizzo del Lunar Landing Research Facility, una struttura storica del programma Apollo. Qui, i sensori sviluppati dall’Università sono stati testati, dimostrando la capacità di monitorare e controllare il volo in scenari complessi.


Tecnologie per la mobilità aerea urbana

Le tecnologie sviluppate si concentrano su sistemi di sensing ottici, come telecamere e radar, per la sorveglianza a bassa quota in ambienti urbani. Questo include:

  • Droni per il trasporto merci in città.
  • Taxi aerei elettrici, pensati per il trasporto di persone su distanze brevi.

Secondo il professor Fasano, l’obiettivo è creare soluzioni innovative che affrontino le sfide della mobilità aerea urbana, caratterizzata da spazi ristretti e una complessità elevata.


Il futuro della mobilità avanzata

L’accordo rappresenta un’opportunità unica per far progredire la ricerca e coinvolgere giovani talenti. Come spiega il professor Fasano:
“Questo è solo un punto di partenza. La collaborazione con la Nasa ci permette di sviluppare tecnologie che guideranno il futuro della mobilità aerea, integrando sicurezza, autonomia e innovazione.” 

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Economia

L’iPhone spinge Apple, ricavi sopra attese. Bene Amazon

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Apple e Amazon archiviano un trimestre sopra le attese e sperano di rassicurare Wall Street, innervosita dalle trimestrali non convincenti di Microsoft e Meta che hanno mandato in fumo i guadagni realizzati dai listini nel mese di ottobre. Il prezzo più salato lo ha pagato il Nasdaq che ha chiuso la seduta in calo del 2,76%. Lo S&P 500 ha perso l’1,86% e il Dow Jones lo 0,90%. Spinta dall’iPhone, Apple ha realizzato nel quarto trimestre dell’esercizio fiscale ricavi record a 94,9 miliardi di dollari, mentre l’utile è sceso del 35% a 14,7 miliardi a causa del pagamento della maxi sanzione per le tasse in Europa. I ricavi dall’iPhone sono saliti del 5,5% a 46,22 miliardi, circa la metà del totale, segnalando un netto cambio di rotta rispetto alla debolezza die primi sei mesi dell’anno.

In Cina i ricavi sono scesi dello 0,3% a 15,02 miliardi, sotto le attese degli analisti. Amazon ha chiuso il terzo trimestre con una solida crescita dell’utile e dei ricavi grazie alla domanda per i servizi di cloud computing. I ricavi sono saliti dell’11% a 158,9 miliardi, con Amazon Web Services cresciuta del 19% a 27,45 miliardi. L’utile netto è salito a 15,3 miliardi rispetto ai 9,9 miliardi dello stesso periodo dello scorso anno. I conti di Apple e Amazon potrebbe allentare i timori degli investitori, preoccupati – dopo le trimestrali di Microsoft e Meta – per la corsa senza freni all’intelligenza artificiale. Una preoccupazione che ha affondato Wall Street.

Nonostante la frenata dell’inflazione – l’indice Pce è sceso in ottobre al 2,1%, ai minimi dal 2021 – i listini americani hanno ceduto anche sotto il peso dell’attesa dell’occupazione americana e dell’incertezza delle elezioni, con Kamala Harris e Donald Trump testa a testa nei sondaggi. Venerdì è in calendario il dato sul mercato del lavoro che, secondo gli economisti, potrebbe essere il peggiore dell’era di Joe Biden con soli 110.000 posti di lavoro creati, meno della metà di quelli di settembre e la cifra più bassa dal 2020. A condizionare il dato sono gli uragani Helene e Milton, che hanno causato ingenti danni in North Carolina e in Florida, e lo sciopero in casa Boeing. Per i democratici e Kamala Harris la rilevazione rischia di rivelarsi una doccia fredda.

La campagna della vicepresidente è già in difficoltà sul fronte economico e una gelata dell’occupazione a quattro giorni dal voto potrebbe infliggerle un duro colpo. In attesa della fotografia del mercato del lavoro, Wall Street è arretrata con Big Tech. Se la trimestrale di Google aveva alleviato i timori sull’IA, i conti di Microsoft e Meta li hanno riaccesi. Pur presentando ricavi e utile sopra le attese, i due colossi hanno deluso con le loro stime, facendo crollare del 3,1% l’indice che monitora le Magnificent Seven (Apple, Amazon, Google, Tesla, Nvidia, Microsoft e Meta).

Redmond ha chiuso il primo trimestre dell’esercizio fiscale con utile netto in aumento dell’11% a 24,7 miliardi su ricavi cresciuti del 16% a 65,6 miliardi di dollari grazie alla domanda per il cloud computing spinta dal boom nell’adozione di strumenti di intelligenza artificiale. Microsoft ha previsto però un rallentamento della crescita delle attività cloud. Nel periodo luglio-settembre i ricavi di Meta sono invece saliti del 19% a 40,58 miliardi di dollari, mentre l’utile netto è balzato del 35% a 15,68 miliardi. Il colosso di Mark Zuckerberg ha paventato anche una “significativa” crescita delle spese di capitale per il prossimo anno. Le previsioni dei due giganti hanno innervosito gli investitori, tornati a temere che la corsa all’IA si sia spinta troppo in avanti: agli investimenti miliardari paventati, infatti, non corrispondo ancora risultati tangibili.

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