Sulla riforma della prescrizione sono state dette tante inesattezze. Sono davvero avvilito e deluso da cittadino e da tecnico. Non vorrei che fosse fatto per coprire le inefficienze di un sistema che non si ha la competenza ed il coraggio di modificare. Quando ero ragazzo pensavo che la politica fosse l’arte più raffinata e complicata del mondo, cercare le soluzioni migliori nell’esclusivo interesse della collettività, della gente.
Catello Maresca. È tra i più preparati magistrati antimafia, ha scardinato la potenza militare e ridotto la forza economica del clan dei Casalesi ed ha una opinione di netta contrarietà alla riforma della prescrizione voluta dal ministro Bonafede
Ma in questo ultimo mese ho ascoltato delle dichiarazioni, che da tecnico del diritto, prima ancora che da magistrato, non riesco a comprendere e che ho, quindi, il dovere, non solo morale, di stigmatizzare.
Non capisco, ad esempio, da quale ragionamento (giuridico?) derivi l’affermazione che gli effetti della cosiddetta “sospensione” della prescrizione si vedranno tra 3 o 4 anni?
Ma da dove si ricavano siffatte presunzioni?
Sarà un mio limite, ma posso immaginare, forse, che sia un termine ancorato alla durata dei processi di primo grado.
Certo è che se uno dei miei studenti all’Università desse risposte così approssimative lo rimanderei a casa, invitandolo ad approfondire gli studi.
E perché, allora, non 5 o 6 anni, nella media di celebrazione dei processi di primo grado in molti tribunali di questo Paese?
Non ho l’ambizione di fare lezioni a nessuno, soprattutto in questa sede, ma su questi temi non si può non essere chiari.
La gente comune, anche quella che non ne capisce di diritto, non può essere presa in giro.
Dal 1 gennaio 2020, cioè tra poco più di 24 ore, la norma si applicherà a tutte le persone giudicate per direttissima, cioè approssimando per difetto, almeno 500 imputati al giorno. Poi toccherà a tutti i giudicati con rito abbreviato e così via. Altro che 3 o 4 anni.
Il ministro Guardasigilli. La riforma della prescrizione voluta da Alfonso Bonafede mette tutti d’accordo: avvocati e magistrati ritengono che le idee del ministro siano non la cura ma la malattia del sistema giudiziario italiano
Ma poi, a ripensarci che importanza ha se si applica subito o meno! Anzi se fosse una riforma ben fatta se ne dovrebbe auspicare una immediata applicazione! Tutti i giudicati in primo grado (anche gli assolti poi appellati dai pubblici ministeri) per i quali – a legislazione vigente – si aprirà la lunga ( con alta probabilità lunghissima) finestra dell’appello sospeso. Una volta c’era il caffè sospeso, pratica partenopea di lasciare un caffè pagato al bar per chi non potesse permetterselo, da domani avremo l’appello sospeso, pratica inumana di inciviltà giuridica. Che, si badi bene, non farà bene a nessuno, neanche alla Giustizia.
Ho imparato in anni di attività, spesso a mie spese (di sacrifici personali e familiari) che la pena giusta è quella che proviene da Istituzioni autorevoli, credibili e considerate giuste prima di tutto ed anche proprio da chi le subisce.
Un verdetto troppo lontano dal momento dei fatti non è quasi mai considerato giusto e non viene accettato, provocando ulteriore malanimo e risentimento nei confronti dello Stato e dei suoi rappresentanti.
Ma anche se quello che sostengono migliaia di avvocati (che per la prima volta nella storia hanno fatto una maratona di protesta no stop), professori universitari e molti magistrati di questo Paese, non dovesse corrispondere al vero, ci si dovrebbe almeno interrogare su un residuo eventuale pericolo.
L’abbiamo già sostenuto qualche settimana fa nella audizione alla Commissione Giustizia della Camera con i miei colleghi professori dell’Università Luigi Vanvitelli. Se ci fosse anche il pericolo paventato che una sola delle persone giudicate (colpevoli o innocenti in primo grado) da domani dovesse rischiare di diventare un eterno giudicabile, ci si dovrebbe immediatamente bloccare.
