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Esteri

Putin conclude la mobilitazione: 82.000 militari sono già al fronte

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Molti uomini russi tirano, per ora, un sospiro di sollievo. Il ministro della Difesa Serghei Shoigu ha garantito loro che non saranno richiamati alle armi per andare a combattere in Ucraina, dichiarando concluse le operazioni per la mobilitazione parziale proclamata da Vladimir Putin il 21 settembre. Il presidente, ricevendo al Cremlino il titolare della Difesa, ha ringraziato, ma non ha nascosto qualche segno di irritazione per la confusione che ha accompagnato soprattutto i primi giorni di arruolamento, contribuendo a diffondere il nervosismo e spingendo migliaia di russi a lasciare il Paese. E’ vero, ha concesso Putin, che “da molto tempo non c’erano in Russia operazioni del genere”, e quindi “problemi e difficoltà erano probabilmente inevitabili”. Ma dagli errori commessi nelle liste degli arruolati, che hanno creato uno stato di incertezza fra tutta la popolazione maschile, bisogna trarre una lezione. “Tutto il sistema, il lavoro dei distretti militari va modernizzato”, ha ordinato il presidente. Ma le tirate d’orecchie non finiscono qui, e riguardano anche il grado di preparazione dell’esercito, messo alla prova dall’operazione in Ucraina. “Occorre fare di tutto per migliorare in tempi brevi lo sviluppo delle forze armate”, ha detto Putin a Shoigu, ordinandogli di presentargli entro dicembre proposte operative. Per il momento Shoigu ha chiarito che è stato raggiunto il numero di 300.000 mobilitati chiesti da Putin. Di questi, 82.000 sono già stati inviati nella zona di operazioni, ma non più di 41.000 sono inquadrati in unità combattenti. L’importante, sottolinea Putin, è accertarsi che chi viene inviato al fronte sia bene addestrato e bene equipaggiato. Shoigu gli ha assicurato che è così. Ma qualcuno non è d’accordo. Il deputato della Duma Maxim Ivanov, eletto nella regione di Sverdlovsk, ha denunciato che dalla sua circoscrizione nei primi giorni di mobilitazione 86 cittadini sono stati mandati in Ucraina senza il necessario addestramento. “Una situazione inaccettabile”, ha aggiunto il parlamentare, citato dal sito indipendente Meduza, parlando di “un’ondata” di proteste da parte di mogli e madri degli arruolati. Tra i settori più efficienti nelle forze armate Putin ha citato quello missilistico. Una circostanza che sembra provata dai ripetuti raid che nelle ultime settimane hanno gravemente danneggiato le centrali elettriche lasciando al buio vaste regioni dell’Ucraina. Gli ultimi bombardamenti russi, ha riferito il governatore della regione di Zaporizhzhia, hanno danneggiato nelle prime ore del mattino di oggi le linee elettriche nella città di Nikopol. Il presidente Volodymyr Zelensky ha detto che dalla data fatidica del 24 febbraio i russi hanno effettuato 4.500 attacchi missilistici sull’Ucraina. E l’Aeronautica militare ha affermato di avere finora abbattuto ben 300 droni kamikaze iraniani Shahed-136. A questo proposito il ministro degli Esteri ucraino Dmytro Kuleba ha avuto un colloquio telefonico con il suo omologo di Teheran, Hossein Amirabdollahian, chiedendo che la Repubblica islamica smetta “immediatamente” di fornire questi armamenti alla Russia. Ma potrebbe essere una battaglia di terra ad avere l’impatto più profondo. Quella per Kherson occupata dai russi, nel sud, dove è stato annunciato il completamento dell’evacuazione dei civili in vista di un massiccio tentativo di sfondamento ucraino. Il leader ceceno filo-Cremlino, Ramzan Kadyrov, ha ammesso che in questa regione 23 suoi combattenti sono rimasti uccisi dall’artiglieria ucraina. Su questo sfondo risalta l’appello ai negoziati lanciato dalla Cina dopo una telefonata tra i ministri degli Esteri di Pechino e Mosca. “L’auspicio è che tutte le parti interessate intensifichino gli sforzi diplomatici e spingano per la riduzione e persino la risoluzione della situazione il prima possibile”, ha detto il portavoce del ministero degli Esteri cinese, Wang Wenbin.

