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Regionali 2020, l’assalto alla diligenza di De Luca che nessuno voleva

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Ogni tornata elettorale, politica o amministrativa, richiama sempre la massima attenzione per chi si candida alla gestione della cosa pubblica, a prescindere se animato da buoni propositi oppure, come nel caso di troppi, vogliono solo trasformare il Parlamento o la sala del Consiglio Regionale prossimo da rinnovare, in una improbabile mangiatoia, attorno la quale belve feroci già si beccano tra loro mentre si preparano per l’assalto finale.

In questi mesi in Campania il governatore De Luca, che prima della pandemia veniva osteggiato anche dal suo stesso partito, ha realizzato un vero capolavoro mediatico ed è stato capace di combattere il coronavirus a costo zero. Grazie al suo indiscutibile temperamento e alla sua immagine di uomo di polso, che pur ha rappresentato un momento di rinnovamento dell’immagine di noi Campani (anche se l’ombra della comicità si è allungata un po’ troppo spesso), ci ha convinti tutti a stare a casa, e noi lo abbiamo fatto come pochi in Italia e forse nel mondo. Questo ci ha donato un senso di rinnovato orgoglio e di fiera consapevolezza ma non possiamo di certo illuderci più di tanto. E soprattutto non possiamo abbassare la guardia di fronte a chi verrà a chiederci il voto nel solo  tentativo di alimentare il suo feudo di potere fine a se stesso, perché la nostra Terra resta comunque martoriata e saccheggiata dalla corruzione ad ogni livello e da una politica che negli ultimi decenni ha seguito pedissequamente quella nazionale, adottando dunque tagli indiscriminati proprio alla Sanità, il cui rilancio oggi si mette al primo posto nell’agenda delle promesse elettorali.

Così tutti in fila per un posto in lista, meglio se con il più quotato governatore uscente, perché i finti “miracoli” del Covid19, che tutto ha accelerato ma nulla ha messo a posto, hanno fatto dimenticare i responsabili del saccheggiamento e della lottizzazione di una Sanità che in Campania, da decenni, è stata progressivamente trasformata, anzi deformata, in fabbrica di voti e di profitti personali, spesso gestiti con la malavita organizzata. Ed i tanti operatori sanitari che sono morti per aver eroicamente combattuto il virus senza mezzi e senza protezioni, ne rappresentano la testimonianza più tragica.

Molti tra coloro che oggi scalciano per quel posto a Santa Lucia, da Destra a Sinistra passando per il Centro, sono proprio quelli che hanno fallito miseramente, come nel resto del Paese, gli stessi che hanno acconsentito allo smantellamento del Sud. Ma in Italia la politica non frena il suo precipitare e anche il movimento dei più ferventi rinnovatori, portatori di una discontinuità con questo mediocre passato, hanno in parte già tradito i loro intenti, preferendo scegliere, con scioccante cinismo da vecchi marpioni della politica,  di mantenere un Governo agonizzante  attraverso un’alleanza col il partito additato da sempre come il male assoluto. Sarà questo modo di fare figlio di una mutata forma influenzale che vive tra i palazzi della politica e che resiste da sempre ad ogni sanificazione, vaccino o cura? E così in questi giorni assistiamo ad un assalto alla diligenza di De Luca, tutti in fila e in ginocchio ad attendere un pollice alzato. Allo schieramento della continuità di centro sinistra fa eco la Lega, che al Sud vuole prendere un’altra valanga di voti promettendo un sicuro rilancio morale prima ancora che economico, dopo averci sputato addosso di tutto, mentre il reddito di cittadinanza continua ad essere elargito senza controlli e spesso finisce nelle mani di fannulloni e delinquenti che ringraziano chi invece ogni mattina va a lavorare spaccandosi la schiena anche per loro, in una nazione matta dove chi produce viene sistematicamente “punito” e costretto a pagare il conto per tutti. Ed ecco che allora l’odio diventa sempre più virale ed oggi esce pericolosamente dai social ed inizia ad incarnarsi in personaggi che predicano una visione antidemocratica del nostro ordinamento.

Mai come ora siamo ad un passo dal baratro ma questo poco importa, perché ora dobbiamo prepariamoci ad accogliere i futuri papabili candidati già agghindati con la bavetta al posto della cravatta, tutti pronti a recitare il solito sermone pre-elettorale: “Ciao, non ci sentiamo da tempo mannaggia, ma sai gli impegni…. Ascolta ora basta, qua le cose devono cambiare, ci serve una squadra di persone come te, per bene, oneste, valide, che ci facciano votare così appena sarò eletto cambiamo tutto e ripartiamo dal nostro territorio perché ora abbiamo dei riferimenti diversi, che sono già al lavoro per un vero rilancio“. Quante volte abbiamo sentito queste parole, quante volte ci siamo fatti mancare di rispetto così. Quante volte, troppe. Ma oggi, dopo tutta la sofferenza e le morti del coronavirus che passano anche per le nostre mancate scelte passate, ostaggio forse della nostra maledetta mitezza che ci fa assomigliare più a pecore che a veri cittadini, lasceremo che tutto questo accada di nuovo? A giudicare dalle schiere di servi che plaudono in questi giorni ai balletti dei soliti politicanti, pare proprio di sì. Evidentemente non siamo degni della nostra stupenda Italia e meriteremo la brutta fine che ci stiamo costruendo, perché continuare a non ribellarci a questo schifo ci renderà maledettamente complici della gentaglia che voteremo.