È in gioco una vita umana! Ci siamo forse dimenticati della presunzione di non colpevolezza fino a sentenza passata in giudicato?
La Giustizia. Da sempre è uno degli argomenti più divisivi non solo in Parlamento ma anche nel Paese
L’ art. 27, comma 2, della nostra Costituzione afferma che “l’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva”. Ripensiamo, insieme a tutte le parti in causa, ad un processo penale giusto. Uno Stato serio non copre le sue inefficienze con obbrobri giuridici.
Su temi così delicati, come la vita delle persone, non si può intervenire con provvedimenti parziali, in attesa di futuri correttivi o di ipotetiche integrazioni. Servono linee guida chiare e concretamente realizzabili.
Siamo la culla del diritto mondiale, non cancelliamo la nostra storia.
Questo “pezzo” di riforma da solo non va bene e non si può sapere se andrà bene insieme ad altri “pezzi” che ancora non si conoscono e non si sa se e quando verranno approvati.
Un processo giusto deve garantire i diritti di tutte le parti in causa, ma deve anche essere tempestivo e rapido. Altrimenti non soddisfa l’esigenza di giustizia della collettività e non realizza il principio costituzionale di rieducazione della pena.
Pensate ad un soggetto che dopo anni da un fatto di reato commesso occasionalmente, magari in giovane età, che si veda irrogare una pena che comprometta la sua stabilità professionale e familiare, pure faticosamente raggiunta.
Il blocco ( la sospensione è termine atecnico ) della prescrizione dopo la sentenza di primo grado senza ulteriori interventi sul procedimento penale e di carattere organizzativo è una misura del tutto inidonea a risolvere il problema della lunga durata del processo. Rischia, invece, di creare il fenomeno dell’eterno giudicabile, già dichiarato per altre situazioni costituzionalmente illegittimo.
Solo questo dovrebbe bastare a far comprendere che si è su una strada sbagliata.
Si sta facendo entrare in vigore una norma, pensata per ridurre la durata dei processi, ma che da sola invece li allungherà inevitabilmente ed ineluttabilmente.
Per non parlare poi del tema delle altre parti processuali (i terzi, le persone offese, le parti civili ed i responsabili civili), degli effetti della sospensione della prescrizione sulle confische in primo grado, delle pene accessorie, della non menzione della condanna in un casellario che mai arriverà, sul carico pendente sine die. Sono tali e tante le effettive ricadute dirette e indirette da far rabbrividire anche i non garantisti.
Fermatevi per carità!
Occorre, invece, tener ben distinti gli istituti della prescrizione del reato e della prescrizione processuale, agendo su quest’ultima per fissare preclusioni di fase.
Allo stesso modo occorre intervenire contestualmente con un progetto organico sui temi delle priorità delle indagini nei programmi organizzativi degli Uffici di Procura, sulle priorità nella trattazione dei processi, sul processo telematico penale, sui meccanismi di rinnovazione del dibattimento e sull’appello.
Oltre ad una seria ed approfondita riflessione sulle piante organiche degli uffici e sull’ufficio del magistrato, aspetti organizzativi non più eludibili.
Fermatevi e ragioniamo tutti insieme per il bene della Giustizia e del nostro Paese.
*L’autore di questo articolo, Catello Maresca, oltre ad essere un eccellente magistrato antimafia è anche uno studioso del diritto: autore di manuali universitari sulla legislazione antimafia e di alcuni saggi sulla presenza e sulla capacità delle mafie di penetrare in profondità nel tessuto sociale ed economico del Paese.
Migliaia di iscritti affollano il Palazzo dei Congressi di Roma. Dove va in scena ‘Nova’, la kermesse che chiude l’Assemblea Costituente del Movimento 5 Stelle. I militanti formano una lunghissima coda all’ingresso, poi prendono posto nella sala principale. Il palco circolare al centro, le sedie intorno, come se fosse un’assemblea delle origini. Il presidente Giuseppe Conte mostra entusiasmo. “C’è una grande partecipazione”, dice alla comunità M5s. Rivendica l’intera operazione: “abbiamo rovesciato la piramide, decide la base”. Poi, in serata, conferma le voci che si rincorrono per ore e annuncia: “abbiamo raggiunto il quorum, è la vittoria di chi ha deciso di decidere”. Il presidente tira il fiato, sorride, esulta. Perché il raggiungimento del quorum consente di validare le votazioni sui quesiti statutari. E tra questi ci sono quelli sul garante, sul simbolo, e sul limite dei mandati. Ma è proprio sul voto, ancora in corso, che va in scena lo scontro, dopo giorni di polemiche. Conte ha appena cominciato con i suoi saluti iniziali, quando in sala piombano una ventina di contestatori.
