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Salute

Primo trapianto trachea, utile anche a pazienti Covid

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La trachea, il ‘tubo’ che collega la laringe ai polmoni da cui passa l’aria che respiriamo, puo’ sembrare un organo ‘semplice’ rispetto a cuore o fegato, eppure per il suo trapianto si e’ dovuto aspettare molto di piu’ rispetto agli altri. Ci sono riusciti i chirurghi dell’ospedale Mount Sinai di New York, e se la tecnica sviluppata prendera’ piede potra’ aiutare anche molti pazienti Covid che hanno l’organo danneggiato a causa dell’intubazione. L’intervento, spiega il comunicato della clinica, e’ avvenuto lo scorso 13 gennaio, e la paziente, una donna di 56 anni ex assistente sociale che aveva avuto danni alla trachea per una serie di intubazioni dovute ad attacchi d’asma di nome Sonia Sein, e’ attualmente in buona salute. “Mi sono sentita bene subito dopo l’intervento, potevo respirare – ha raccontato Sein alla Cnn -. Quel primo respiro e’ stato il paradiso”. La trachea e’ sempre stata considerata molto difficile da trapiantare per la complessita’ dei vasi sanguigni che la percorrono. A causare danni gravi, oltre alle intubazioni, possono essere tumori, traumi o difetti congeniti. L’intervento e’ durato 18 ore e ha richiesto oltre 50 specialisti: la trachea e’ stata prelevata dal donatore e ricostruita nel ricevente, e sono stati collegati i diversi piccoli vasi sanguigni che portano ossigeno all’organo, usando nel frattempo una porzione dell’esofago e della tiroide per fornire il sangue al tessuto che veniva ricostruito. “Per la prima volta possiamo offrire una opzione terapeutica ai pazienti con difetti gravi della trachea – afferma Eric Genden, a capo del team -. Questo e’ particolarmente tempestivo dato il crescente numero di pazienti con problemi tracheali dovuti all’intubazione per il Covid. Il nostro protocollo di trapianto e rivascolarizzazione e’ affidabile, riproducibile e tecnicamente avanzato. Per anni l’opinione medica e scientifica comune e’ stata che il trapianto di trachea non potesse essere effettuato a causa della complessita’ dell’organo, che rende la rivascolarizzazione impossibile, e qualsiasi altro tentativo precedente e’ fallito. Questo progresso e’ il culmine di 30 anni di ricerca, iniziata quando ero ancora uno studente di medicina al Mount Sinai”. Nei decenni passati sono stati diversi i tentativi di intervento sulla trachea. Il chirurgo italiano Paolo Macchiarini ha tentato la via della ricostruzione dell’organo con le staminali, ma la sua linea di ricerca e’ stata fortemente contestata dal Karolinska Institut di Stoccolma, dove operava, e non ha mai preso piede. Nel 2018 in Francia invece e’ stata utilizzata l’aorta di un donatore, stabilizzata da una struttura artificiale e ‘trasformata’ in trachea.

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Proteine e test per diagnosi, nuove frontiere sulla Sla

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Nove progetti di ricerca sulla Sla, dallo sviluppo di un nuovo test diagnostico all’identificazione di possibili biomarcatori tramite lo studio del ruolo svolto dal muscolo scheletrico nella malattia. Con un finanziamento di 840mila euro, AriSLA, Fondazione italiana di ricerca per la Sla Ets, supporterà i progetti, coinvolgendo 15 gruppi di lavoro distribuiti in sette diverse regioni italiane Tra i nuovi studi, due sono quelli quelli ‘full grant’, cioè che sviluppano ambiti di studio promettenti, basati su solidi dati preliminari. ‘Defineals’, coordinato da Gianluigi Zanusso dell’Università di Verona, ha l’obiettivo di sviluppare un test affidabile per diagnosticare e monitorare la progressione della Sla correlata a TDP-43, una proteina che in condizioni normali svolge un ruolo fondamentale in diverse funzioni cellulari, e nei pazienti con Sla risulta aggregata.

Saranno raccolti tramite tampone nasale campioni da 60 pazienti con diagnosi di probabile Sla e da 60 soggetti controllo (30 controlli sani e 30 con altre patologie neurologiche). Per la ricerca della proteina TDP-43 sui campioni saranno effettuati studi immunocitochimici e molecolari. Il progetto ‘MoonAls’, coordinato da Giovanni Nardo dell’Istituto di Ricerche farmacologiche Mario Negri Irccs di Milano, studierà la fisiopatologia della Sla indagando il ruolo svolto dal muscolo scheletrico nella malattia per identificare possibili biomarcatori. In particolare, nei modelli murini a lenta e rapida progressione e nelle colture cellulari verranno studiate le molecole rilasciate dalle cellule satellite, ossia le cellule staminali del muscolo scheletrico, per verificare se possono contrastare l’atrofia muscolare indotta dalla Sla.