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Esteri

Da Putin a Gheddafi, i leader nel mirino dell’Aja

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Con il mandato d’arresto spiccato contro il premier israeliano Benyamin Netanyahu, insieme all’ex ministro della Difesa Yoav Gallant, si allunga la lista dei capi di Stato e di governo perseguiti dalla Corte penale internazionale con le accuse di crimini di guerra e crimini contro l’umanità. Da Muammar Gheddafi a Omar al Bashir, e più recentemente Vladimir Putin. Ultimo in ordine di tempo era stato appunto il presidente russo, accusato nel marzo del 2023 di “deportazione illegale” di bambini dalle zone occupate dell’Ucraina alla Russia, insieme a Maria Alekseyevna Lvova-Belova, commissaria per i diritti dei bambini del Cremlino.

Sempre a causa dell’invasione dell’Ucraina nel mirino della Corte sono finiti in otto alti gradi russi, tra cui l’ex ministro della Difesa Sergei Shoigu e l’attuale capo di stato maggiore Valery Gerasimov: considerati entrambi possibili responsabili dei ripetuti attacchi alle infrastrutture energetiche ucraine. Prima di Putin, nel 2011 l’Aja accusò di crimini contro l’umanità Muammar Gheddafi, ma il caso decadde con la morte del rais libico nel novembre dello stesso anno.

Un simile provvedimento fu emesso per il figlio Seif al Islam e per il capo dei servizi segreti Abdellah Senussi. Tra gli altri leader di spicco perseguiti, l’ex presidente sudanese Omar al Bashir: nel 2008 il procuratore capo della Corte Luis Moreno Ocampo lo accusò di essere responsabile di genocidio e crimini contro l’umanità e della guerra in Darfur cominciata nel 2003. Anche Laurent Gbagbo, ex presidente della Costa d’Avorio, è finito all’Aja, ma dopo un processo per crimini contro l’umanità è stato assolto nel 2021 in appello.

Nel 2016 la Corte penale internazionale ha condannato l’ex vicepresidente del Congo, Jean-Pierre Bemba, per assassinio, stupro e saccheggio in quanto comandante delle truppe che commisero atrocità continue e generalizzate nella Repubblica Centrafricana nel 2002 e 2003. Il signore della guerra ugandese Joseph Kony, che dovrebbe rispondere di ben 36 capi d’imputazione tra cui omicidio, stupro, utilizzo di bambini soldato, schiavitù sessuale e matrimoni forzati, è la figura ricercata dalla Cpi da più tempo: il suo mandato d’arresto venne spiccato nel 2005. Tra gli altri dossier aperti e su cui indaga l’Aja c’è l’inchiesta sui crimini contro la minoranza musulmana dei Rohingya in Birmania. Un’altra indagine è quella su presunti crimini contro l’umanità commessi dal governo del presidente venezuelano Nicolas Maduro. E non è solo l’Aja ad aver processato capi di Stato e di governo: nel 2001, l’ex presidente Slobodan Milosevic fu accusato di crimini di guerra, genocidio e crimini contro l’umanità dal Tribunale penale internazionale per l’ex Jugoslavia. Arrestato, morì d’infarto in cella all’Aja nel 2006, prima che il processo potesse concludersi.

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Esteri

Spagna, imprenditore sotto inchiesta denuncia: diedi 350mila euro a ministro e consulente

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L’imprenditore Victor de Aldama (nella foto col premier, che non è sotto accusa in questa inchiesta), uno dei principali accusati della rete di corruzione e tangenti al centro dell’inchiesta nota come ‘caso Koldo’, ha tentato oggi di coinvolgere numerosi esponenti dell’esecutivo, mentre il Psoe ha annunciato azioni legali per diffamazione. In dichiarazioni spontanee oggi davanti al giudice dell’Audiencia Nacional titolare dell’indagine, de Aldama ha segnalato anche il premier Pedro Sanchez, che a suo dire lo avrebbe ringraziato personalmente per la gestione che stava realizzando a favore di imprese spagnole in Messico, della quale “lo tenevano informato”, secondo fonti giuridiche presenti all’interrogatorio citate da vari media, fra i quali El Pais e Tve.