Gridano “trasparenza”, mettendo in discussione la democraticità della Costituente. Intonano il coro “dimissioni”, rivolto al presidente, e lanciano volantini. Il leader, però, resta serafico. “Se ci sono 90 mila persone che discutono, ci possono essere anche persone che la pensano diversamente, siamo aperti al dissenso”, taglia corto l’ex premier. É l’unico momento di alta tensione della prima giornata di kermesse, che si chiuderà domenica pomeriggio con la comunicazione dei risultati del voto. Il ristretto gruppo di contestatori attira l’attenzione delle telecamere, alcuni parlamentari M5s accorrono per contrastarli verbalmente. “Siete come il Pd, due mandati e a casa”, gridano i ‘Figli delle stelle’, il gruppo di iscritti protagonisti del flash mob. Il gruppo arriva a Roma per continuare la campagna per l’astensione, già in corso da settimane per sabotare il quorum e delegittimare l’intera Costituente. Beppe Grillo non si presenta. È il fantasma del Palazzo dei Congressi.
Ma compare sulle magliette che indossano i contestatori, accanto al volto di Gianroberto Casaleggio. Tra chi protesta, c’è l’ex parlamentare del M5s Marco Bella. “Quale partito – commenta – cancella 70 mila iscritti per vincere una votazione interna? Questa non è democrazia”. “Non ci ha mandato Grillo, – spiega uno dei contestatori – non siamo né per lui né per Conte”. Ma dal vertice del Movimento, arriva il commento al vetriolo. “Le contestazioni sono dei supporter di Grillo, – è il ragionamento – ma non ci scomponiamo. In un luogo di confronto c’è chi è venuto solo per disturbare e poi andare via. Atteggiamento agli antipodi per chi si professa del M5s”. Ed è lo stesso Conte, nel suo intervento, a replicare all’invito all’astensione giunto dalle fila grilline. “Invitare a non votare o mettersi contro un processo di confronto è una contraddizione”, taglia corto, attaccando l’astensionismo. La polemica non si accende solo tra palco e platea. Con qualche fischio che si abbatte anche su Enrico Mentana, quando parla di Mario Draghi. Ci pensa Davide Casaleggio ad alzare i toni, in un’intervista.
“La Costituente è finta, non c’è democrazia, è l’eclissi finale del Movimento”, è la sua riflessione. A cui risponde per le rime il capogruppo Stefano Patuanelli. “Casaleggio è vergognoso, ha la faccia di bronzo o la memoria corta, era Rousseau a non essere trasparente”, la replica. Insieme ai capigruppo, Patuanelli e Silvestri, arrivano all’Eur i big del Movimento. C’è Fico, che ribadisce il suo sì alle alleanze. C’è Appendino, che rinforza il suo alert sul rischio di essere fagocitati dal Pd. Ci sono i vice Taverna e Ricciardi, e pure Crimi, il deus ex machina dei quesiti. Si vede anche la governatrice della Sardegna Alessandra Todde. Mancano Toninelli e Raggi, entrambi vicini a Grillo. Ma tra i grillini, c’è solo Mariolina Castellone, che dialoga con i contestatori. Prima dello showdown finale, mentre si attendono contromosse del garante, il dibattito a ‘Nova’ inizia vivace. Applausi scroscianti su temi come giustizia, scuola, università e sanità. Platea spaccata quando si parla di ‘campo largo’. E cresce l’attesa sui quesiti che definiranno le alleanze e il posizionamento politico del Movimento.
