Meno tasse soprattutto per chi guadagna poco. Lavoro stabile, soprattutto per le donne. Riforma delle pensioni, soprattutto per i giovani, per evitare “una bomba sociale” in futuro. E un osservatorio per tenere sotto controllo gli effetti dell’inflazione e calibrare al meglio gli interventi per proteggere potere d’acquisto e salari. Un piano di interventi, questo, che il governo intende portare avanti, se possibile, “insieme” alle parti sociali chiamate da Giorgia Meloni a mettere da parte i “pregiudizi” per una stagione di riforme, dal fisco alla Costituzione, contrassegnata dal dialogo “costruttivo”, pur “nel rispetto delle differenze”.
La premier vuole attorno a sé mezzo governo per incontrare imprese e sindacati, dopo le frizioni per la chiamata dell’ultimo minuto a ridosso del Cdm del primo maggio. E dopo due mesi di mobilitazione che Cgil, Cisl e Uil rivendicano, anche se si dividono sugli esiti. Se Luigi Sbarra parla di un “nuovo inizio” nelle relazioni con l’esecutivo, Maurizio Landini e Pierpaolo Bombardieri restano diffidenti. Le risposte sono ancora “insufficienti” dice il leader Uil mentre il segretario generale di Corso d’Italia rilancia la mobilitazione (è già decisa una iniziativa in piazza a Roma con una ampia rete di associazioni laiche e cattoliche il 24 giugno) senza escludere alcuno strumento, nemmeno lo sciopero anche se non lo cita.
Un intero pomeriggio a Palazzo Chigi, insomma, non basta a convincere i sindacati. Anche perché arrivano le proposte di una serie di tavoli ma nessun “risultato concreto”, incalza Landini. L’agenda del confronto, in effetti, è assai ampia e va dalla previdenza alla sicurezza sul lavoro. Ma l’obiettivo, che la presidente del Consiglio esplicita subito, è quello di impostare un metodo “strutturato” per affrontare le scelte strategiche per il Paese, o come ama dire lei, per “la nazione”. La lista delle richieste dei sindacati, osserva la premier, sarebbe anche condivisibile ma vale “decine di miliardi”. Bisogna puntare sulle misure “a più alto moltiplicatore”, per mantenere quel ritmo di crescita che oggi, “e non accadeva da qualche anno”, pone l’Italia sopra la media Ue. La premier sottolinea i dati incoraggianti, del Pil ma anche dell’occupazione, e assicura l’impegno a incentivare il lavoro stabile, ad abbassare le tasse ampliando il primo scaglione Irpef (l’Abi chiede di ridurle anche sul risparmio a lungo termine), a puntare sulla natalità perché altrimenti il resto degli interventi diventerebbe “inefficace”.
Nelle proposte che Meloni offre ai sindacati c’è quindi “la detassazione del contributo del datore per i lavoratori ai quali nasca un figlio”, ma anche fringe benefit “strutturali” e deduzioni per i trasporti per i dipendenti. Bisogna poi aprire il grande capitolo delle pensioni: partendo dalla mappatura in corso al ministero del Lavoro bisognerà accendere un faro sugli effetti “di determinati provvedimenti in tema di esodi aziendali e ricambio generazionale”. E il primo tavolo sarà appunto sugli “anticipi pensionistici” (mentre a fine anno scade ‘quota 103’). Bisogna “garantire la tenuta del sistema”, la linea della premier, senza dimenticare però le giovani generazioni. L’altro grande tema è quello del “tagliando” da fare al Pnrr, anche grazie all’introduzione del capitolo sul Repower Eu. Serve un dibattito “pragmatico, non ideologico”, ribadisce la premier, ricordando che il Piano sarà utile anche per la messa in sicurezza dei territori martoriati dall’alluvione in Emilia-Romagna.
E sottolineando che bisognerà rivedere bene alcuni interventi, a partire dalla destinazione dei 15 miliardi alla sanità, senza “immaginare cattedrali nel deserto”. Mano tesa anche sulla riforma costituzionale (su cui Elisabetta Casellati ha incontrato in serata il gruppo di Fi e che domani sarà affrontata in un confronto interno a Fdi): “Cerchiamo il maggior coinvolgimento possibile”, rimarca Meloni ai sindacati, incassando però il no secco di Landini a mettersi anche solo a parlare “di autonomia differenziata”. Cui prontamente risponde la Lega: non solo l’autonomia “si farà” ma “unirà finalmente l’Italia che vogliamo più moderna”. Il “contrario – dicono i leghisti – di quello che vogliono gli estremisti di sinistra”.