Infine, sarà valutato l’effetto del trapianto di cellule satellite sull’atrofia muscolare e sulla progressione della Sla in modelli murini. Gli altri sette progetti sono ‘Plot Grant’, ossia studi esplorativi con lo scopo di sperimentare idee innovative. ‘Flygen’, coordinato da Arianna Manini dell’Istituto Auxologico Italiano di Milano, intende identificare nuove cause genetiche di Sla in pazienti con un’alta probabilità di avere mutazioni genetiche, come quelli con forte storia familiare di Sla o esordio estremamente precoce, sinora non diagnosticati dal punto di vista genetico. Tra questi, anche il progetto coordinato da Riccarda Granata dell’Università degli Studi di Torino, nel quale saranno valutati gli effetti protettivi della molecola Mr-409, e quello coordinato da Antonio Orlacchio dell’Università di Perugia, con il quale si mira a identificare nuovi geni correlati alla Sla giovanile.

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Salute

Lotta a tumori, scoperto meccanismo metastasi cerebrali

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Un passo avanti nella lotta contro il cancro è stato annunciato a Torino. E si misura sulla distanza di una proteina. Il progetto di ricerca europeo Rise-Brain, al quale hanno preso parte anche due specialisti della Città della Salute e dell’Università del capoluogo piemontese, ha portato all’identificazione di uno dei meccanismi che contribuiscono alla formazione delle metastasi cerebrali. Le ricadute possono essere di grande portata: il perfezionamento delle prognosi, la scelta dei percorsi terapeutici e l’approfondimento di nuovi approcci legati all’immunoterapia sono alcuni degli esempi. È una proteina chiamata Timp1, o meglio ancora il suo comportamento, a concentrare l’attenzione dei ricercatori.

Il punto di partenza è stata la valutazione di modelli derivati da campioni di metastasi cerebrali di pazienti affetti da tumori ad elevata incidenza (prevalentemente di origine polmonare e mammaria). Si è cercato di indagare sul ‘sistema’ che blocca la risposta immunitaria, permettendo alla formazione cancerosa di continuare a svilupparsi. I sospetti si sono appuntati sull’interazione fra un gruppo specifico di cellule cerebrali, le astrociti, e un sottogruppo di linfociti citotossici. E il colpevole, per così dire, è la Timp1, che di questa interazione, secondo gli studiosi, è un “elemento fondamentale”.

“Le metastasi cerebrali – spiegano dalla Città della Salute – sono molto frequenti in alcuni tipi di tumori e sono associate a un decorso particolarmente aggressivo. In quelli polmonari possono interessare fino al 30% dei pazienti. L’immunoterapia è stata una rivoluzione che ha consentito miglioramenti significativi nelle prognosi anche in fase avanzata della malattia, ma i risultati, fino ad oggi, restavano variabili e difficilmente prevedibili nel singolo caso”. Almeno due, adesso, sono le strade che si aprono di fronte a questa scoperta. Lo studio ha dimostrato che è possibile misurare la quantità di Timp1 a livello del liquor, un liquido circolante a livello cerebrale e nel midollo spinale: un prelievo liquorale, relativamente semplice e poco invasivo, dovrebbe quindi permettere di identificare i pazienti con maggiore probabilità di rispondere al trattamento attraverso un approccio di biopsia liquida. Inoltre il meccanismo che stoppa la controreazione immunitaria potrà diventare un bersaglio per nuovi approcci di immunoterapia capaci di controllare la progressione del tumore.

Alla ricerca, i cui esiti sono stati pubblicati sulla rivista scientifica Cancer Discovery, hanno lavorato da Torino il professor Luca Bertero, del dipartimento di Scienze mediche dell’Ateneo subalpino, e la dottoressa Alessia Pellerino, dell’ospedale Molinette. Giovanni La Valle, direttore generale della Città della Salute, parla di “scoperta importantissima che potrà dare una svolta nelle terapie delle metastasi cerebrali”. “Ancora una volta – sottolinea l’assessore regionale alla sanità, Federico Riboldi – si dimostra quanto la Sanità piemontese riesca a conciliare al massimo sia la parte assistenziale sia quella della ricerca”.