Provare a ridurre le richieste che, nel loro complesso, potrebbero stravolgere l’impianto della manovra. E’ questo l’input che arriva dal governo a partiti e ministri in attesa che, nel vertice in programma lunedì, siano loro a tirare le somme sui punti critici. Uno fra tutti resta quello del canone Rai sul quale da giorni la Lega ha fatto partire il proprio refrain: l’abbassamento del canone a 70 euro, ha ripetuto anche oggi il partito di Salvini (foto Imagoeconomica in evidenza) “fa parte del programma di governo”. I nodi, su questo tema, arriveranno comunque al pettine nella serata di lunedì quando dovrebbero partire le votazioni in commissione Bilancio al Senato sul decreto fiscale. L’idea sarebbe, comunque, anche qui, quella di ridurre al minimo le modifiche su un provvedimento il cui iter si intreccia a filo doppio con quello della manovra.
Intanto, sulla legge di bilancio, tra le pieghe del fascicolo degli oltre 200 emendamenti super-segnalati dai gruppi, spunta qualche novità. Fratelli d’Italia, ad esempio, in chiave di accelerazione dell’attuazione del Pnrr, firma una proposta che chiede di non applicare alle assunzioni nella p.a. legate al Piano il limite del 20% di contratti a tempo e somministrati rispetto al numero complessivo dei contratti a tempo indeterminato. E’ di oggi – tra l’altro – la circolare del Mef con l’indicazione alle amministrazioni titolari di misure Pnrr a completare la rendicontazione dei Milestone/Target entro il 13 dicembre per consentire la domanda della VII rata alla Commissione entro la fine dell’anno.
Rata che, ricorda la Ragioneria, è pari a complessivi 21 miliardi. La proposta emendativa di FdI è però “tecnicamente una follia” per il capogruppo Dem in commissione Lavoro alla Camera Arturo Scotto. Che accusa il centrodestra di voler “rendere nei fatti ‘eterno’ il precariato”. Sempre dal partito della premier arriva, poi, una proposta sul fronte della contestata norma sui controllori del Mef nei collegi sindacali delle società che ricevono contributi pubblici. Se FI propone di cancellarla in toto il partito della premier eleva la soglia di fondi statali oltre la quale sono previsti componenti del Mef nei collegi da 100mila a 1 milione di euro. Tra le indicazioni della maggioranza, poi, sembrerebbe avere buone chance la proroga del bonus verde.
La detrazione al 36% fino a 5mila euro per la sistemazione di aree verdi e giardini è, infatti, prevista in tre emendamenti della maggioranza dei quali uno segnalato da FdI. Intanto tra i super-segnalati arrivano anche le richieste dei ministeri che andranno, anch’esse, scremate. Tra quelle che dovrebbero quasi certamente avere il via libera lo stop all’acquisizione da parte dello Stato di quote delle opere finanziate con il tax credit per il cinema. La misura prevista nella manovra verrà modificata attraverso un emendamento a firma del presidente della commissione Cultura Federico Mollicone che avrebbe l’ok del ministro Alessandro Giuli. Dal Mur arriva invece la richiesta dell’esclusione degli atenei dalla norma che impone agli enti pubblici di restituire allo Stato i risparmi dovuti al mancato turn over.
E resta in piedi l’ipotesi alla quale sta lavorando il ministro Adolfo Urso dell’Ires premiale per le aziende. Intanto si guarda anche al possibile gettito che potrebbe arrivare nel 2025 dall’azione di compliance da parte del fisco. Sono almeno 3 milioni, i contribuenti che il prossimo anno riceveranno una comunicazione nel quadro di questa attività. I casi più diffusi di omissioni o infedeltà nella comunicazione dei dati al fisco riguardano le mancate comunicazioni Iva o le omesse dichiarazioni delle partite Iva. Comuni anche le anomalie nella dichiarazione Isa, ovvero gli Indici sintetici di affidabilità.
Discutere della sentenza della Corte penale internazionale sull’arresto di Benjamin Netanyahu al tavolo del G7 e provare a concertare assieme agli alleati una linea comune. Nelle stesse ore in cui 4 soldati italiani restano feriti nella base Unifil in Libano dopo un lancio di missili di Hezbollah, il governo cerca di gestire il nodo della decisione dell’Aja sul leader israeliano – e sul suo ex ministro della Difesa Gallant – coinvolgendo i partner europei e occidentali. E’ l’input che Giorgia Meloni affida ad Antonio Tajani (che tra l’altro rivendica su questi temi il ruolo di palazzo Chigi e della Farnesina) dopo le divisioni emerse nell’esecutivo che di certo non le avranno fatto piacere, anzi.
