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Putin riapre la Borsa di Mosca, la Casa Bianca: è una farsa in stile Potemkin

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La guerra dichiarata da Putin non e’ solo quella insanguinata in Ucraina, ormai e’ chiaramente aperta anche quella economica contro un piu’ vasto fronte ‘occidentale’ e la gioca con le armi della Borsa e delle valute. “Quello che stiamo vedendo e’ un farsa: l’apertura di una Borsa Potemkin”: cosi’ la Casa Bianca commenta la riapertura, parziale e limitata, del mercato azionario russo, riferendosi ai falsi villaggi di cartapesta che, secondo la leggenda, l’omonimo principe fece costruire per impressionare l’imperatrice – e sua amante – Caterina II. Secondo gli Usa Mosca ha pompato risorse statali per sostenere le azioni delle societa’ che stanno operando in Borsa. “Dopo aver tenuto chiusi i mercati per quasi un mese, la Russia ha annunciato che consentira’ il trading solo al 15% delle azioni quotate, mentre agli stranieri e’ proibito vendere le loro azioni e lo short selling (la vendita allo scoperto, ndr) in generale e’ stato vietato”, sottolinea Daleep Sing, vice consigliere per la sicurezza nazionale con delega all’economia internazionale. “Nello stesso tempo – ha aggiunto – la Russia ha chiarito che sta riversando risorse governative per sostenere artificialmente le azioni delle compagnie che stanno vendendo. Questo non e’ un mercato reale e non e’ un modello sostenibile, che evidenzia solo l’isolamento della Russia dall’ordine economico internazionale finche’ continua la sua brutale guerra contro l’Ucraina”. La Borsa di Mosca sara’ aperta anche domani a mezzo servizio, con le contrattazioni limitate a 33 titoli dell’indice Moex, dalle 9 alle 14 ora di Mosca (dalle 7 alle 12 ora italiana). Per le altre azioni, i corporate bonds, gli eurobond, gli eurobond del governo russo, i bond regionali e municipali come pure per gli altri contratti future, annuncia la Banca centrale russa, sono invece previste speciali modalita’ di negoziazione. E la Russia risponde alle sanzioni, cercando di aggirarle, anche imponendo il pagamento in rubli dei contratti sull’acquisto di gas, un modo furbo per sostenere la valuta anche se appare in evidente violazione di un contratto. La decisione di Putin ha portato nel giro di poche ore a un apprezzamento del rublo sceso a 98 sul dollaro, che oggi torna invece a indebolirsi scambiato a 102. “E’ una mossa che era prevista, con il blocco dell’utilizzo delle valute estere, per poter sostenere il rublo. I contratti internazionali di fornitura del gas sono chiari, la valuta da utilizzare e’ il dollaro. E’ un altro braccio di ferro tra chi pone sanzioni e chi cerca di sostenere la sua economia messa a dura prova” minimizza il presidente di Confindustria, Carlo Bonomi. Non vuole che si abbassi la guardia invece il ministro degli esteri ucraino Dmytro Kuleba: “Se qualche paese Ue cedesse alle richieste umilianti di Putin di pagare il petrolio e il gas in rubli, sara’ come aiutare l’Ucraina con una mano e aiutare i russi a uccidere gli ucraini con l’altra”. Ma nessun sembra essere cascato nel tranello e l’Europa risponde con una voce sola: “Oggi Bruxelles e’ il centro del mondo libero. Abbiamo deciso di intensificare il nostro sostegno all’Ucraina, inasprire le sanzioni contro la Russia e liberarci dai combustibili fossili russi”, ha detto la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen arrivando al consiglio europeo dopo il G7. “Domani insieme al presidente Biden presenteremo un nuovo capitolo nel nostro partenariato energetico. Si tratta di Gnl aggiuntivo dagli Stati Uniti per l’Unione europea, che sostituisce il Gnl della Russia. Intanto pero’ il prezzo del gas ad Amsterdam, salito ieri del 18% dopo la richiesta di Mosca di pagare in rubli, avanza anche oggi del 3% a 120,5 euro al megawattora, rientrando da un rialzo massimo di quasi il 10%.

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La trumpiana Greene lavorerà con Musk e Ramaswamy a taglio costi

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La trumpiana di ferro Marjorie Taylor Greene collaborerà con Elon Musk e Vivek Ramaswamy come presidente di una commissione della Camera incaricata di lavorare con il Dipartimento dell’efficienza. “Sono contenta di presiedere questa nuova commissione che lavorerà mano nella mano con il presidente Trump, Musk, Ramaswamy e l’intera squadra del Doge”, acronimo del Department of Government Efficiency, ha detto Greene, spiegando che la commissione si occuperà dei licenziamenti dei “burocrati” del governo e sarà trasparente con le sue audizioni. “Nessun tema sarà fuori dalla discussione”, ha messo in evidenza Greene.