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Da Putin a Gheddafi, i leader nel mirino dell’Aja

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Con il mandato d’arresto spiccato contro il premier israeliano Benyamin Netanyahu, insieme all’ex ministro della Difesa Yoav Gallant, si allunga la lista dei capi di Stato e di governo perseguiti dalla Corte penale internazionale con le accuse di crimini di guerra e crimini contro l’umanità. Da Muammar Gheddafi a Omar al Bashir, e più recentemente Vladimir Putin. Ultimo in ordine di tempo era stato appunto il presidente russo, accusato nel marzo del 2023 di “deportazione illegale” di bambini dalle zone occupate dell’Ucraina alla Russia, insieme a Maria Alekseyevna Lvova-Belova, commissaria per i diritti dei bambini del Cremlino.

Sempre a causa dell’invasione dell’Ucraina nel mirino della Corte sono finiti in otto alti gradi russi, tra cui l’ex ministro della Difesa Sergei Shoigu e l’attuale capo di stato maggiore Valery Gerasimov: considerati entrambi possibili responsabili dei ripetuti attacchi alle infrastrutture energetiche ucraine. Prima di Putin, nel 2011 l’Aja accusò di crimini contro l’umanità Muammar Gheddafi, ma il caso decadde con la morte del rais libico nel novembre dello stesso anno.

Un simile provvedimento fu emesso per il figlio Seif al Islam e per il capo dei servizi segreti Abdellah Senussi. Tra gli altri leader di spicco perseguiti, l’ex presidente sudanese Omar al Bashir: nel 2008 il procuratore capo della Corte Luis Moreno Ocampo lo accusò di essere responsabile di genocidio e crimini contro l’umanità e della guerra in Darfur cominciata nel 2003. Anche Laurent Gbagbo, ex presidente della Costa d’Avorio, è finito all’Aja, ma dopo un processo per crimini contro l’umanità è stato assolto nel 2021 in appello.

Nel 2016 la Corte penale internazionale ha condannato l’ex vicepresidente del Congo, Jean-Pierre Bemba, per assassinio, stupro e saccheggio in quanto comandante delle truppe che commisero atrocità continue e generalizzate nella Repubblica Centrafricana nel 2002 e 2003. Il signore della guerra ugandese Joseph Kony, che dovrebbe rispondere di ben 36 capi d’imputazione tra cui omicidio, stupro, utilizzo di bambini soldato, schiavitù sessuale e matrimoni forzati, è la figura ricercata dalla Cpi da più tempo: il suo mandato d’arresto venne spiccato nel 2005. Tra gli altri dossier aperti e su cui indaga l’Aja c’è l’inchiesta sui crimini contro la minoranza musulmana dei Rohingya in Birmania. Un’altra indagine è quella su presunti crimini contro l’umanità commessi dal governo del presidente venezuelano Nicolas Maduro. E non è solo l’Aja ad aver processato capi di Stato e di governo: nel 2001, l’ex presidente Slobodan Milosevic fu accusato di crimini di guerra, genocidio e crimini contro l’umanità dal Tribunale penale internazionale per l’ex Jugoslavia. Arrestato, morì d’infarto in cella all’Aja nel 2006, prima che il processo potesse concludersi.

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Mandato di arresto della Corte Penale Internazionale contro Netanyahu e Gallant: accuse e reazioni

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La Corte Penale Internazionale (CPI) ha emesso un mandato di arresto internazionale nei confronti del premier israeliano Benjamin Netanyahu e dell’ex ministro della Difesa Yoav Gallant. La decisione riguarda le accuse legate alle azioni militari israeliane durante la guerra a Gaza e ha suscitato reazioni contrastanti a livello internazionale.

Le accuse della Corte Penale Internazionale

Secondo la Camera preliminare I della CPI, esistono fondati motivi per ritenere che azioni come il blocco dell’accesso a cibo, acqua, elettricità e forniture mediche abbiano creato condizioni di vita tali da causare la morte di civili nella Striscia di Gaza, inclusi bambini.

La corte ha precisato che, pur non potendo confermare tutti gli elementi necessari per configurare il crimine di sterminio come crimine contro l’umanità, ha riscontrato prove sufficienti per l’accusa di omicidio come crimine contro l’umanità.

La reazione di Israele

La decisione della CPI è stata duramente criticata dal presidente israeliano Isaac Herzog, che l’ha definita un “giorno buio per la giustizia e l’umanità”. Secondo Herzog, la decisione è “presa in malafede” e rappresenta una distorsione della giustizia internazionale.