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Sciopero medici e infermieri: ora dimissioni di massa

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Chiedono “rispetto” e urlano “vergogna” al governo, che ha messo in campo una manovra “senza risorse sufficienti per salvare il Servizio sanitario nazionale ed i suoi professionisti”. Medici ed infermieri oggi sono scesi in piazza per lo sciopero nazionale di 24 ore indetto da Anaao Assomed (medici ospedalieri), Cimo Fesmed e Nursing up: se non basterà, è il messaggio dei sindacati dal palco della manifestazione a Piazza Santi Apostoli a Roma, “andremo avanti, fino alle dimissioni di massa”. La protesta ha toccato un’adesione dell’85% secondo i sindacati, ma il ministro della Salute Orazio Schillaci, al Tg1, sottolinea: “Verificheremo domani quelli che saranno i dati ufficiali sull’adesione allo sciopero, credo inferiori a questi numeri”.

E’ stata comunque bassa l’adesione media in Veneto (sotto il 5%) ed in Umbria è stata invece alta “l’adesione morale”: molti medici sono andati al lavoro per garantire lo smaltimento delle liste d’attesa rinunciando al pagamento della giornata. Da parte sua, Schillaci ha sottolineato che “questo è il governo che ha messo più soldi sulla sanità pubblica: sono stati stanziati oltre 35 miliardi nei prossimi 5 anni. Abbiamo aumentato le indennità di specificità dei medici e l’abbiamo introdotta anche per gli infermieri, e spero che nella manovra si possa aggiungere qualcosa su questo capitolo”. Quanto alle affermazioni della leader del Pd Elly Schlein secondo cui il governo “sta smantellando la sanità pubblica”, Schillaci commenta: “Credo che questa sia solo propaganda”.

Negli ospedali non sono comunque mancati i disagi, anche se la Federazione delle aziende sanitarie e ospedaliere (Fiaso) ha precisato che lo sciopero di medici, dirigenti sanitari, infermieri e altre professioni sanitarie ha fatto registrare limitate criticità nell’erogazione dei servizi ai cittadini, con “minimi disagi rilevati a macchia di leopardo nel territorio nazionale”. Secondo i sindacati, però, a saltare sono stati 1,2 milioni di prestazioni: i servizi di assistenza, esami radiografici (50mila), 15mila interventi chirurgici programmati e 100mila visite specialistiche. Garantite, invece, le prestazioni d’urgenza. La protesta, precisano le organizzazioni – che parlano anche di un eccesso di precettazioni da parte delle Asl – non è ovviamente ‘contro’ i cittadini: “Se siamo qui in piazza – afferma il segretario Anaao, Pierino Di Silverio, dal palco – è proprio per i pazienti.

Negli ospedali le condizioni sono ormai inaccettabili”. Sfidando la pioggia ed il cielo grigio, circa 1000 tra medici e infermieri affollano muniti di bandiere la piazza romana. Le parole più urlate sono ‘Rispetto’ e ‘Vergogna’. Di Silverio, con i presidenti di Cimo Guido Quici e di Nursing up Antonio De Palma, espone le ragioni della protesta: “Viviamo in una condizione che definire drammatica è poco: stipendi bassi, strutture fatiscenti, violenza, assenza di medicina sul territorio. E dopo 15 anni di costanti disinvestimenti nella Sanità pubblica, il governo non si vergogna con questa manovra di elargire 14 euro in più al mese ai medici e 7 agli infermieri, a fronte di zero assunzioni e di una legge di Bilancio 2025 che conferma la riduzione del finanziamento per la sanità”.

E la protesta non finisce con lo sciopero di oggi: “Arriveremo ad azioni estreme e alle dimissioni di massa”. Medici e infermieri si sono rivolti anche alla premier Giorgia Meloni, con una lettera in cui denunciano investimenti insufficienti e chiedono un rilancio vero del Ssn ed un incontro urgente. Solidarietà arriva dai medici di famiglia della Fimmg: “Se necessario, anche la Medicina Generale è pronta ad azioni di protesta”. Vicinanza è espressa da esponenti del Pd, mentre Angelo Bonelli (Avs) ricorda che 4,5 milioni di italiani rinunciano alle cure a causa delle lunghe liste d’attesa e 2,5 milioni non possono permettersele per ragioni economiche. Netta, invece, la posizione di FdI: “Rispetto lo sciopero, ma stiamo facendo il possibile per migliorare la situazione”, afferma il vicecapogruppo alla Camera, Alfredo Antoniozzi.

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