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Pam Bondi, fedelissima di Trump a ministero Giustizia

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Donald Trump nomina la fedelissima Pam Bondi a ministra della Giustizia. L’ex procuratrice della Florida ha collaborato con il presidente eletto durante il suo primo impeachment. “Come prima procuratrice della Florida si è battuta per fermare il traffico di droga e ridurre il numero delle vittime causate dalle overdosi di fentanyl. Ha fatto un lavoro incredibile”, afferma Trump sul suo social Truth annunciando la nomina, avvenuta dopo il ritito di Matt Gaetz travolto da scandali a sfondo sessuale. “Per troppo tempo il Dipartimento di Giustizia è stato usato contro di me e altri repubblicani. Ma non più. Pam lo riporterà al suo principio di combattere il crimine e rendere l’America sicura.

E’ intelligente e tosta, è una combattente per l’America First e farà un lavoro fantastico”, ha aggiunto il presidente-eletto. Bondi è stata procuratrice della Florida fra il 2011 e il 2019, quando era governatore Rick Scott. Al momento presiede il Center for Litigation all’America First Policy Institute, un think tank di destra che sta lavorando con il transition team di Trump sull’agenda amministrativa. Come procuratrice della Florida si è attirata l’attenzione nazionale per i suoi tentativi di capovolgere l’Obamacare, ma anche per la decisione di condurre un programma su Fox mentre era ancora in carica e quella di chiedere al governatore Scott di posticipare un’esecuzione per un conflitto con un evento di raccolta fondi.

La nomina di Bondi arriva a sei ore di distanza dal ritiro di Gaetz dalla corsa a ministro della Giustizia dopo le nuove rivelazioni sullo scandalo sessuale che lo ha travolto. Prima dell’annuncio, l’ex deputato della Florida era stato contattato da Trump che gli aveva riferito che la sua candidatura non aveva i voti necessari per essere confermata in Seanto. Almeno quattro senatori repubblicani, infatti, si era espressi contro e si erano mostrati irremovibili a cambiare posizione. Il nome di Bondi, riporta Cnn, era già nell’iniziale lista dei papabili ministro alla giustizia stilata prima di scegliere Gaetz. Quando l’ex deputato ha annunciato il suo passo indietro, il nome di Bondi è iniziato a circolare con insistenza fino all’annuncio.

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Da Putin a Gheddafi, i leader nel mirino dell’Aja

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Con il mandato d’arresto spiccato contro il premier israeliano Benyamin Netanyahu, insieme all’ex ministro della Difesa Yoav Gallant, si allunga la lista dei capi di Stato e di governo perseguiti dalla Corte penale internazionale con le accuse di crimini di guerra e crimini contro l’umanità. Da Muammar Gheddafi a Omar al Bashir, e più recentemente Vladimir Putin. Ultimo in ordine di tempo era stato appunto il presidente russo, accusato nel marzo del 2023 di “deportazione illegale” di bambini dalle zone occupate dell’Ucraina alla Russia, insieme a Maria Alekseyevna Lvova-Belova, commissaria per i diritti dei bambini del Cremlino.

Sempre a causa dell’invasione dell’Ucraina nel mirino della Corte sono finiti in otto alti gradi russi, tra cui l’ex ministro della Difesa Sergei Shoigu e l’attuale capo di stato maggiore Valery Gerasimov: considerati entrambi possibili responsabili dei ripetuti attacchi alle infrastrutture energetiche ucraine. Prima di Putin, nel 2011 l’Aja accusò di crimini contro l’umanità Muammar Gheddafi, ma il caso decadde con la morte del rais libico nel novembre dello stesso anno.

Un simile provvedimento fu emesso per il figlio Seif al Islam e per il capo dei servizi segreti Abdellah Senussi. Tra gli altri leader di spicco perseguiti, l’ex presidente sudanese Omar al Bashir: nel 2008 il procuratore capo della Corte Luis Moreno Ocampo lo accusò di essere responsabile di genocidio e crimini contro l’umanità e della guerra in Darfur cominciata nel 2003. Anche Laurent Gbagbo, ex presidente della Costa d’Avorio, è finito all’Aja, ma dopo un processo per crimini contro l’umanità è stato assolto nel 2021 in appello.

Nel 2016 la Corte penale internazionale ha condannato l’ex vicepresidente del Congo, Jean-Pierre Bemba, per assassinio, stupro e saccheggio in quanto comandante delle truppe che commisero atrocità continue e generalizzate nella Repubblica Centrafricana nel 2002 e 2003. Il signore della guerra ugandese Joseph Kony, che dovrebbe rispondere di ben 36 capi d’imputazione tra cui omicidio, stupro, utilizzo di bambini soldato, schiavitù sessuale e matrimoni forzati, è la figura ricercata dalla Cpi da più tempo: il suo mandato d’arresto venne spiccato nel 2005. Tra gli altri dossier aperti e su cui indaga l’Aja c’è l’inchiesta sui crimini contro la minoranza musulmana dei Rohingya in Birmania. Un’altra indagine è quella su presunti crimini contro l’umanità commessi dal governo del presidente venezuelano Nicolas Maduro. E non è solo l’Aja ad aver processato capi di Stato e di governo: nel 2001, l’ex presidente Slobodan Milosevic fu accusato di crimini di guerra, genocidio e crimini contro l’umanità dal Tribunale penale internazionale per l’ex Jugoslavia. Arrestato, morì d’infarto in cella all’Aja nel 2006, prima che il processo potesse concludersi.

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