Il presidente ha anche evidenziato che:

  • La corte “ignora la difficile situazione degli ostaggi israeliani” detenuti da Hamas.
  • Non considera l’uso di civili come scudi umani da parte di Hamas.
  • Trascura il diritto di Israele a difendersi dopo l’attacco subito.

Herzog ha inoltre accusato la CPI di schierarsi con il terrore anziché con la democrazia e la libertà, sottolineando il rischio di destabilizzazione regionale causato dall’”impero iraniano del male”.

Le implicazioni della decisione

La decisione della CPI ha messo in discussione il delicato equilibrio tra il diritto internazionale e la sovranità nazionale. Da un lato, le accuse sottolineano presunte violazioni del diritto umanitario internazionale; dall’altro, il governo israeliano sostiene che la corte stia ignorando le circostanze che hanno portato al conflitto, come gli attacchi subiti e la necessità di difesa.

Questo mandato di arresto solleva interrogativi su come le istituzioni internazionali possano bilanciare il perseguimento della giustizia con il riconoscimento delle complessità dei conflitti moderni.

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Spagna, imprenditore sotto inchiesta denuncia: diedi 350mila euro a ministro e consulente

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L’imprenditore Victor de Aldama (nella foto col premier, che non è sotto accusa in questa inchiesta), uno dei principali accusati della rete di corruzione e tangenti al centro dell’inchiesta nota come ‘caso Koldo’, ha tentato oggi di coinvolgere numerosi esponenti dell’esecutivo, mentre il Psoe ha annunciato azioni legali per diffamazione. In dichiarazioni spontanee oggi davanti al giudice dell’Audiencia Nacional titolare dell’indagine, de Aldama ha segnalato anche il premier Pedro Sanchez, che a suo dire lo avrebbe ringraziato personalmente per la gestione che stava realizzando a favore di imprese spagnole in Messico, della quale “lo tenevano informato”, secondo fonti giuridiche presenti all’interrogatorio citate da vari media, fra i quali El Pais e Tve.

Al punto che lo stesso presidente avrebbe chiesto di conoscerlo, per ringraziarlo, in un incontro che – a detta dell’imprenditore, presidente del club Zamora CF e in carcere preventivo per altra causa – avvenne nel febbraio 2019 nel quartiere madrileno di La Latina, durante un meeting socialista. Un incontro che sarebbe documentato nella fotografia con Pedro Sanchez, pubblicata da El Mundo il 3 novembre scorso. Il presunto tangentista avrebbe sostenuto che Koldo Garcia, da cui deriva il nome del ‘caso Koldo’, divenne consulente dell’ex ministro dei Trasporti, José Luis Abalos, per decisione dello stesso Sanchez. Avrebbe sostenuto, inoltre, di aver consegnato tangenti per 250.000 euro ad Abalos e per 100.000 euro Koldo Garcia, arrivando a dire “io non sono la banca di Spagna, state esagerando”, secondo le fonti citate.

La rete di corruzione si sarebbe avvalsa dell’ex segretario di organizzazione del Psoe, Santos Cerdàn, al quale Aldama sostiene di aver consegnato una busta con 15.000 euro. Il tangentista avrebbe affermato anche si essersi riunito in varie occasioni con la ministra Teresa Ribera, per un presunto progetto di trasformazione di zone della Spagna disabitata in parchi tematici, secondo fonti giuridiche citate da radio Cadena ser. Un progetto al quale avrebbe partecipato anche Javier Hidalgo, Ceo di Globalia e al quale fu presente, in almeno una riunione, Begona Gomez, moglie di Pedro Sanchez. Fonti governative, riportate da Cadena Ser, definiscono un cumulo di menzogne le dichiarazioni di Aldana, che “non ha alcuna credibilità” ed è in carcere preventivo, per cui punterebbe a ottenere un trattamento favorevole in una prevedibile condanna.

“Il presidente del governo non ha né ha avuto alcuna relazione” con Aldama, segnalano le fonti. “Tutto quello che dice è totalmente falso”, ha dichiarato da parte sua ai cronisti Santos Cerdàn, “Questo signore non ha alcuna credibilità, sta tentando di salvarsi dal carcere. Non ha alcuna relazione con il presidente del governo, io non ho ricevuto mai denaro da lui e non lo conosco”, ha aggiunto l’esponente socialista, annunciando azioni .giudiziarie. Lo stesso ha fatto il portavoce parlamentare del Psoe, Patxi Lopez, che ha confermato “azioni legali” del partito della rosa nel pugno “perché la giustizia chiarisca tutte queste menzogne”.

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