Le fughe in avanti dei ministri irritano palazzo Chigi che, invece, sui dossier delicati vorrebbe che il governo si esprimesse con un’unica voce. Ecco perchè di fronte al susseguirsi di dichiarazioni la premier, in vista del vertice di maggioranza convocato per lunedì, decide intanto di mettere nero su bianco quella che deve essere la linea di tutto il governo. La premessa è che sulla sentenza della corte dell’Aja vadano fatti degli approfondimenti per capirne le motivazioni che, sottolinea, “dovrebbero essere sempre oggettive e non di natura politica”.
Ma “un punto resta fermo per questo governo: non ci può essere una equivalenza tra le responsabilità dello Stato di Israele e l’organizzazione terroristica Hamas”. Una presa di posizione che ha come obiettivo anche quello di mettere a tacere i distinguo e le voci in libertà nella compagine. Accanto alla posizione prudente di Antonio Tajani, c’era stata infatti la dichiarazione più netta di Guido Crosetto. Il ministro della Difesa, pur criticando il pronunciamento della Cpi, aveva aggiunto: “La sentenza andrà rispettata”. Ma soprattutto, a pesare è quanto detto da Matteo Salvini. Il leader della Lega è quello che si è spinto più avanti, arrivando ad invitare il premier israeliano in Italia dandogli il “benvenuto” perchè, avvisa, “i criminali di guerra sono altri”.
Parole che pesano negli equilibri internazionali alla vigilia del G7 dei ministri degli Esteri in programma a Fiuggi lunedì. Non è un caso infatti (forse anche dopo contatti con Chigi) che il leader della Lega cerchi poi di ammorbidire i toni invocando la condivisione delle decisioni: “Troveremo una sintesi – confida Salvini – il problema è a livello internazionale”. Chi sceglie di non esprimersi è la Santa Sede. Il Vaticano si affida alle laconiche parole del segretario di Stato Pietro Parolin: “Abbiamo preso nota di quanto avvenuto, ma quello che a noi interessa è che si ponga fine alla guerra”. Intanto, le dichiarazioni dei ministri e dei leader della maggioranza finiscono sotto il fuoco di fila delle opposizioni che vanno all’attacco.
Ma le tensioni sulla politica estera sono solo l’ultimo punto che si aggiunge ad una lista di nodi che Meloni dovrà sciogliere con i due alleati di governo nel vertice in programma per lunedì 25, prima della riunione del Consiglio dei ministri. Il ‘caso’ Netanyahu sarà uno dei temi che i tre leader del centrodestra dovranno discutere, ma altrettanto dirimenti, sono le decisioni da prendere sul versante interno. La sconfitta alle regionali ha alzato il livello dello scontro e, di conseguenza, le richieste di Lega e Forza Italia da inserire nella legge di Bilancio. Ufficialmente tra i partiti di maggioranza regna la concordia: “Ci incontreremo e risolveremo i problemi nel miglior modo possibile”, è la convinzione di Tajani a cui fa eco il vicepremier leghista: “Siamo in sintonia su tutto”.
Ma il taglio dell’Irpef, la flat tax per i dipendenti e la riduzione del canone Rai sono tre temi su cui da giorni è in atto un vero e proprio braccio di ferro. E la mancanza di un accordo ha fatto slittare alla prossima settimana le votazioni sul decreto fiscale. Alle richieste dei partiti si aggiungono i desiderata dei ministri. Un elenco impossibile da realizzare (visti i fondi a disposizione) su cui la premier dovrà dire una parola definitiva. In stand by invece resta la decisione sul successore di Raffaele Fitto.L’idea della presidente del Consiglio pare sia quella di tenere le deleghe a palazzo Chigi fino a gennaio, scavallando quindi la sessione di bilancio. Nessuna fretta anche anche perchè, raccontano nella maggioranza, per la prossima settimana è attesa anche la decisione dei giudici se rinviare o meno a giudizio la ministra per il Turismo Daniela Santanchè.