Al punto che lo stesso presidente avrebbe chiesto di conoscerlo, per ringraziarlo, in un incontro che – a detta dell’imprenditore, presidente del club Zamora CF e in carcere preventivo per altra causa – avvenne nel febbraio 2019 nel quartiere madrileno di La Latina, durante un meeting socialista. Un incontro che sarebbe documentato nella fotografia con Pedro Sanchez, pubblicata da El Mundo il 3 novembre scorso. Il presunto tangentista avrebbe sostenuto che Koldo Garcia, da cui deriva il nome del ‘caso Koldo’, divenne consulente dell’ex ministro dei Trasporti, José Luis Abalos, per decisione dello stesso Sanchez. Avrebbe sostenuto, inoltre, di aver consegnato tangenti per 250.000 euro ad Abalos e per 100.000 euro Koldo Garcia, arrivando a dire “io non sono la banca di Spagna, state esagerando”, secondo le fonti citate.

La rete di corruzione si sarebbe avvalsa dell’ex segretario di organizzazione del Psoe, Santos Cerdàn, al quale Aldama sostiene di aver consegnato una busta con 15.000 euro. Il tangentista avrebbe affermato anche si essersi riunito in varie occasioni con la ministra Teresa Ribera, per un presunto progetto di trasformazione di zone della Spagna disabitata in parchi tematici, secondo fonti giuridiche citate da radio Cadena ser. Un progetto al quale avrebbe partecipato anche Javier Hidalgo, Ceo di Globalia e al quale fu presente, in almeno una riunione, Begona Gomez, moglie di Pedro Sanchez. Fonti governative, riportate da Cadena Ser, definiscono un cumulo di menzogne le dichiarazioni di Aldana, che “non ha alcuna credibilità” ed è in carcere preventivo, per cui punterebbe a ottenere un trattamento favorevole in una prevedibile condanna.

“Il presidente del governo non ha né ha avuto alcuna relazione” con Aldama, segnalano le fonti. “Tutto quello che dice è totalmente falso”, ha dichiarato da parte sua ai cronisti Santos Cerdàn, “Questo signore non ha alcuna credibilità, sta tentando di salvarsi dal carcere. Non ha alcuna relazione con il presidente del governo, io non ho ricevuto mai denaro da lui e non lo conosco”, ha aggiunto l’esponente socialista, annunciando azioni .giudiziarie. Lo stesso ha fatto il portavoce parlamentare del Psoe, Patxi Lopez, che ha confermato “azioni legali” del partito della rosa nel pugno “perché la giustizia chiarisca tutte queste menzogne”.

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Esteri

Algoritmo di X favorisce Musk e i repubblicani

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Elon Musk ha cambiato l’algoritmo di X in suo favore e in quello dei repubblicani a partire dallo scorso 13 luglio, quando ha formalizzato l’endorsement a Donald Trump. A dare sostanza ai dubbi di una iper-presenza dell’imprenditore sulla piattaforma di sua proprietà è una ricerca australiana. Un artificio a cui il proprietario di Tesla e Space X era già ricorso un anno fa. Lo studio – a cura di Timothy Graham della Queensland University of Technology di Brisbane e Mark Andrejevic della Monash University di Melbourne – ha preso in esame i post pubblicati da Musk e da alcuni profili tra l’1 gennaio e il 25 ottobre 2024 e si è basato su un metodo statistico chiamato Cusum (Cumulative Sum).

In una prima fase si è concentrato sulle metriche dell’account personale di Musk certificando, dopo il 13 luglio 2024, un aumento del 138% delle visualizzazioni e del 238% dei repost. In una seconda fase l’analisi ha esaminato le metriche degli account dei repubblicani, sia politici sia utenti comuni, registrando solo un incremento delle visualizzazioni rispetto ai profili dei democratici. Sebbene i risultati siano preliminari, riflettono i ricercatori, suggeriscono “domande importanti sul potenziale impatto del cambiamento degli algoritmi nel discorso pubblico e sulla neutralità dei social come vettori di informazione”.

La precedente modifica dell’algoritmo di X era stata implementata a febbraio 2023, quando Musk aveva imposto agli ingegneri della piattaforma un cambiamento dopo aver scoperto che un suo post aveva ricevuto meno visualizzazioni di quello di Biden. Il miliardario oltre ad aver appoggiato formalmente Trump nella corsa alla presidenza ha speso più di 200 milioni di dollari per contribuire a rieleggerlo.

Dopo la sua vittoria, il presidente eletto ha annunciato che Musk guiderà un nuovo Dipartimento per l’efficienza governativa, il Doge. A seguito di un coinvolgimento sempre più massiccio di Elon Musk in politica, è iniziato un esodo da X in favore della piattaforma BlueSky, nata in sordina a ridosso dell’acquisto dell’ex Twitter da parte dell’imprenditore nell’ottobre 2022. Nelle ultime settimane l’alternativa a X ha superato i venti milioni di utenti, con un ritmo di crescita di un milione di nuovi utenti al giorno. Tra le migrazioni celebri, gli attori John Cusack, Guillermo del Toro, Ben Stiller, la cantante Dionne Warwick e il rapper Flavor Flav. Anche il Guardian è uscito dal social network a causa del diffondersi di “contenuti allarmanti”.

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